Sul sito della Bce, rilanciato dagli account social ufficiali, ieri è comparso un contributo di Fabio Panetta, membro del comitato esecutivo della banca centrale. È un intervento che ci sembra si inserisca nel dibattito iniziato da Mario Draghi qualche settimana fa dalle colonne del Financial Times. Secondo Panetta, sarebbe nell’interesse dell’Europa una “forte e simmetrica risposta fiscale” che controbilanci gli effetti del coronavirus sull’economia.



La parola chiave, “simmetrica”, viene meglio specificato nel contributo. Si chiede in sostanza che le misure economiche non tengano conto della situazione di partenza dei diversi Paesi, in particolare, immaginiamo, del rapporto debito/Pil. Per Panetta la risposta fiscale dovrebbe essere proporzionata alla grandezza dello shock, non dovrebbe peggiorare la frammentazione dentro l’Europa e non dovrebbe compromettere il mercato unico europeo; le imprese dovrebbero essere messe in grado di sopravvivere indipendentemente da dove siano collocate all’interno dell’eurozona. Questo ultimo punto è evidentemente di importanza capitale. Se la risposta in Europa fosse asimmetrica come, aggiungiamo noi, nel 2008 e poi nel 2011/2012, si avrebbe una grande frammentazione sia economica, sia, ci dice ancora Panetta, politica.



I mezzi andrebbero dal Mes a nuovi strumenti; in ogni caso, un’adeguata risposta europea “faciliterebbe l’implementazione” dei programmi della Bce. Una volta che l’emergenza è finita, conclude Panetta, i Paesi dovrebbero affrontare i propri problemi di competitività e di sostenibilità di lungo termine. “Più la risposta è veloce, più i Paesi saranno nella posizione di affrontare quei problemi”.

È inutile precisare che questo programma sia fatto su misura per l’Italia. In sostanza, si chiede all’Europa, nel suo stesso interesse, di dimenticarsi durante questa crisi di quello che è successo prima, dei problemi strutturali e dei debiti, e di fare i conti dopo quando la crisi sarà finita. Per conti si intendono i riferimenti ai problemi di competitività e di debito. È tutto ovviamente sensatissimo, ma c’è un ma grosso come una casa. Il problema è chi garantisce in Europa che i soldi messi sull’Italia dimenticando i suoi molti problemi non diventino una scusa non solo per non fare nulla, ma per riconsegnare a crisi finita un’Italia ancora più problematica nel medio lungo termine. Volendo estremizzare: il ragionamento di Panetta difficilmente è contestabile in linea teorica, ma “cade” agli occhi degli europei sull’inaffidabilità dell’Italia e della sua classe politica, dagli 80 euro al reddito di cittadinanza con tutto quello che c’è in mezzo. Chi ci si assicura in sostanza che gli italiani poi facciano i “conti” con i loro problemi di sostenibilità e di competitività?



La questione è “immanente”. L’Europa oggi dovrebbe fidarsi di Conte, Gualtieri e Di Maio. Il ministro dell’Economia passerà alla storia per le stime di “qualche punto di Pil” di calo di un mese fa; il ministro degli Esteri ci ha reso l’unico Paese del G7, inclusi Germania e Francia, a non aver avuto nulla da ridire ufficialmente sulla gestione cinese del virus isolandoci non solo dall’America, ma anche dal resto d’Europa dopo le dichiarazioni di Macron e Merkel.

Il primo Ministro italiano avrebbe promesso aiuti per centinaia di miliardi di euro, il nostro conto sfiora gli 800, che non esistono né per gli autonomi, né tantomeno per gli imprenditori; stendiamo un velo pietoso sulla comunicazione al Paese che rende i leader francese e tedesco dei giganti della politica europea. Pretendere che qualcuno in Europa o fuori si fidi dell’Italia in questa situazione è evidentemente lunare. I nomi spendibili in Europa che potrebbero aprire delle trattative serie si contano sulle dita di una mano, siamo ottimisti. In realtà, il nome come noto è uno solo e al limite qualche fidatissima persona. Ma di tutto questo, parliamo delle proposte di Draghi e di quelle di Panetta, non ci sarà nessuna traccia con questo Governo, mentre la crisi corre e scava ferite profondissime nel tessuto sociale e economico.

La questione è chiarissima e se è chiara noi, supponiamo, è chiara anche a tutto quello che c’è sotto, sopra e di fianco a questo Governo. Il gioco altrimenti è molto rischioso e molto pericoloso sia per le tasche degli italiani, sia per il collocamento internazionale, europeo e atlantico si spera, dell’Italia. Noi non vorremmo proprio che il cambiamento arrivasse solo dopo il conclamato disastro economico. In quel caso gli unici modi per contenere la rabbia e reggere il sistema sarebbero molto spiacevoli. Per tutti noi ovviamente.