Il primo ministro irlandese Micheál Martin, intervenendo al vertice della COP26 a Glasgow, si è naturalmente accodato ai colleghi di tutto il mondo nella grande battaglia ai cambiamenti climatici. “L’Irlanda farà la sua parte” ha detto “raddoppiando il suo contributo ai paesi in via di sviluppo”. Si tratta in sostanza, ha spiegato, di almeno 100 miliardi di dollari all’anno di finanziamenti per il clima. “Stiamo implementando un sistema legale di bilancio del carbonio e limiti di emissione per ogni settore della nostra economia”, ha affermato.



Fiducioso ai massimi livelli, ha detto ancora che “Non crediamo né accettiamo, come alcuni vorrebbero, che sia troppo tardi, che la transizione sarebbe troppo costosa, che è inevitabile che lasceremo indietro le persone, che qualcun altro dovrebbe assumersi il carico”. E poi: “Possiamo realizzare un mondo più fresco, un mondo ricco di biodiversità, un mondo con aria più sana da respirare, un terreno più sano in cui le cose possano crescere. Un mondo in cui le persone possono vivere una vita più sostenibile, consegnando un pianeta guarito e arricchito alle generazioni future”. Evviva. Tutto bene dunque? In realtà non proprio. Come può ridurre le sue emissioni di gas serra un paese che ancora oggi si fonda per la stragrande maggioranza sull’agricoltura? Micheál Martin non entra nei dettagli, e forse un motivo ce l’ha. Gli viene in aiuto il quotidiano The Guardian, degli odiati inglesi, a ricordargli come stanno le cose: “Almeno un milione e trecentomila bovini irlandesi dovranno essere abbattuti per raggiugnere gli obbiettivi previsti dal governo per la riduzione dei gas serra”. Ops. Primo ministro, lei è stato anche in passato ministro dell’agricoltura, dovrebbe sapere che il suo paese ha a lungo fatto affidamento sull’agricoltura, insieme agli investimenti multinazionali, per guidare la sua economia. 



UN FUTURO SENZA LATTICINI E CARNE BOVINA

I marchi irlandesi di carne bovina e latticini come Kerrygold e Pilgrims Choice sono tra le sue esportazioni di maggior successo. Già perché sono proprio le mucche a produrre gas serra peggio di una azienda di automobili. Il 35% dei gas serra irlandesi, il livello più alto d’Europa, dove la media è dell’11% proviene dai simpatici animali. Non lo sapevate? Più del 60% di questi gas serra sono prodotti dal metano associato ai rutti degli animali. Già, perché le mucche hanno ben quattro stomaco diversi per digerire l’erba che mangiano: circa un terzo delle emissioni di metano causate dall’uomo proviene dal bestiame, principalmente da bovini da carne e da latte, prodotto nel processo digestivo che consente ai ruminanti (tra cui mucche, pecore e capre con stomaci in quattro parti) di assorbire le piante. Le mucche e gli altri animali da allevamento producono circa il 14% delle emissioni climatiche indotte dall’uomo, ed è il metano dei loro rutti e del letame che è visto sia come la più grande preoccupazione che come la migliore opportunità per affrontare il riscaldamento globale. Sebbene il metano si decomponga relativamente rapidamente nell’atmosfera, è un gas serra più potente dell’anidride carbonica. Come fare? Si sta pensando a mangimi alternativi ma soprattutto alla riduzione massiccia di carne e latticini. Saranno felici i vegani. La realtà è che nessun paese al mondo, nonostante le belle parole sentite a Glasgow, ha un piano per affrontare questo problema. I danni economici sarebbe troppo grossi. “Nessun paese ha un vero obiettivo per ridurre le emissioni legate al bestiame o il consumo di carne”, afferma Christine Chemnitz, responsabile della politica agricola presso Heinrich Böll Stiftung, una ONG ambientale. Se il governo irlandese deciderà davvero un taglio del 30% al settore agricolo per le emissioni di carbonio, il paese subirebbe una perdita pari a 4 miliardi di euro e la perdita di 56mila posti di lavoro. Andate a dirlo agli indiani, per i quali la mucca è un animale sacro, di uccidere qualche milione di bovini.

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