Ogni anno si ripresenta il problema dell’acqua. E ogni volta veniamo informati che il sistema di distribuzione perde circa il 40% del liquido vitale che trasporta. Quest’anno ha piovuto molto, il livello dei grandi laghi è alto, eppure già si parla di rischio siccità. La situazione è particolarmente grave in Sicilia, che è oramai arrivata ad una situazione di allarme rosso.



Nonostante un servizio televisivo ci abbia informato di recente che il sottosuolo siciliano è ricchissimo d’acqua, nessuno si è mai preoccupato di scavare pozzi o creare canalizzazioni. Imprese italiane specializzate nella desalinizzazione dell’acqua di mare sono impegnate in grandi progetti in Arabia Saudita, mentre in Sicilia, che è circondata dal mare, non se ne fa nulla. Sembra inaccettabile dover convivere con un simile paradosso, eppure lo si fa, con rassegnata disperazione, specie nelle zone più disagiate.



Angelo Distefano, presidente dell’Associazione Le Partite Iva è un grande esperto della materia, e quindi gli chiediamo di spiegarci come sia stato possibile giungere sino a questo punto.

È mai esistito un Piano nazionale per l’acqua?

Ovviamente nel bel Paese i dossier e gli studi si sprecano, quello che manca sono le azioni concrete a tutela di un bene comune come l’acqua, in questo caso prezioso per la nostra vita, per la vita delle campagne e di tanti comparti che senza l’acqua non possono lavorare. Esiste anche un piano nazionale di interventi infrastrutturali che risale al 2023, ma da quello che sta succedendo nel Meridione, e soprattutto in Sicilia, è evidente che questo piano non ha apportato alcun beneficio.



La gestione dell’acqua è inquadrata in qualche ministero?

Il governo dell’acqua non può essere gestito solo da un ministero, perché si basa su un meccanismo molto complesso, in cui ogni ingranaggio è mosso e controllato da istituzioni, enti, commissioni diverse: si parte dalle Infrastrutture per finire con chi deve stabilire le tariffe per l’irrigazione, ad esempio. Un groviglio inestricabile che si complica con l’emergenza, in quanto si creano commissari ad hoc che, invece di oliare il meccanismo, aggiungono sabbia a un ingranaggio già bloccato di suo.

Gestione dell’acqua significa da un lato cura di fiumi e argini, costruzione di sistemi di sfogo per evitare le inondazioni che puntualmente si verificano, dall’altra cura e manutenzione di bacini di raccolta dell’acqua piovana da utilizzare nei periodi di siccità. Ma già Leo Longanesi, molti decenni fa, aveva scritto: “Alla manutenzione, gli italiani preferiscono l’inaugurazione”.

Come ho detto, in questa emergenza, se così dobbiamo chiamarla, il raccordo tra le varie istituzioni sarebbe fondamentale, ma ormai siamo abituati a chiedere stati di emergenza, ma senza preoccuparci mai dell’ordinaria gestione e della fondamentale manutenzione. È molto più facile presentarsi in campagna elettorale dicendo: “si poteva e si doveva fare di più”, che occuparsi della manutenzione ordinaria. Inoltre è la stessa politica a nominare i commissari per l’emergenza, i cui poteri e responsabilità ogni volta svaniscono poi come per magia.

Non è mai stato fatto niente?

In questi decenni, quasi nulla di concreto: vediamo i consorzi di bonifica (in parte commissariati) non erogare i servizi e non curare la rete idrica di loro competenza con perdite che raggiungono anche il 60%, dissalatori non funzionanti, dighe, come quella di Trinità, che è stata chiusa per sicurezza, la cui preziosissima acqua viene addirittura riversata in mare.

C’è mai stata qualche forza politica che abbia fatto una battaglia per l’acqua?

Ovviamente tutti si intestano anche queste battaglie quando si trovano sugli scranni dell’opposizione, ma quando hanno in mano la maggioranza, improvvisamente, non hanno più le soluzioni. Mentre l’emergenza viene usata per nuove nomine e nuove poltrone. La Sicilia è l’emblema di una Regione sotto scacco della politica dove vediamo il presidente della Regione Siciliana Schifani litigare con il ministro per la Protezione Civile Musumeci (ex presidente della Regione stessa) sul costo dell’acqua fornita dalla Nave Militare Ticino.

Qual è il problema?

Sinceramente non si capisce perché in emergenza la Regione dovrebbe pagare l’acqua fornita dallo Stato. Abbiamo per caso privatizzato la Marina che si fa pagare a peso d’oro l’acqua? Nel bel mezzo di uno stato di emergenza nazionale avviene poi che si arriva a far salire di tre volte il prezzo delle autobotti e dell’acqua. Per non parlare dello spettacolo indegno di vari Comuni che si contendono il prezioso liquido, come Messina, che viene lasciata a secco perché l’acqua va a Taormina causando rabbia e malessere. Il caos regna sovrano e chi paga il prezzo più caro sono le famiglie e le piccole imprese che avranno ricadute anche nel futuro visto gli ingenti danni causati dalla mancanza di acqua sia in agricoltura che nel settore turistico.

Ma adesso l’acqua in Sicilia c’è?

Adesso l’importante è far arrivare l’acqua con le autobotti, lasciando in un cassetto la famosa ricognizione delle infrastrutture idriche e fognarie, come previsto dal 2009 dalla legge 42, soprattutto a seguito dell’approvazione dell’autonomia differenziata. A questo punto è legittimo chiedere: il prefetto di Agrigento dove ha trovato l’acqua? La stanno importando oppure arriva dalle varie sorgenti siciliane? Se sì, quali? Tra l’altro per stessa ammissione delle Regione Siciliana, nel documento “Piano di tutela delle acque” sono annoverati 82 corpi idrici sotterranei, ma non oso chiedere maggiori spiegazioni, perché sono consapevole che questa domanda è troppo scomoda.

E la politica continua a non muoversi?

Gli agricoltori e gli allevatori hanno richiesto un incontro con il presidente Schifani che non arriva perché anche a Palermo le istituzioni, emergenza a parte, paiono totalmente disinteressate al problema.

Cascano davvero le braccia. Ma cosa si può fare?

A nome dell’Associazione Le Partite IVA ho inviato documenti e sollecitazioni sia al ministro dell’Agricoltura che alla presidente del Consiglio, insistendo soprattutto perché si faccia il monitoraggio delle acque sotterranee, anche stimolati da uno studio pubblicato recentemente dalla Gazzetta del Sud in cui si confermava l’esistenza di un giacimento d’acqua fossile nelle viscere dei monti Iblei. “La presenza di 17 chilometri cubi di acqua che giace a una profondità tra i 700 e i 2500 metri era rivelata da una ricerca condotta dall’Università di Malta, dall’INGV e dall’Università di Roma 3. Si era nel pieno dell’autunno e nessuno sapeva che si stesse andando incontro a un inverno particolarmente avaro di piogge. Oggi, otto mesi dopo, abbiamo appreso dal Guardian e dall’Università di Catania che entro il 2030 un terzo del territorio della Sicilia diventerà un deserto e assistiamo impotenti a una siccità che ha avuto come immagine di riferimento il progressivo prosciugamento del lago di Pergusa”.

Nessuno pensa a sfruttare questa opportunità?

Gli autori dello studio Lorenzo Lipparini, ricercatore INGV-Università di Malta, professore all’Università Roma 3 e primo autore dello studio insieme a Roberto Bencini e Aaron Micallef, non sono mai stati interpellati. Solo il CNR ha chiesto qualche approfondimento. Mentre il loro studio sta sollevando interesse nei convegni internazionali, qui da noi il massimo che si fa è nominare dei commissari all’emergenza.

(Alberto Contri)

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