La prima notizia “offerta” ieri agli investitori europei da Bloomberg è stato il piano del governo inglese per affrontare l’emergenza energetica.

Il primo ministro Liz Truss ha messo a punto la bozza di un piano per contenere la spesa per gas e luce della tipica famiglia inglese sotto la cifra di 1.971 sterline all’anno (circa 2.300 euro). Secondo le prime stime l’intervento costerebbe circa 130 miliardi di sterline nei prossimi 18 mesi ed è necessario per evitare un incremento dei costi delle utenze dell’80% già a ottobre.



Il piano inglese prevede che il governo indennizzi le società elettriche e del gas per la differenza tra il prezzo che avrebbero fatto pagare agli utenti nel vecchio schema e quello che invece passeranno effettivamente a causa del prezzo calmierato imposto dal governo. Semplificando ulteriormente: il governo paga la differenza e per gli utenti non cambia niente.



La notizia è significativa da molti punti di vista. La cifra che il governo inglese ha deciso di mettere sul tavolo è pari a diverse finanziarie italiane, per un intervento di breve periodo che non è risolutivo di nulla nel lungo termine. È la conferma, almeno, di due “verità”: la protesta sociale che ha manifestato i primi sintomi in questi giorni è un mostro che fa paura e che non è controllabile con strumenti convenzionali; i governi hanno un numero esiguo di opzioni.

La prima opzione è far pagare l’emergenza al bilancio statale; il costo è l’incremento del debito pubblico e alla fine più inflazione. È, sicuramente per il governo inglese, la soluzione più indolore, perché può dare al sistema tempo per adeguarsi ed evita conseguenze drammatiche sia sulla qualità della vita delle famiglie che sul sistema politico e sociale sottoposto a pressioni ingovernabili.



La seconda opzione è quella dei razionamenti per evitare che la distruzione della domanda sia lasciata al “mercato” e l’unico criterio che decide chi può o non può permettersi il gas e l’elettricità diventi la disponibilità economica famigliare o aziendale. Questa seconda opzione, il razionamento, è obbligatoria per chi ha un problema di disponibilità fisica oltre che di prezzo e ha un difetto: incide profondamente sulle abitudini delle famiglie e sull’attività delle imprese. Si pensi ai rumour secondo cui il governo francese starebbe studiando un piano per ridurre il numero dei treni per “risparmiare” elettricità.

I sistemi che ritardano gli interventi governativi, o in termini di ricorso al debito pubblico o in termini di razionamenti o entrambi, alla fine ottengono solo di prolungare la fase in cui si manifestano i maggiori danni economici e sociali, perché l’epilogo è inevitabile, a meno di mettere in conto di far saltare il sistema.

È il caso italiano in cui i razionamenti non sono ancora nell’agenda politica e in cui i maggiori partiti, per necessità, convinzione o vincoli esterni, non vogliono parlare di deficit pubblico. Temporeggiare non è una opzione, perché non ci sono soluzioni al di fuori della fine della guerra o, nella migliore della ipotesi, di un piano energetico che richiede la fine delle politiche green e molti anni.

Si arriverà comunque, alla fine, o ai razionamenti o all’esplosione del debito pubblico. L’unica differenza è i danni che si produrranno nel frattempo. Esattamente come non c’era alternativa al “whatever it takes” della Bce, ma il tempo che è trascorso tra l’inizio della crisi dei debiti sovrani e la loro inevitabile fine non è stato “neutro”.

Altro discorso è chiedersi quanto a lungo possano essere sostenibili gli interventi come quello del governo inglese. Centotrenta miliardi di sterline per 18 mesi è un numero che difficilmente può essere riproposto per anni senza avere impatti; questo nell’ipotesi che il contesto geopolitico rimanga quello di oggi e invece non peggiori. Quanto siamo lontani, per esempio, da un’escalation che coinvolga le infrastrutture energetiche o alcuni dei Paesi produttori sia nel Mediterraneo che nel Medio Oriente? In questo caso i problemi di oggi esploderebbero. A ulteriore conferma che l’unica soluzione vera è la fine del conflitto.

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