Nel 1953, reduce dall’esilio in America, un grande tedesco, Thomas Mann, tenne un discorso agli studenti di Amburgo. Era tornato vicino a casa sua, a Lubecca, nella Germania anseatica.

Il grande scrittore sembrò quasi supplicare chi lo ascoltava a non puntare a un’Europa tedesca, ma a una “Germania europea”. In quell’implorazione quasi drammatica, forse Mann viveva ancora  il suo lungo, affascinante, estenuante esame di coscienza che aveva scritto in un libro come le Considerazioni di un impolitico. Non aveva mai rinnegato, sino alla morte, quel libro, che rifletteva un’epoca di contraddizioni, ma che era servito a costruire una coscienza e una consapevolezza nuova.



Che cosa direbbe oggi Thomas Mann di fronte a questa Unione Europea, a questa Europa e alla leadership esercitata dalla Germania, il Kultur, per esemplificare, che fa asse con la “forma” della Zivilisation nell’accordo con i francesi?

Forse Mann resterebbe esterrefatto sia per quel Kultur che aveva prima scelto e poi lasciato, ma lo stesso sentimento proverebbe per quella Zivilisation che oggi sembra una maschera di opportunismo.



Thomas Mann moriva nel 1955, mentre comparivano sulla scena politica europea uomini come Robert Schuman, Konrad Adenauer, Alcide De Gasperi, che cercarono di costruire una Europa unita partendo dalla Ceca e poi dai Patti di Roma del 1957, che De Gasperi non fece in tempo a vedere.

Erano grandi uomini, grandi politici, grandi europeisti che vedevano concretamente nell’unità dell’Europa il futuro e la salvezza dell’antica civiltà occidentale, senza slanci idealistici ed enfatici, ma con il passo delle scelte necessarie e realistiche. A loro modo, probabilmente, avevano tutti vissuto il terribile esame di coscienza che aveva provato Mann tra il 1915 e il 1919.



Se si paragona quell’epoca e quegli uomini all’attuale epoca e ai nuovi protagonisti politici, si prova  la più grande delusione di un’esistenza, aggravata oggi da questa tragedia epocale della pandemia che mette in ginocchio l’Italia, la Spagna, la Francia e, di fatto, tutta l’Europa.

Di fronte alla grande forza e vera fede dei fondatori dell’Europa, oggi possiamo vedere una sequenza che fa rabbrividire: prima i fondatori che trattano per anni sulle quote di partecipazione; poi il Trattato di Maastricht che stabilisce parametri economici in modo astratto; quindi la mancanza di una banca centrale come prestatore di ultima istanza, che non deve neppure considerare la disoccupazione (statuto Bce) e tanto meno può stampare moneta; poi le violazioni dei parametri a seconda delle convenienze statali; quindi l’abbandono di una comunità politica e la semplice costituzione di un mercato dominato dalla finanza;  infine, come primo effetto, la bocciatura della Costituzione europea. Fatto grottesco: il 25 ottobre 2004 a Roma sono 25 i capi di Stato che firmano 448 articoli e 36 protocolli. L’anno dopo, nel 2005, i francesi e gli imperturbabili olandesi, ormai esperti in tulipani e paradisi fiscali, la bocciano sonoramente.

È la prima cocente sconfitta degli europeisti.

Ma c’è ancora, dopo poco, la grande crisi finanziaria del 2008 e i quattro trilioni messi a disposizione dalla Ue alla banche di cui due certamente usufruiti (come spiega Luciano Gallino in Il colpo di Stato di banche e governi). Di fatto, la Grecia viene “uccisa”.

Si segue poi una ottusa politica di austerità, rovesciando l’assunto keynesiano che funzionò con il new deal rooseveltiano: l’austerità va bene in periodo di espansione, ma in periodo di recessione aggrava la crisi.

Niente da fare. La supposta intelligenza teutonica, quella dei “bosches” come dicono i francesi, con i suoi cicisbei o cavalier serventi, continua a predicare l’austerità fino alla grande tragedia del coronavirus. E adesso l’Europa si gioca tutta la sua credibilità e sarà difficile conservarla.

Parte Christine Lagarde, nuova presidente della Bce con una dichiarazione da dimissioni immediate che fa crollare tutte le borse del mondo. Commento spassionato: dovrebbe tornare a fare l’avvocato di quel “galantuomo” discusso di Bernard Tapie. Poi la fascinosa Lagarde si ricrede, in parte si corregge e in parte la correggono. Una gaffe. Quindi parte Ursula Von der Leyen, la nuova presidente, la delfina di Angela Merkel. Prima non si accorge neppure del coronavirus, poi ha il coraggio di paragonarsi a John Kennedy parafrasandolo, “Siamo tutti italiani”, Quindi esclude gli eurobond legati al coronavirus e tutti dicono che non li farà mai in nome di Germania, Olanda e Lettonia e altri. Ieri ha avuto un ripensamento: aiuti per una “cassa integrazione europea” e una lettera con un pentimento che si coglie in una parte della lettera: “Oggi l’Europa si sta mobilitando al fianco dell’Italia. Purtroppo non è stato sempre così. Bisogna riconoscere che nei primi giorni della crisi, di fronte al bisogno di una risposta comune europea, in troppi hanno pensato solo ai problemi di casa propria”.

Insomma, primo bilancio: due interventi di riparazione dopo due errori grossolani. Anche il sogno europeo rischia di evaporare.

E pensare che esiste un leader, il premier albanese Edi Rama, che manda aiuti e medici in Italia al punto da commuoverti. Rama è un socialista che ha sofferto la dittatura comunista di Enver Hoxha, ma i giornali italiani si sono dimenticati di scriverlo.

L’Albania di Rama è un paese povero e in questo momento è in lista di attesa per entrare in Europa, come Erdogan. Ma Rama è un grande uomo, oltre che un grande politico, e a Bruxelles potrebbe insegnare qualche cosa ai burocrati ottusi e ritardatari della Ue.

La signora Ursula potrebbe imparare qualche cosa e così tanti altri, compresi i coltivatori di tulipani, i frequentatori dei casinò finanziari e dei paradisi fiscali. Von der Leyen potrebbe anche dare più che una sculacciata a Orbán che è diventato dittatore di Ungheria. Guai a perdere qualche voto!

Finora questa Europa è un dramma politico e istituzionale in una grande tragedia. Fosse ancora vivo Thomas Mann, guardando ai suoi tedeschi che lo inviarono in esilio e bruciarono i suoi libri nella Bebelplatz alla Unter den Linden, ripenserebbe che il Kultur ha rivinto sulla Zivilisation.

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