L’obiettivo è di elaborare entro fine giugno un memorandum di intesa tra l’Unione europea e la Tunisia non solo sui migranti, ma anche su economia, cultura e istruzione. Ne hanno parlato a Tunisi la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il premier olandese Mark Rutte con il presidente tunisino Kais Saied. Una visita che potrebbe rappresentare una svolta per il Paese nordafricano, a rischio bancarotta e in attesa di ottenere un finanziamento dal Fmi da quasi 2 miliardi.



Intanto anche l’Europa è pronta a mettere sul tavolo 900 milioni di euro per contribuire a stabilizzare la Tunisia evitando così l’emigrazione soprattutto dei giovani, disoccupati per il 40%. Ma l’Italia pensa anche a una conferenza internazionale sulle migrazioni e sullo sviluppo. “L’idea -dice Michela Mecuri, docente di cultura, storia e società dei Paesi musulmani all’Università di Padova– nasce dalla costatazione che non possiamo ridurre il problema del flusso migratorio alle coste libiche o tunisine. Lo abbiamo fatto in questo momento ma in un’ottica iniziale, per certi versi emergenziale”.



La visita a Tunisi porta l’annuncio di un partenariato Ue-Tunisia non solo sui migranti. Il controllo dei flussi deve partire dalla stabilizzazione dei Paesi di partenza?

Sì, è un assunto irrinunciabile. Più un Paese è stabile e sicuro dal punto di vista politico ed economico, più è difficile per le organizzazioni criminali attecchire. Supportare l’economia della Tunisia, come l’Italia e l’Unione europea stanno cercando di fare con un prestito iniziale di 900 milioni e perorando la causa tunisina presso il Fondo monetario internazionale, significa cercare di renderla più ricca, più stabile, creando un contesto in cui ci sono meno incentivi ad operare per le organizzazioni criminali e soprattutto in cui i giovani tunisini, il cui tasso di disoccupazione raggiunge il 40%, siano meno spinti a partire. Più un Paese è stabile e più è facile controllare i flussi migratori anche attraverso accordi con le leadership al potere.



Dopo l’accordo a livello europeo sui migranti, la visita congiunta Meloni-Von der Leyen a Tunisi. La gestione della crisi tunisina segna una svolta da parte della Ue?

E’ ancora presto per dirlo.  Sulla carta e dopo la visita a Tunisi con Von der Leyen ci sono i presupposti per un maggiore coinvolgimento dell’Unione europea nella gestione della crisi tunisina, ma anche più in generale nella questione migratoria, soprattutto per i richiedenti asilo. E’ quanto emerge dal patto sull’immigrazione recentemente discusso a Lussemburgo. Dire che questa sia una svolta da parte della Ue mi sembra ancora abbastanza prematuro, perché come sempre l’Unione europea è molto generosa nelle parole, ma poi i fatti spesso non corrispondono alle promesse fatte.

L’idea di fondo dei colloqui é di rafforzare i rapporti con la Tunisia. Oltre ai migranti riguarda anche  istruzione, cultura, economia. In concreto come può svilupparsi questo progetto e quale sarà il ruolo dell’Italia?

Fin dai tempi del partenariato mediterraneo del 1995 L’Europa aveva capito che un approccio globale ai Paesi del Mediterraneo era quello giusto. Un approccio che non deve comprendere solo la sicurezza, quindi i flussi migratori, ma anche gli aspetti  economici e culturali. Qualcosa lo stiamo già facendo: abbiamo definito partnership con la Tunisia per la realizzazione di una interconnessione elettrica che dalle coste tunisine dovrebbe arrivare a quelle italiane. Stiamo pensando a numerosi investimenti, soprattutto da parte italiana, per le infrastrutture e l’agroalimentare. Si è parlato molto anche di scambi culturali tra la Tunisia e l’Italia in ambito soprattutto universitario. Credo che queste siano soluzioni che possano creare un partenariato che vada oltre la semplice economia, legando l’Italia alla Tunisia in maniera sempre più stretta e facendo del nostro Paese un ponte con la Tunisia e un referente europeo per tutto il Nord Africa.

La Ue prevede l’impiego di fondi per aiutare la Tunisia, ma come si può contribuire a trovare un accordo tra Tunisi e Fmi?

Da questo punto di vista dobbiamo essere estremamente pragmatici. La Tunisia è sull’orlo di un default economico. Ha bisogno dei fondi e degli aiuti europei ma soprattutto dei fondi dell’Fmi che ammontano a quasi a 2 miliardi. Senza questi soldi andrebbe in default e Saied potrebbe essere defenestrato. In cambio il Fondo monetario ha chiesto una revisione delle politiche tunisine, come il taglio dei sussidi su alcuni beni di prima necessità. Sarà molto difficile da fare: tagliare i sussidi sul pane e sulla benzina potrebbe portare a proteste e rivolte interne. Il Fondo monetario internazionale ha chiesto anche una maggiore apertura di Saied che aveva attuato strette sui migranti subsahariani e si era arrogato poteri del Parlamento e della magistratura, arrestando anche membri dei partiti di opposizione. Credo che su questo sia conveniente per Saied venire incontro al Fmi in una sorta di do ut des. E’ un buon giocatore di scacchi e sa che dovrà cedere su un maggior rispetto dei diritti umani per avere questi fondi.

La Von der leyen e il premier olandese Rutte hanno sottolineato che l’accordo con la Tunisia deve andare di pari passo con il tema dei diritti umani. Come potrà avvenire il controllo dei flussi?

Il controllo dei flussi potrà avvenire solo con una partnership rafforzata tra la Tunisia e l’Italia. Mi auguro anche attraverso un partenariato Ue-Tunisia da portare al Consiglio europeo di fine giugno. Occorre un maggiore supporto alla guardia costiera tunisina e una collaborazione congiunta per il controllo delle frontiere. Tutto ciò può avvenire in un contesto di maggiore stabilità e di controllo sulle organizzazioni criminali che lucrano sul traffico di migranti, organizzazioni attive, ad esempio, ai confini tunisini e algerini.

Qual è l’obiettivo della conferenza internazionale su migrazione e sviluppo annunciata dalla Meloni?

L’approccio che l’Italia vuole trasmettere all’Europa, e non solo, è di guardare l’immigrazione a 360 gradi. E vuole farlo riunendo più nazioni possibile della sponda Sud del Mediterraneo e del Medioriente, fino ai Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo, per ascoltare le esigenze dei diversi Paesi e creare progetti ad hoc su cui convogliare finanziamenti pubblici e privati. Bisogna guardare a questi Paesi come a un’opportunità dal punto di vista economico, per far rimanere i migranti a casa loro: hanno il diritto di rimanerci. Con questo approccio, che sappia guardare alle problematiche dell’Africa nel modo più allargato possibile, si potrà realizzare un piano vero, concreto, per questo continente. Il Governo Meloni lo chiama piano Mattei, deve essere un piano che tenga conto di una molteplicità di problematiche, che vanno dalla crisi del grano ai cambiamenti climatici. Può sembrare un’utopia ma è un primo passo va fatto quanto prima.

 

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