Una sottovalutazione dei rischi potrebbe aver contribuito all’emergenza di questi giorni in Emilia-Romagna. Il condizionale è d’obbligo in una situazione in divenire, ma soprattutto tutta da chiarire. Come da chiarire è la questione delle casse di espansione, un argine alla piena in grado di salvare vite. Quelle che hanno salvato il Veneto cinque anni fa, dove caddero 700 millimetri di pioggia in poche ore contro i 300 caduti ora, sono state promesse nella regione guidata da Bonaccini. Su 23 progetti finanziati con 190 milioni di euro dallo Stato, ne funzionano a pieno regime solo 12. Questo perché, come evidenziato da La Verità, gli ecologisti, che in Regione sono in maggioranza col Pd, non le vogliono. Le casse di espansione sono considerate un ulteriore consumo di suolo, cemento dannoso che destabilizza l’armonia della natura.
Ci sono poi 529 progetti di messa in sicurezza, con un impegno di spesa di 561 milioni, dal 1999 al 2023, ma secondo il Repertorio nazionale degli interventi per la difesa solo 368 sono stati ultimati nella regione Emilia-Romagna. All’appello mancano 161 progetti che valgono 258 milioni, oltre la metà destinati alla Regione. Peraltro, la natura aveva mandato segnali in questi anni, ma sono rimasti inascoltati. Nel mirino fine la politica della sinistra emiliana. La consigliera Valeria Castaldini, capogruppo di Forza Italia in Regione, accusa: «Non si è fatta prevenzione. Guardando fra le delibere ho visto che nella foga di chiudere in pareggio il bilancio della Sanità, la giunta ha deciso di svincolare fondi destinati a interventi urgenti rivolti alla riduzione del dissesto idrogeologico. Così nel bilancio regionale il buco è stato coperto».
IL CASO DELLE CASSE DI ESPANSIONE: NESSUNA IN ROMAGNA
C’è poi un’emergenza nell’emergenza in questa regione. Emilia e Romagna sono divise anche dal fatto che solo la prima ha le casse di espansione lungo gli affluenti del Po, invece in Romagna non ci sono proprio. Insieme alle dighe, sono tra le poche opere idrauliche in grado di ridurre la portata di un fiume attraverso lo stoccaggio temporaneo del volume dell’onda di piena. Come un parcheggio temporaneo per l’acqua in eccesso che così non tracima a valle. Sull’efficacia delle casse di espansione non ci sono dubbi, lo dimostra appunto quanto accaduto in Veneto nel 2018. Si ruppero argini e acquedotti, si contarono fino a 130 frane, ma i danni furono decisamente inferiori rispetto a quelli dell’alluvione del 2010 che devastò il Padovano e il Vicentino.
Delle 23 casse di espansione programmate dalla Regione Emilia-Romagna, 9 sono ancora da definire, due funzionano solo in parte, ecco perché sono 12 quelli che risultano effettivamente in funzione. Tra i comuni più colpiti dall’alluvione ci sono quelli sul Senio, nel Ravennate. Qui erano previste due casse di espansione, ma in 15 anni ne è stata realizzata solo una, a Tebano, che però non è ancora collegata al fiume, perché bisogna terminare la seconda, che però è in corso di esproprio. Come evidenziato dal Fatto Quotidiano, mancano o sono da completare altre, sul Sillaro e sul Lamone, che hanno bucato gli argini in questi giorni terribili.