Nel giorno in cui la Ue, Germania compresa, apre al tetto del prezzo del gas, fermando così le fiammate dei giorni precedenti (la quotazione è scesa a 257 euro), e diverse fonti del governo fanno trapelare che si va verso la proroga di 15 giorni, fino al 5 ottobre, del taglio delle accise sui carburanti, dal mondo produttivo si sentono risuonare due campanelli d’allarme. Secondo i presidenti di Confindustria Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto si rischia la deindustralizzazione per gli extra-costi dell’emergenza energetica, che ammontano a 40 miliardi di euro, e in diversi settori crescono le imprese che hanno deciso di non riaprire i battenti a settembre. Non solo: a giugno – fonte Istat – si stima che il fatturato dell’industria, al netto dei fattori stagionali, diminuisca dello 0,2% rispetto a maggio, il primo calo congiunturale dopo cinque mesi di crescita ininterrotta.



Per il governo Draghi (e per l’esecutivo che gli succederà) la partita economica resta sempre difficile e complicata, alla luce dei vincoli di bilancio e della manovra 2023 per la cui stesura i tempi sono assai stretti. Come tamponare gli aumenti delle bollette per famiglie e imprese? Come rilanciare l’industria? Quante risorse si possono mettere in campo in una congiuntura caratterizzata da tassi in ripresa e inflazione che non si arresta? Ne abbiamo parlato con Guido Gentili, ex direttore del Sole 24 Ore.



Il prezzo del gas è sceso sotto i 260 euro, dopo le fiammate delle settimane scorse, tornando ai livelli di metà agosto. Il mercato apprezza le aperture in Europa, Germania in testa, sul fronte del price cap. Apertura che arriva un po’ in ritardo?

Indubbiamente sì. La proposta era stata avanzata, per primo, già un paio di mesi fa proprio da Mario Draghi. Si sapeva dall’inizio che era una proposta difficile da far passare proprio per la contrarietà della Germania e c’è voluto un bel po’ di tempo prima che Berlino cambiasse…

Caro energia e bollette: il governo deve assolutamente agire prima del voto del 25 settembre?



Bisogna intendersi su che tipo di manovra deve essere messa in pista. Il governo è già intervenuto nei mesi scorsi per circa 40-50 miliardi a sostegno di famiglie e imprese per alleviare il caro bollette.

Adesso?

È in pista una proposta di soluzione europea, ma c’è da prevedere, appunto, anche una manovra italiana.

Che fare?

L’ultimo decreto del governo ha coperto il periodo che arriva fino a fine settembre, oggi si tratta di varare le misure necessarie per calmierare i prezzi, che prevedibilmente resteranno comunque alti, nell’ultimo trimestre dell’anno, a partire dalla verifica su se, come e quando disaccoppiare i prezzi di gas ed elettricità. Già questo costerà diversi miliardi.

Qui entra in gioco il nodo delle risorse che possono essere messe in campo. Tutti i partiti invocano un intervento massiccio di Draghi, da 30-40 miliardi. Ma si parla di 8-9 miliardi al massimo. Che spazi ci sono?

Teniamo presente che stiamo parlando di un governo dimissionario e in carica per gestire gli affari correnti. Attenzione però a due aspetti: è vero che l’articolo 77 della Costituzione consente al governo, in caso di elezioni anticipate, di porre mano a provvedimenti di emergenza, ma c’è in vigore anche la legge del 2012 che impone il pareggio di bilancio.

Dunque?

Nel caso in cui dovessero essere messe in campo le misure che chiedono molte forze politiche, con ipotesi di scostamento di bilancio, il Parlamento dovrebbe riunirsi per approvarlo a larga maggioranza. E qui entriamo in una zona delicata.

Sullo scostamento di bilancio Draghi si è detto contrario. Cosa vorrebbe dire per il nostro premier ammettere o fare lo scostamento di bilancio?

Draghi potrebbe anche prendere atto della volontà di una larga maggioranza, ma sappiamo anche che resta fortemente contrario e che tale scelta dello scostamento ci creerebbe enormi problemi nel percorso di riduzione del nostro debito pubblico. Una battuta d’arresto su questo terreno, in questo momento caratterizzato dalla massima attenzione dei mercati finanziari e di Bruxelles, diventerebbe molto difficile e rischioso.

Intanto i piccoli interventi di cui si parla per tamponare il caro bollette non rischiano di lasciare il nuovo governo con il cerino in mano?

Questa manovra contro l’emergenza gas – ed è uno dei rischi cui sapevamo che saremmo andati incontro nel momento in cui si è profilata la crisi di governo e si è concretizzata l’ipotesi delle elezioni anticipate – incrocia un passaggio decisivo: la stesura della Legge di bilancio 2023. Regole europee e tempi di approvazione sono strettissimi e questo metterà in difficoltà chiunque uscirà vincente dal voto, perché il governo avrà pochissimo tempo per mettere a punto la manovra. Siamo alla vigilia di un frangente complicato.

Scostamento di bilancio no, dice Draghi: ma dove si trovano le risorse senza ricorrere a extra-deficit?

Probabilmente la decina di miliardi di cui si parla sono il frutto di dati delle entrate fiscali migliori del previsto. Ma qui dobbiamo aspettare i numeri ufficiali.

Sull’energia è piombato l’allarme delle imprese del Nord, costrette a pagare “costi extra per 40 miliardi” e ci sono aziende di diversi settori che a tal motivo hanno deciso di non riaprire a settembre. C’è un rischio deindustrializzazione?

Il rischio deindustrializzazione esiste, soprattutto qualora non dovessero essere assunte le misure di sostegno alle imprese, non solo nazionali ma anche europee, di cui si parla.

Ieri, a conferma delle difficoltà, sono stati pubblicati i dati Istat sul fatturato industriale: a giugno un calo dello 0,2% dopo 5 mesi in rialzo: segnale preoccupante? Sarà una ripresa densa di incognite e problemi?

L’industria aveva previsto una battuta d’arresto, perché c’erano già segnali di rallentamento. È pur vero che i due primi trimestri dell’anno restano in territorio positivo, ma certo è il primo campanello d’allarme, che va a sommarsi a tutte le preoccupazioni che si vanno profilando.

Guardando alla campagna elettorale, che pure è largamente e giustamente dominata dal dibattito sull’emergenza energia, quanto è presente il tema del rilancio industriale?

Purtroppo la campagna elettorale di cui siamo testimoni, ormai a poche settimane dal voto, non sta offrendo un bello spettacolo, tutt’altro. È una campagna elettorale, come ha scritto il politologo Ferrera, che assomiglia a una sorta di luna park informativo dove ciascun partito, in un bailamme di proposte, si costruisce a misura la propria ricetta, o come ha ricordato il sociologo De Rita alla fine c’è una gara a chi garantisce più tutele o sussidi in una corsa competitiva all’assistenzialismo, dalle pensioni ai bonus. Emerge invece scarsa attenzione, salvo poche eccezioni, al mondo produttivo, alla sua competitività e al suo rafforzamento. Le risposte dei partiti mi sembrano troppo poche e troppo deficitarie.

Parliamo di Pnrr: entro il 25 settembre Draghi dovrebbe cercare di accelerare su qualche riforma?

Sul Pnrr Draghi è impegnato, molto giustamente, a cercare di raggiungere già entro ottobre i risultati previsti dalla road map entro la fine dell’anno. Ballano 19 miliardi e non possiamo assolutamente perderli. All’interno di questo quadro ci sono temi, e cito in particolare quello della concorrenza, ad alta sensibilità politica, che hanno sostanzialmente subìto un rinvio a causa della litigiosità dei partiti. E molte forze politiche già promettono che bloccheranno queste aperture alla concorrenza. Sarebbe oggettivamente un problema rilevante: primo, perché la Ue ci ha già sanzionato su questo terreno; secondo, perché ci troveremmo a non portare a casa questa riforma, con pesanti ricadute proprio sull’attuazione e sul finanziamento del Pnrr.

Vista la congiuntura, andrebbe concordato un rilancio a livello europeo del Next Generation Eu?

In piena pandemia, due anni fa, l’Europa ha avuto il coraggio di varare il Next Generation Eu, emettendo debito comune per finanziare il futuro dei nostri Paesi. Noi vi abbiamo fatto ampiamente ricorso, siamo il primo Paese beneficiario di questo strumento che è un mix di prestiti e sussidi. Credo però che al momento non ci siano le condizioni per una sorta di Recovery plan dell’energia, mi sembra un’idea poco realistica, perché è cambiata la politica monetaria con tassi in crescita e l’inflazione non smette di galoppare. Sarebbe già un risultato storico ottenere il price cap sul prezzo del gas.

Gli hedge fund hanno messo nel mirino l’Italia: la speculazione affilerà ancora di più le unghie contro il nostro Paese e il nostro debito?

I mercati fanno il loro mestiere. Pur avendo avuto ottimi risultati positivi sotto il profilo della crescita dopo 20 anni e più di stagnazione, sappiamo da anni che il nodo del debito e del suo finanziamento rimane in piedi: è una vulnerabilità che conosciamo da tempo. E una campagna elettorale in cui dominano le proposte per accrescere la spesa non fa che rendere ancor più il terreno franoso. Eravamo, siamo e resteremo osservati speciali: finché avremo questa palla al piede, non possiamo interrompere la strada del rientro del debito, senza rifugiarci nell’alibi dei mercati cattivi che ci stanno affamando. Facciamo i conti con la realtà.

(Marco Biscella)

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