Mentre in Germania è già scattata l’emergenza gas, che può mettere addirittura a rischio la produzione industriale del paese, nei giorni scorsi dal premier Draghi e dal ministro Cingolani sono arrivate parole rassicuranti sul fatto che in Italia non si corre “alcun rischio di razionamento” del gas, perché avremo “un inverno senza emergenze”. Intanto, sul fronte europeo, slitta ancora il dibattito, caldeggiato dal primo ministro italiano, per arrivare a fissare un tetto europeo al prezzo del gas, tema che sarà in agenda a Bruxelles non prima di settembre. Nel frattempo, come ci stiamo attrezzando in vista del prossimo inverno? Davvero non corriamo lo stesso rischio della Germania? Ne abbiamo parlato con Roberto Bianchini, partner Ref Ricerche e direttore dell’Osservatorio Climate Finance del Politecnico di Milano.



In Germania è allarme gas: industrie a rischio e uso razionato già quest’estate. Il premier Draghi ha invece rassicurato: “Inverno senza emergenza in Italia”, come a confermare il messaggio tranquillizzante lanciato dal ministro Cingolani in una recente intervista alla Stampa, in cui ha dichiarato: l’Italia è “quasi fuori pericolo”. Non corriamo quindi lo stesso rischio dei tedeschi?



Negli ultimi mesi l’Italia si è mossa bene sul versante della diversificazione degli approvvigionamenti. A mio avviso, però, ad oggi la sicurezza totale di essere fuori pericolo non c’è.

Perché?

A preoccupare oggi, e non so quanto ciò sia presente nelle ultime stime del governo, è la siccità. È un ulteriore fattore di incertezza, che determinerà una forte riduzione della produzione idroelettrica. E l’idroelettrico pesa per il 30% sulla nostra produzione di energia elettrica.

Dove sta il problema?

Se viene a mancare parte di questa quota, deve essere coperta da altre fonti, rinnovabili, gas e carbone.



Il razionamento del gas è escluso, dice Cingolani, ma ha aggiunto: “incrociamo le dita”, perché la variabile guerra può sempre far precipitare la situazione. In tal caso, abbiamo un piano d’emergenza?

I piani di emergenza, in caso di mancanza di gas, sono sempre previsti e sono legati alla riduzione dei consumi nelle imprese interrompibili. Una quota delle riserve strategiche serve per coprire interruzioni di approvvigionamento soprattutto per la domanda di gas a uso civile, proprio per far sì che le famiglie non restino al freddo. Ovviamente non si potranno costruire nuove infrastrutture, che richiedono molto tempo, ma probabilmente, da qui all’autunno, potrebbero essere sviluppati alcuni piani di mutuo soccorso tra paesi europei.

In cosa consistono?

Si può lavorare sui cosiddetti reverse flow: in pratica, si inverte il flusso nei tubi che solitamente vengono utilizzati per trasportare il gas nei vari paesi. Sono attività già utilizzate negli ultimi anni.

Sarebbe sufficiente far così anche nel caso in cui la Russia decidesse l’interruzione completa dei flussi di gas?

Difficile rispondere. Ci si augura che ciò non accada.

È vero che l’Italia è messa meglio della Germania?

Rispetto alla Germania un aiuto in più arriva dal fatto che l’Italia abbia già dei porti, da Piombino a Ravenna, dove è da subito possibile far sbarcare navi per la rigassificazione. Così come aiuta il fatto che Snam abbia già acquistato una nave per rigassificare e ne stia acquistando una seconda. Senza dimenticare che proprio nei giorni scorsi Eni ha firmato un contratto di co-investimento di un giacimento di gas in Qatar.

Gli stoccaggi sono al 55%. A che livello sarebbe opportuno arrivare in autunno?

All’80-90%.

Riusciremo a centrare l’obiettivo per non temere di dover affrontare un inverno al buio e al gelo?

Più che un problema di approvvigionamento, è un problema di costi, di quanti soldi il governo metterà sul tavolo.

In che senso?

Con un prezzo oggi del gas molto alto gli operatori devono avere grossi incentivi per riempire gli stoccaggi. Non solo: quante risorse si metteranno in campo per coprire questo rischio?

Di che cifre stiamo parlando?

Rispondo con un esempio: se oggi il prezzo del gas è a 130, ma in inverno – perché per assurdo la guerra in Ucraina nel frattempo si è chiusa – la quotazione sarà scesa a 80, quel delta di prezzo degli operatori, che hanno comprato a 130 e rivendono a 80, va coperto, altrimenti rischiano di fallire. È l’ampiezza di questo delta che è molto difficile da stimare ex ante.

Al posto del gas russo che arriva via gasdotto, gli approvvigionamenti alternativi arrivano via mare e costano di più. È così? Andiamo incontro a una bolletta energetica salatissima?

I processi di liquefazione e rigassificazione hanno un costo che è mediamente più alto di quello del gas che si muove via gasdotto e resta molto più alto, circa il 20% in più, rispetto al prezzo che si pagava un anno fa. Il prezzo finale del Gnl è comunque collegato con quello del Ttf, il mercato di riferimento europeo, e in questo momento pesa di più il prezzo elevatissimo dell’hub che non lo spread stesso fra Gnl e gas via gasdotto.

Draghi ha chiesto più volte con forza un tetto europeo al prezzo del gas. È una soluzione non più rinviabile?

È una soluzione molto difficile da implementare per due ordini di problemi. Innanzitutto, qual è il prezzo giusto per 27 diversi paesi?

Secondo problema?

Il gas arriva con contratti di approvvigionamento a lungo termine, i cosiddetti take-or-pay, in cui le due parti si obbligano a vicenda a vendere e a comprare certi quantitativi di gas a un prezzo, indicizzato a quello del petrolio o del gas spot. Ebbene, nel momento in cui si mette un tetto al prezzo, chi vende con contratti take-or-pay chiederà una negoziazione, andrà in arbitrato?

Insomma, potenziale rischio contenzioso per il take-or-pay. Ma cosa succede al gas acquistato spot?

Anche in questo caso, nel momento in cui si mette un tetto, un venditore di gas potrebbe a quel punto decidere di dirottare le sue forniture verso aree del mondo o verso paesi disposti a pagarlo di più, perché lì non ci sono tetti. Potrebbe dunque innescarsi un processo di riallocazione dei flussi.

(Marco Biscella)

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