Da Confindustria è arrivato un appello all’Europa per evitare che la recessione attuale si trasformi in depressione economica prolungata con un aumento drammatico della disoccupazione. “Le istituzioni Ue sono all’ultima chiamata per dimostrare di essere all’altezza”, hanno fatto sapere gli industriali, che parlano di un Pil in discesa del 10% nella prima metà dell’anno. Non è chiaro quale sarà la risposta che i Paesi membri concorderanno: se i coronabond paiono ormai impossibili da realizzare, c’è chi in Italia spinge ora per un ricorso al Mes, con regole diverse però da quelle di cui si è parlato nelle ultime settimane a livello di condizionalità. Secondo Francesco Forte, economista ed ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie, tuttavia, nessuna di queste due strade sarebbe da seguire.
Professore, si sta parlando molto del risultato del Consiglio europeo della scorsa settimana. Lei che cosa ne pensa?
Trovo sia stata sbagliata la strategia adottata dal Governo italiano di puntare sugli eurobond, perché non ci convengono molto, in quanto mettere in comune il debito pubblico comporta poi minor libertà nelle scelte economiche. Ci muoveremmo cioè verso una federazione, o meglio un super-Stato nel quale comanderebbero i Paesi più forti. Dobbiamo ringraziare i tedeschi che hanno detto no ai coronabond, altrimenti avremmo dovuto sottostare alla legge del più forte.
La strada da seguire è allora quella del ricorso al Mes?
Da quel che sappiamo la riforma del Mes non è ancora pienamente conclusa, ma ricorrervi vorrebbe dire mettersi nelle mani di un comitato tecnico fuori dal controllo di qualsiasi Parlamento, un po’ come la Troika. Tutto questo sarebbe estremamente pericoloso: abbiamo vivo il ricordo di quanto accaduto in Grecia e sappiamo bene anche che ci sono asset italiani che certamente fanno più gola di quelli ellenici.
Si parla però di un utilizzo del Mes con una condizionalità più “soft” o persino assente…
Certo c’è chi pensa che, visto che è stato sospeso il Patto di stabilità, si possa anche immaginare di utilizzare il Mes per prestiti che riguardano l’emergenza sanitaria. Dovremmo però trattare per fare in modo che le condizioni siano chiare, evitando ogni possibile rischio. Tutto questo richiede però tempo, una risorsa scarsa in questo frangente: bisogna intervenire urgentemente.
In che modo?
Dobbiamo usare le misure che la Bce ha già messo in campo, per esempio le Tltro, che possono aiutare a tenere vivo il finanziamento alle imprese da parte delle banche, ma soprattutto il Qe che consente di acquistare non solo titoli di Stato, ma anche bond di soggetti pubblici, con un rating quindi uguale a quello del debito sovrano del Paese di appartenenza. Si tratta di un aspetto molto importante, perché ci consente di poter finanziare un’enorme quantità di investimenti infrastrutturali, come l’alta velocità, le metropolitane, la banda larga, la manutenzione di acquedotti e strade, ecc. Non solo tramite soggetti pubblici, ma anche privati con concessione pubblica o che svolgono servizi di pubblica utilità.
Tutto questo è già previsto nell’attuale Qe?
Sì e le dirò che per via della necessità di rispettare la norma sul capital key negli acquisti, per quei Paesi con poco debito pubblico si sono già in passato comprati bond regionali o di imprese pubbliche. Tra l’altro alla Bce conviene questo tipo di operazione perché riesce a intervenire meglio nei canali monetari che generano investimenti, iniettando denaro che si traduce in reflazione. Avendo tutti questi canali è più facile irrigare che con uno solo, quello dello Stato, che non distribuisce in modo così articolato.
Secondo lei basta questo strumento, oltre a quanto ha detto sulle Tltro, o servirebbe dell’altro?
Si potrebbe anche immaginare un intervento della Bce per cui si finanziano non solo spese di investimento di pubblica utilità, ma anche spesa sanitaria di emergenza. In buona sostanza, un pacchetto transitorio che avrebbe un senso per la Bce, perché servirebbe a fornire strumenti sanitari per fronteggiare un’epidemia che danneggia l’economia.
E questi interventi non avrebbero costi per lo Stato?
Li avrebbero, ma minimi. Lo Stato dovrebbe infatti fornire garanzie pubbliche o cofinanziare investimenti. Tuttavia è chiaro che seguendo questa strada si limiterebbe l’incremento del debito pubblico. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che anche se il Patto di stabilità è sospeso, più aumentiamo il debito pubblico, più lo dovremo rimborsare in seguito.
(Lorenzo Torrisi)