Quanto sgomento e tristezza, quale grande senso di smarrimento e di generale sconfitta lasciano nell’intimo di ognuno i numerosi, troppi episodi di violenza che ogni giorno accadono in tutto il mondo. In modo particolare si resta sconvolti quando episodi, spesso di inaudita violenza, sono perpetrati da persone deputate al servizio, al soccorso di altre persone e in ambienti speciali come la scuola, gli istituti sanitari o penitenziali, durante il servizio delle forze dell’ordine (l’esempio del carcere minorile Beccaria a Milano, lo studente 25enne di Spoleto arrestato a Miami, i femminicidi, le baby gang, eccetera).
Ma la violenza purtroppo è diffusa, è ovunque, in tantissimi ambiti della vita personale e sociale. Anche questo deve alquanto preoccupare. Basta pensare a come vivono tra loro i giovani, come si trattano, si parlano; egualmente come gli adulti trattano se stessi o i figli o i giovani. La frase di un professore ultimamente mi ha colpito: “Se penso a come sono oggi gli studenti, così distratti e avversi, se penso poi allo stipendio che mi dà lo Stato, chi me lo fa fare di essere appassionato alla scuola e ai miei allievi?”.
Sembra scontato dunque che la cifra dei rapporti tra le persone (tra gli Stati, tra i popoli!) sia la sopraffazione, il sopruso, l’aggressività, la conquista… o il disinteresse, il cinismo. Cosicché la conseguenza inesorabile è che la vita, la realtà, si ammanta di inutilità, la paura e l’angoscia divengono i grandi compagni di viaggio per tanti uomini del nostro tempo.
Dov’è, dov’è andato a finire il valore della persona, il valore della vita? L’attenzione, il rispetto, il riconoscimento della dignità dell’altro? Quella sacra, impegnativa considerazione che è bello, importante, necessario portare ad ogni persona? Dov’è sparita la grande positività dell’esistenza, la speranza necessaria per sostenersi?
Insomma, non è il male ad essere affascinante e intrigante, è il bene; il volto di ogni persona è il fatto, l’avvenimento più ammirabile.
Un uomo, un giorno, capitando in una nostra comunità, guardando i ragazzi ma rivolgendosi a me se ne scappò con quest’affermazione: “Quando vengo qui, quando guardo i tuoi giovani, mi viene da stare in silenzio, vorrei mettermi in ginocchio e guardare, e ascoltare!”
Forse il dramma più cocente ed evidente è la convinzione – di tutti e da moltissimo tempo – che in fondo la vita è solamente l’esito delle mie mani. La mia esistenza sarà quello che io con la mia capacità, la mia forza, il mio impegno riuscirò a guadagnare, a costruire! Tanti giovani e adulti affermano: “il mio primo interesse è avere tutto sotto controllo!”
Se la vita è questo, inevitabilmente, diverrà cattiva, violenta, annientatrice della vita altrui… e anche della propria. Non il possesso ma la gratitudine è l’unità di misura nei rapporti, nel quotidiano, nelle azioni interpersonali. Allora l’altro non è un nemico, ma un amico, un avvenimento esaltante e fecondo, un dono appunto. Allora il grande impegno, l’immenso lavoro della vita non è la lotta tra gli uomini, ma amare, imparare ad amare, a collaborare tra le persone, ad aiutarsi con entusiasmo e coraggio.
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