Le uniche dichiarazioni Guido Bertolaso le ha affidate a Twitter. Da una parte una citazione dal sapore kennediano (“non chiedetevi che cosa il vostro paese può fare per voi…”), dall’altra la rivendicazione di aver affrontato l’epidemia di ebola in Sierra Leone e l’apertura dell’ospedale Spallanzani. Conclusione: come potevo non aderire alla richiesta del governatore lombardo Fontana di dare una mano?
L’uomo che, dopo Giuseppe Zamberletti, più ha impersonato la Protezione civile in Italia si appresta così, a 69 anni di età, a tornare in prima linea. Missione (quasi) impossibile: aprire nei padiglioni della Fiera di Milano un ospedale attrezzato per trattare i malati di coronavirus in terapia intensiva. E farlo in una manciata di giorni, perché la sanità lombarda, eccellenza assoluta, è davvero ormai al collasso.
La sua nomina rappresenta un autentico atto di guerra di Milano verso Roma, ma tutti devono fare finta di applaudire, persino l’attuale numero uno della Protezione civile, Angelo Borrelli, che ricorda come proprio Bertolaso è stato il suo maestro. Erano fianco a fianco all’Aquila al tempo del terremoto del 2009, tanto per dire.
Nei giorni scorsi Bertolaso era stato invocato come il salvatore della patria, ma a lui è stato preferito il capo di Invitalia, Domenico Arcuri, con l’unico compito di occuparsi del reperimento delle forniture mediche. Se la Lombardia ricorre a lui è per lanciare un messaggio disperato. Fontana accusa ogni giorno di più il governo di scarsa attenzione. Parla di percezione sbagliatissima a Roma e nel resto d’Italia. Si prepara a giocare tutte le carte, a non lasciare nulla di intentato. Se il governo non reperisce i respiratori necessari, è pronto a comprarli all’altro capo del mondo, costi quel che costi. E se il governo farà nel decreto economico scelte insufficienti per la sua Regione, è pronto ad andare allo scontro totale.
Quando sarà passata, l’emergenza coronavirus potrebbe lasciare sul terreno insieme alle tante vittime anche una totale diffidenza fra le Regioni del Nord e il governo centrale. Una distanza che rimarrà a lungo. Si era capito sin dal principio, dallo scontro dei primi giorni fra Conte e il governatore lombardo. Adesso la situazione è persino peggiorata, di pari passo con il bollettino dei contagi e dei morti.
Fontana dice di aver preso alla lettera le parole di Mattarella: mobilitare tutte le risorse disponibili. E la nomina di Bertolaso è indice di un solco che si allarga sempre di più. E forse è persino tardi per un’inversione di tendenza da parte del governo centrale, da cui era atteso un sostegno molto maggiore. Del resto, Zaia è sulla stessa linea di Fontana, le frizioni fra Venezia e Roma non si contano. E non è che il piemontese Cirio, o il friulano Fedriga siano più soddisfatti del supporto avuto.
Quando si potrà tornare finalmente alla normalità, questi nodi peseranno e non poco. E in questo non è che Salvini conti più di tanto. In questa crisi sono venuti al pettine tutti i nodi di un federalismo malfatto, sulla base della riforma costituzionale del titolo V del 2001. Da una parte troppi personalismi localistici, dall’altra la carenza di coordinamento. Saranno temi scottanti, che dovrà affrontare chiunque siederà a Palazzo Chigi. Questo governo, oppure un altro, che potrebbe nascere quando la sirena dell’allarme rosso cesserà finalmente di risuonare.