Ieri la Germania ha proclamato lo stato di emergenza sul gas dopo il calo delle forniture russe. Il ministro dell’Economia tedesco, Habeck, ha dichiarato che “non dobbiamo prenderci in giro. Il taglio delle forniture di gas è un attacco economico contro di noi da parte di Putin”. L’allarme in Germania da ieri è al livello 2 su una scala di tre e significa che “l’offerta di gas è diminuita ma è assicurata”; il livello d’allarme “3” sarebbe proclamato se l’offerta non fosse in grado di soddisfare la domanda. L’altro ieri il responsabile dell’Agenzia internazionale dell’energia ha dichiarato al Financial Times che “l’Europa dovrebbe essere pronta nel caso il gas russo venisse completamente tagliato”. L’Amministratore delegato di Volkswagen questa settimana ha dichiarato che le fabbriche sarebbero a rischio nel caso di interruzione del gas.
Le parole del capo dell’azienda automobilistica sono in linea con le dichiarazioni rese settimane fa dall’Amministratore delegato di Basf secondo cui staccare il gas russo metterebbe in dubbio la sopravvivenza delle società medio-piccole e probabilmente causerebbe in Germania la “peggiore crisi economica” dalla fine della Seconda guerra mondiale; una crisi che “distruggerebbe la nostra prosperità”.
Lo scenario che potrebbe materializzarsi, si pensi all’ipotesi della chiusura delle fabbriche Volkswagen, non è coerente con una narrazione di “qualche sacrificio”, più o meno grande, imposto ai cittadini per aiutare l’Ucraina. È uno scenario di impatti economici e sociali difficilmente calcolabili. Fino a qualche settimana fa, ricordiamo, valeva l’assunto che era l’Europa a danneggiare la Russia con le sanzioni su gas e petrolio. È un’interpretazione che può essere difesa fino a un secondo prima dell’interruzione. Fino a quel momento si può ancora sostenere che la Russia stia minacciando per ottenere prezzi più alti con cui compensare o più che compensare i minori volumi. Se i volumi andassero a zero la variabile prezzo diventerebbe ininfluente. La Russia avrebbe comunque le entrate dei Paesi verso cui ha dirottato le forniture; Germania e Italia dovrebbero chiudere le fabbriche.
A fronte di questa situazione offriamo un piccolo riassunto della politica energetica tedesca degli ultimi sei mesi. A gennaio del 2022 la Germania ha spento tre delle sue sei centrali nucleari con cui al momento si produce l’energia più economica del Paese. A fine febbraio ha dichiarato di voler raggiungere una produzione di energia da rinnovabili del 100% entro il 2035. A metà aprile è apparso chiaro che senza gas russo, si vedano le dichiarazioni di Basf, la Germania sarebbe entrata in una recessione profonda. Questa settimana è ripartita la produzione a carbone.
Ci sarà ancora un’industria tedesca quando il Paese avrà raggiunto i suoi obiettivi green? Oppure si festeggerà il risultato dopo aver ridotto la Germania a un’economia pre-industriale? L’Italia è in una situazione simile. Mentre si fanno i conti con le ipotesi di spegnimento dell’industria con ripercussioni occupazionali difficili da immaginare l’Europa continua nel suo sogno “green”; la riapertura delle centrali a carbone, che non arriva da Marte, è una misura non strutturale. L’Italia incentiva e sussidia di tutto e di più, costruisce nuove ferrovie, ma di costruire un impianto normativo e incentivi che spingano al massimo la produzione di gas nazionale non si parla.
Dove finisce la colpa di Putin, che è quello che è, e dove inizia la responsabilità dell’Europa, della Germania e dell’Italia?
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