Siccità estrema, mancanza di precipitazioni piovose, temperature oltre la norma stagionale: stiamo davvero vivendo uno scenario inedito rispetto al passato? E soprattutto, uno scenario da cui non si può più tornare indietro? Prima di gridare all’apocalisse prossima ventura, come ci ricorda in questa intervista Tommaso Moramarco, ingegnere idraulico e direttore dell’Istituto di Ricerca per la Protezione Geo-Idrologica, “ricordiamo che in anni recenti, esattamente il 2003 e il 2007, abbiamo già vissuto una esperienza analoga”.
Nel dettaglio, l’estate del 2003 è passata alla storia per un periodo di 80 giorni con temperature oltre i 30 gradi mentre quella del 2007, secondo l’Osservatorio Geofisico del Dipartimento di ingegneria dei materiali e dell’ambiente dell’Università di Modena e Reggio Emilia, è stata nel modenese la quarta estate più calda in oltre 160 anni con due mesi, quelli di luglio e agosto, tra i meno piovosi della storia. Non solo: a queste estati si affiancano quella del 1998, con 52 giorni di temperatura superiori ai 30 gradi, e quella del 1950, ben 60 giorni.
Tutto questo ci dice di una realtà con cui non possiamo non fare i conti, quella dei picchi di temperatura e di scarsa pioggia, “ma che dobbiamo e possiamo approntare misure preventive che permettano di affrontare criticità come quella che stiamo vivendo quest’anno” dice ancora Moramarco.
Si tende a descrivere questa estate 2022 come una delle più estreme di sempre, tra temperature oltre la norma e scarsa piovosità. Ma è davvero così?
No, ci troviamo nello stesso tipo di emergenza davanti alla quale ci siamo già trovati più volte in passato. Questa estate è leggermente più grave ma non così diversa da quelle del 2003 e del 2007, ad esempio. Abbiamo avuto uguali situazioni di siccità in passato. Il vero problema ritengo sia pensare a una diversa utilizzazione delle nostre riserve d’acqua.
Cioè? Ripensare l’intero apparato idrico? Cosa non funziona?
Innanzitutto il settore cosiddetto artificiale, cioè i serbatoi di acque piovane e quello naturale, come le falde acquifere. Va pensata una gestione ottimale che deve prevedere gli scenari climatici come quello attuale per non trovarci impreparati quando si verificano queste condizioni.
È stato però denunciato il fatto che già in inverno ci fossero state scarse precipitazioni, soprattutto nevose, e che questo ci avrebbe permesso di prevedere la situazione di siccità in cui ci troviamo.
Non è giusto mettere sotto accusa la rete di osservazione e monitoraggio idrico che abbiamo a disposizione, così come l’osservazione delle falde è abbastanza ottimale per analizzare questi eventi. Il problema è che sono occorsi eventi non prevedibili.
Ci spieghi.
Siamo di fronte a una situazione climatica in continua evoluzione. Come dicevo prima quello che dovremmo effettivamente fare è un lavoro puntando a una diversa utilizzazione delle risorse proprio per prevenire situazioni come quella che stiamo vivendo.
Ad esempio per quanto riguarda gli invasi d’acqua?
Certamente. Non andremo a risolvere il problema, l’impatto però sarebbe oggi inferiore se avessimo messo in moto una capacità di gestione delle acque diversa. Si tratta anche di un approccio culturale diverso per ridurre l’impatto delle crisi idriche.
Un lavoro complesso e lungo nei tempi…
Non è detto. C’è oggi in Italia una frammentazione degli enti gestori delle risorse idriche, bisognerebbe rendere omogenei, più organici e sinergici questi enti. Sarebbe sicuramente un passo avanti. È necessario un tavolo tecnico dove si radunino tutti i rappresentanti di questi enti e dove si valutano le soluzioni per ridurre l’impatto di questi eventi critici.
Un problema molto sentito è quello dell’avanzata del cuneo salino, dell’acqua di mare, nell’area del delta del Po. Che danni sta provocando e come affrontare la situazione?
Purtroppo è un’emergenza già in atto, se non vado errato siamo già a una avanzata delle acque di mare di 30 chilometri, questo ha un impatto forte sul piano agricolo per l’irrigazione, un impatto estremamente negativo. È una situazione borderline. Deve diventare obbligatorio sulla base di questa esperienza farne tesoro per il futuro. Prevenire è sempre meglio che curare.
I danni prodotti da questa siccità al sistema agricolo sono molto elevati. È ottimista per quanto riguarda la capacità di porvi rimedio in futuro?
Sono sempre ottimista, se c’è la volontà di risolvere i problemi, si riesce. C’è un problema però che va oltre a questo: mancano le risorse economiche. La scienza analizza i danni e fa valutazioni, però ci vogliono risorse economiche per mettere insieme le diverse complessità che ci sono nella gestione idrica.
(Paolo Vites)
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