Dopo le indiscrezioni sull’Algeria, che circolavano da giorni, rilanciate dal sito di inchiesta Algerie Part, secondo cui Sonatrach, la società nazionale di idrocarburi algerina, “non ha la capacità di mantenere l’impegno preso nel nuovo accordo con l’Italia” (dei 9 miliardi di metri cubi promessi, Sonatrach potrebbe fornirne appena 4 miliardi), Eni è intervenuta con un comunicato per smentire ogni allarme: “nell’ultima settimana dall’Algeria attraverso il Transmed sono arrivati in Italia mediamente 70 milioni di metri cubi al giorno, che rappresentano circa il 36% del totale delle forniture e sono più di tre volte il flusso che è arrivato dalla Russia nello stesso periodo”. Ma che cosa sta avvenendo davvero in Algeria? Dobbiamo temere interruzioni o carenze di gas? “Occorre fare chiarezza – risponde Salvatore Carollo, esperto di trading energetico – perché non basta guardare il numero dei volumi esportati. La spiegazione del problema sta nel binomio tra volumi e prezzo”.
In che senso?
L’Algeria in passato, quando era il nostro principale fornitore, ha esportato verso l’Italia quasi 28 miliardi di metri cubi di gas, grazie alla capacità di trasporto che proprio l’Italia ha costruito con il Transmed, il gasdotto che passa attraverso il canale di Sicilia e arriva a Mazara del Vallo e che può trasportare fino a 30 miliardi di metri cubi.
Dove sta allora il problema?
Negli ultimi anni questo export è sceso intono ai 13-15 miliardi, solo nel 2021 è risalito a 22 miliardi e ancora oggi si aggira su questi livelli di esportazione.
Questi numeri cosa ci dicono?
L’Algeria sta affrontando una crisi nella produzione di gas: le quantità che riesce a estrarre non sono sufficienti a coprire tutte le sue potenzialità di export. In più, il Paese nordafricano ha costruito una serie di impianti di liquefazione per esportare Gnl verso i mercati dell’Asia. Per comprendere bene la questione occorre riandare allo scorso luglio, quando c’è stata la famosa missione del governo italiano in Algeria per siglare nuovi contratti di fornitura: allora abbiamo registrato molte dichiarazioni ufficiali di fonte italiana, ma nessuna da parte del governo algerino.
Come si spiega?
Questo silenzio e queste indiscrezioni ci dicono che in Algeria l’Eni è più che benvenuto. Venisse a investire per la ricerca di nuovi giacimenti di gas e, qualora la ricerca avesse successo, l’Algeria sarebbe ben lieta di esportare questo gas aggiuntivo in Italia, utilizzando tutta la capacità di trasporto disponibile. Ecco il messaggio che è arrivato dall’Algeria.
In questo scenario come si inserisce il fattore prezzo, cui accennava all’inizio?
L’Algeria ha una doppia opzione: o immette gas nella pipeline che arriva in Sicilia oppure va ad alimentare gli impianti di liquefazione, esportando Gnl.
Quale scelta sta facendo?
Se guardiamo al sistema dei prezzi in questo momento, oggi l’Italia importa gas che è disposta a pagare alle quotazioni del Ttf, la Borsa del gas di Amsterdam, che sono 5 volte maggiori del prezzo del gas liquefatto.
Quindi?
Sarebbero sciocchi gli algerini a sostenere i costi di liquefazione del gas per esportarlo a un prezzo 5 volte inferiore. L’Algeria quindi fa emergere le sue difficoltà a produrre più gas, ma nello stesso tempo preferisce fermare degli impianti di liquefazione ed esportare gas verso l’Italia, che stiamo pagando un occhio della testa.
Molto più di quello russo?
Sono stati gli italiani a chiedere a Gazprom, una decina di anni fa, di non legare più il prezzo d’esportazione del gas a quello dei prodotti petroliferi, dal gasolio agli oli combustibili, ma di indicizzarlo al Ttf, un indicatore molto inaffidabile e manipolabile. I tedeschi non hanno seguito questa strada e oggi pagano il gas russo la metà di quanto spende l’Italia. Questo spiega perché con tanta insistenza è proprio il nostro Paese a chiedere un tetto europeo al prezzo del gas. Ma noi stessi ci siamo impiccati con le nostre mani al prezzo del Ttf, che nasce in una Borsa fittizia, senza liquidità e oggetto della più grande speculazione nella storia dell’energia.
Perché dice questo?
Nel 1973, all’epoca dello shock petrolifero, il prezzo del greggio triplicò e poi ridiscese. Con il gas, invece, nel giro di poche settimane la quotazione è aumentata di 20 volte: non era mai successo nella storia dell’energia.
Cinque mesi fa in una intervista al Sussidiario aveva detto che “la corsa per la sostituzione delle forniture di gas russo” era solo “una messinscena”. A che punto siamo nella sostituzione del gas russo? L’Algeria riuscirà a mantenere i suoi impegni nei tempi previsti?
Al momento non ci sono forniture di gas aggiuntive dall’Algeria, perché ha problemi produttivi.
Si parlava di nuovi approvvigionamenti da Congo, Angola, Mozambico…
Si tratta di Paesi visitati dalle nostre delegazioni e che semplicemente non hanno gas esportabile. In Congo c’è un solo giacimento, ancora da esplorare, un progetto che non solo richiederà almeno 3 o 4 anni, ma anche l’approvazione di una società russa che è socia di questo giacimento. L’Angola, invece, ha solo gas associato ai campi petroliferi: una volta veniva bruciato in torcia, mentre oggi è raccolto e mandato in un impianto di liquefazione. Ma questo gas liquido, per un accordo a livello globale, viene venduto tramite gare d’appalto internazionali. Quindi, il Gnl angolano va a chi lo paga meglio, e finora gli acquirenti sono solo operatori dell’Estremo Oriente, che offrono il prezzo più alto. Per accaparrarcelo, prima dovremmo partecipare al tender e poi battere gli orientali. Non c’è alcuna garanzia, quindi, che lo si possa vincere.
Sulle difficoltà algerine nell’esportare gas c’è chi dice che può esserci lo zampino dei francesi, sempre più attivi in Nord Africa. Che ne pensa?
In Algeria – lo ripeto – vedo solo una questione mercantile, produttiva: deve investire di più nella ricerca di nuovi giacimenti. E i rapporti dell’Eni con l’Algeria sono ottimi e consolidati, visto che è stata la prima società internazionale a fare ricerca di idrocarburi nel Paese. Non certo i francesi. Insomma, altre interpretazioni mi sembrano solo fantasie.
Intanto, secondo fonti Snam, continuano a ritmo sostenuto le iniezioni di gas negli stoccaggi italiani. Su questo fronte ci stiamo muovendo bene?
Quest’anno la campagna di stoccaggio del gas è partita con grande ritardo, perché in primavera avevamo di fronte una situazione nuova, caratterizzata da estrema incertezza. I prezzi, a causa della speculazione ad Amsterdam, erano saliti alle stelle e gli operatori avrebbero dovuto comprare allora del gas a 200-250 euro per stoccarlo nei giacimenti sotterranei e poi magari rivenderlo in inverno a prezzi molto più bassi, magari a 80-100 euro. Nessuno si è accollato questo rischio e nessuno si è mosso. Poi, all’inizio dell’estate, con gli stoccaggi quasi vuoti, è scattato l’allarme e il governo ha sollecitato i principali soggetti della distribuzione ad accelerare il processo di stoccaggio. Adesso siamo risaliti a livelli abbastanza alti, c’è solo da completare la campagna di riempimento.
E sui rigassificatori?
I tre rigassificatori esistenti in Italia stanno operando quasi al massimo e stiamo massimizzando le importazioni dalla Norvegia. Se diamo priorità al Gnl, significa che abbiamo potuto diminuire l’import di gas russo durante l’estate, quando si tocca il livello di consumo più basso.
Ma adesso sta arrivando la stagione più fredda. “Gli approvvigionamenti senza gas russo sono sufficienti per superare l’inverno”, anche se allo stesso tempo “la domanda dovrà diminuire”. È quanto emerge da un’analisi realizzata da Ecco, think tank italiano indipendente per il clima. Alla luce della situazione attuale, cittadini e imprese a che inverno andranno incontro, soprattutto se la Russia interromperà i suoi flussi di gas?
Chiariamo subito una cosa: finora interruzioni di gas russo per volontà russa non si sono verificate. Mosca si è sempre attenuta ai contratti esistenti. Il gas russo è ancora oggi disponibile e arriva. Non solo: la gran parte del metano che giunge in Italia passa dai gasdotti dell’Ucraina, che nonostante ci sia una guerra in corso non sono mai stati toccati né bombardati, neanche per sbaglio.
Ma Nord Stream ha subìto diverse interruzioni, non è così?
Vero, ma per la Russia, al di là delle dichiarazioni propagandistiche e politiche, è stata una questione di forza maggiore: siccome le sanzioni dell’Occidente colpiscono soprattutto la possibilità di acquistare i pezzi di ricambio degli impianti, che Mosca fa molta fatica ad acquisire, turbine del gas comprese, tutto ciò si è riflesso sulla funzionalità del Nord Stream, impossibilitato a operare in piena sicurezza, non potendo i russi ripararne i guasti.
Detto questo, l’inverno sarà particolarmente difficile?
Noi stiamo affrontando una crisi legata al prezzo del gas, non al suo approvvigionamento. A mettere in ginocchio le nostre aziende e le nostre famiglie è il caro bollette. Ma questa è una scelta nazionale, perché siamo stati noi a voler ancorare il prezzo d’importazione al Ttf, da cui non riusciamo a schiodarci.
Secondo lei, perché?
Probabilmente c’è un coagulo di interessi consolidati che non ci permette di fare questa scelta, altrimenti non si spiega: ci stiamo impiccando con le nostre mani. E quando chiediamo agli altri Paesi europei un tetto al gas, è perché vogliamo che siano gli altri a imporci di non usare il Ttf? Ma sono loro che devono obbligarci a liberarci di una scelta che è tutta nostra?
Un accordo sul price cap sembra comunque più vicino. Può essere utile?
Ancora oggi non riesco tecnicamente a capire che cosa si intenda per price cap. Piuttosto rilancerei la proposta che ho avanzato un paio di settimane fa sul blog “Energia” diretto da Alberto Clò.
In cosa consiste?
Innanzitutto, liberiamoci dal Ttf: l’Authority per l’energia potrebbe stabilire il prezzo sulla base della media pesata dei prezzi d’importazione degli operatori che distribuiscono il gas in Italia. Questi prezzi dovrebbero essere tutti più bassi del prezzo del Gnl che viene dagli Usa, dove c’è un mercato del gas liquido, l’Henry Hub, quotato, pubblico e accettato in tutto il mondo. Ebbene, a quel punto accettiamo come prezzo d’importazione valido tutto ciò che è inferiore all’Henry Hub.
Se invece avessimo dei prezzi più alti?
Significa che qualche distributore italiano non sa fare il suo mestiere.
(Marco Biscella)
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