Nei giorni scorsi si è parlato a lungo e fin troppo di fantasiosi coronabond o eurobond che dovrebbero essere emessi: non si sa da chi, con quale regime di emissione e in quale ammontare. La fantasia si è sbrigliata ed è una gara ad immaginare che il coronabond o gli eurobond – due parole senza contenuto – debbano essere emessi dal Mes, dalla Bei, dalla Commissione. Può darsi che mi sia dimenticato di qualcosa, ma questo rende l’idea. Ad essere gentili bisogna dire che si naviga nell’indistinto. Ma l’importante è coniare formule e pronunciare parole.
A questa originale forma di pensiero va ricondotta anche la formula dell’intervento del Mes “a condizionalità sbiadita” di cui si è parlato ultimamente. Insomma il Mes potrebbe finanziarci con la sua “potenza di fuoco” (400 mld, cioè nulla in confronto a ciò che serve) e non ci chiederebbe nemmeno troppo in termini di aggiustamento macroeconomico: alla fine per salvare l’Europa dovremmo fare un passo indietro tutti. Noi dovremmo assoggettarci al Mes per poi mettere in funzione l’Omt (Outright Monetary Transactions) del Draghi 2012, che potrebbe comperare illimitatamente titoli di un singolo paese. Gli altri ci darebbero qualche miliardo, magari per i respiratori delle terapie intensive. Si cita una lettera di Centeno che avrebbe scritto al Presidente del Consiglio europeo Michel nella quale si sarebbe aperto alla possibilità di aprire una linea di credito precauzionale da parte del Mes per venire incontro ai problemi dei paesi colpiti da epidemia.
È singolare che si guardi in termini realistici ad una ipotesi del genere. Chi la avalla – e la spaccia come una cosa, non dico credibile, ma almeno sensata – sembra essersi dimenticato di un particolare: ossia che nel 2012, quella curiosa istituzione che va sotto il nome di Meccanismo Europeo di Stabilità, e la cui reale utilità è a tutt’oggi misteriosa, è stato istituto con un Trattato internazionale per evitare una modifica troppo estesa dei Trattati usciti da Lisbona. Ma per agganciare il Mes all’ordinamento dell’Unione si è dovuto procedere pure ad una modifica del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. Ed è stato modificato, quel Trattato che chiamiamo TFUE, con procedura abbreviata: cosa che già ai tempi aveva destato qualche perplessità e polemica.
Purtroppo per chi sostiene la tesi della condizionalità “sbiadita” – si sa che i detersivi non sono più quelli di una volta, ma non bisognerebbe mai esagerare con la candeggina – la modifica del TFUE ha finito con l’introdurre nell’art. 136 TFUE un ultimo comma in cui si dice che “Gli Stati membri la cui moneta è l’euro possono istituire un meccanismo di stabilità da attivare ove indispensabile per salvaguardare la stabilità della zona euro nel suo insieme”. E questo andrebbe anche bene. Peccato però che poi quell’articolo si chiuda dicendo che “La concessione di qualsiasi assistenza finanziaria necessaria nell’ambito del meccanismo sarà soggetta a una rigorosa condizionalità”.
Insomma, si può pure parlare di condizionalità “sbiadite” perché c’è libertà di parola. Ma però chi va alla ricerca di una soluzione ad un problema insolubile – che è poi l’assenza di un prestatore di ultima istanza nei paesi aderenti all’euro – dovrebbe chiedersi se la “discrezionalità sbiadita” di cui va parlando sia compatibile con la “rigorosa condizionalità” che è imposta non dal Trattato Mes, non da qualche Regolamento Ue, ma dallo stesso TFUE che regge tutta l’Unione.
Perché avendo a che fare con un trattato internazionale il cui rispetto è garantito dalla Corte di Giustizia (caso Pringle) i casi sono due: o si cambia il TFUE in tutta fretta e si leva il riferimento alla “stretta condizionalità” del 136; oppure non ci vuole molto ad immaginare l’eventualità in cui anche il più piccolo e insignificante Stato aderente all’Unione porti tutto di fronte alla Corte di Giustizia, la quale si troverebbe a dir poco in imbarazzo a salvare un provvedimento in evidente contrasto con la lettera dei Trattati. Perché lo capisce chiunque che la condizionalità sbiadita viola i Trattati.
È scusabile questo grossolano errore? Senz’altro sì, e va detto chiaramente. Il diritto dell’Unione è un ordinamento complesso e farraginoso, fatto di diverse stratificazioni e scritto per mediare tra posizioni nettamente divergenti. Da qui la sua ambiguità e la sua difficoltà ad essere maneggiato da non giuristi. Per capirci, è come far leggere una legge urbanistica ad un ingegnere. La può anche leggere, e può anche capirne qualcosa, come qualcosa posso capire io di tecnica delle costruzioni, se mi ci metto. Però è chiaro che se la capisse tutta, e sempre, non sarebbe un ingegnere, ma qualcos’altro.
Ma c’è anche dell’altro. Chi dice che la condizionalità può essere “sbiadita” e le condizioni di accesso al finanziamento del Mes possono essere favorevoli e benigne, dimentica di dire – o non ha capito – che il Trattato Mes è fondamentalmente una procedura di amministrazione controllata applicata agli Stati. Come un’impresa in difficoltà può chiedere un finanziamento ad una banca, uno Stato può chiedere un finanziamento al Mes. In fondo 40 o 50 mld sono poca cosa. Il punto è che, come una banca che finanzia un’impresa sull’orlo del fallimento vuole mettere i suoi avvocati in Consiglio di amministrazione per vigilare sul debitore, ed essere sicura di riavere – giustamente – i suoi soldi, allo stesso modo il Mes – ma in realtà gli Stati dell’Unione raccolti nel Mes – vogliono mettere i loro uomini alla guida della politica economica del paese finanziato. Il tutto nel nome della stabilità.
Il famoso patto che dovrebbe fissare le (non più?) rigorose, ma sbiadite condizionalità però non è destinato a durare per sempre. Come si è ricordato bene nei giorni scorsi da Marco Dani, la procedura per il rilascio dell’intervento Mes è disciplinata dal cosiddetto Two Pack, ossia una disciplina fatta di due Regolamenti di attuazione del Trattato Mes, uno dei quali – il Reg. 472/2013 – afferma all’art. 7 co. 5 che “La Commissione, d’intesa con la Bce e, se del caso, con l’Fmi, esamina insieme allo Stato membro interessato le eventuali modifiche e gli aggiornamenti da apportare al programma di aggiustamento macroeconomico, al fine di tenere debitamente conto, tra l’altro, di ogni scostamento significativo tra le previsioni macroeconomiche e i dati effettivi, anche alla luce delle eventuali ripercussioni derivanti dal programma di aggiustamento macroeconomico, da ricadute negative e da shock macroeconomici e finanziari. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, decide in merito alle modifiche da apportare a tale programma”.
Cosa vuol dire tutto questo in italiano? Vuol dire che i creditori possono cambiare quando vogliono le condizioni scritte all’inizio in quell’esotico Memorandum of Understanding (MoU) che in realtà dovremmo chiamare “concordato fallimentare”. E possono farlo in modo sostanzialmente unilaterale, perché ormai non solo c’è un contraente debole ed uno forte, ma c’è anche un accordo che prevede la sua modifica ed il suo adattamento al mutare degli eventi. E a decidere se gli eventi sono mutati non è il debitore, ma è il creditore. Non è difficile da capire.
Quel che si fa fatica a capire, invece, è che l’intelaiatura istituzionale dell’Unione – fondata sul rifiuto di avere una banca centrale come si ha in ogni parte del mondo che faccia da garante e prestatore di ultima istanza – è un’automobile anomala, che monta tre ruote, però quadrate e di legno. Ruote che siccome sono quadrate e di legno rotolano piuttosto male e producono sobbalzi ad ogni rotazione. La cosa davvero divertente dell’attuale situazione è che oggi in Europa, anziché pensare a montare quattro ruote, rotonde e di gomma, come tutti gli altri, si pensa a quali nuove sospensioni si possono ideare. Come queste nuove sospensioni siano fatte non si sa. Però hanno già un nome: coronabond o eurobond. È senz’altro un inizio. Quello che dovrebbe preoccuparci molto è la fine.
Perché ad essere strana e disfunzionale è l’intelaiatura del 1992, fondata sul divieto di monetizzazione del debito pubblico e sul divieto di anticipo di scoperti di conto. Due cose che si avevano quando si aveva una normale banca centrale. Quel che non si vuole dire è che ad essere strana e disfunzionale è l’area euro. Non è il resto del mondo. Da qui ogni altro problema. Perché quelli strani, purtroppo, non sono gli altri che ci sentono parlare di cose che non esistono. Siamo noi.