Ottobre 2000. È ormai sera quando la notizia giunge in Italia: Emilia muore in un incidente d’auto a Encarnación, in Paraguay. Suo marito Giancarlo è ferito gravemente. Molto gravemente. È un colpo improvviso e imprevisto. Un urto che lascia sospesi. Stordisce. Il tempo scompare, la parola scompare, nemmeno la domanda sul perché sembra poter trovare spazio.



Don Luigi Giussani conosce gli amici di Emilia. Sa lo smarrimento del momento. Sa che ogni cosa di quel che accade chiede un senso. Il giorno dopo, per tutti, dedica un messaggio a Emilia. Niente è risparmiato del dolore del momento, ma a tutti è offerto un criterio con cui poter stare ritti di fronte a quel che è accaduto: “Saggia e ardente: così è stata tra noi la vita di Emilia col consorte Giancarlo Cesana. Erano partiti per il Paraguay accettando gli inviti ripetuti dell’entusiasta Giò. Un grave incidente di automobile ha causato la morte di Emilia. Il Signore l’aveva conservata per suo marito e i suoi figli, e quindi per tutti noi; e così il silenzio, che nel suo carattere era naturale e profondo, si identifichi più facilmente ora per noi nell’attesa della finale resurrezione di Cristo. Ogni comunità preghi il Signore perché Emilia interceda per noi che, ancora in cammino, partecipiamo della sua purità e della sua gioia”.



Oggi, a poco più di vent’anni dalla scomparsa di Emilia, la sua vita, la sua storia umana è raccontata in una mostra esposta al Meeting di Rimini (padiglione C3). Chi trascorresse un po’ di tempo in compagnia dei testi della mostra e, soprattutto, delle testimonianze raccolte nel volume che accompagna la mostra, ne riemergerebbe con un’ultima, inevasa domanda: cosa significa, o, meglio, com’è potuto accadere che particolari si direbbe insignificanti, in sé persino banali, possano essersi scolpiti nella memoria, a distanza di anni, così precisi e vivi e talmente carichi di senso da apparire impropri?



Lì, tra i ricordi, i fatti, le riflessioni, si vedrebbe assurgere a protagonisti uno scambio di battute al telefono, una frase semplice e piena in risposta all’amico in ambasce per aver combinato un guaio, una postura nei giochi con i figli, l’essere chiamata “amica”, un sorriso, il dono di un giocattolo, il rimestar di un risotto. Eppure, nella banalità di quelle circostanze, c’è di più. Molto di più. Ben lo sappiamo: ci sono persone, o momenti di persone che, entrando nell’orizzonte della nostra esperienza, aprono e squarciano un varco tra il nostro mondo e un altro mondo. Non che lo spieghino, no. Ma lo rivelano. È un’irruzione improvvisa e inattesa che sorprende e di cui non si sa spiegare, se ci si pensa bene, come avvenga e perché. Appare, d’improvviso, come un miracolo.

Quella di Emilia è una storia semplice. La mostra racconta i suoi primi passi a Carate Brianza. L’incontro con il futuro marito, Giancarlo. La vita in famiglia: i tre figli, i ragazzi presi in affido, i primi germi di quello che poi diventerà In-Presa, l’opera educativa da lei fondata e che oggi si prende cura di oltre 400 ragazzi che vivono situazioni di difficoltà.

La natura di Emilia è tanto silenziosa e riservata da farla credere naturalmente solitaria. Invece la sua vita è uno zampillare di amicizie. Emilia non si è mai concepita da sola. E nel suo incontrare le persone con i loro bisogni ha un metodo semplice. Chiede a tutti un aiuto. Tanto era esigente per la felicità dei propri ragazzi (“Questi ragazzi meritano di più. C’è da fargli scoprire di più la bellezza della vita”, diceva), tanto non giudica e non pretende da chi le sta intorno. Emilia non si lamenta della pochezza di risorse, anche economiche, che pur occorrerebbero per le tante cose da fare, né si lamenta della pochezza di generosità o di intraprendenza o di scaltrezza e intelligenza progettuale di chi le sta intorno. Lei chiede e ognuno dà quel che può e come può, se ritiene. Come dice un amico brianzolo, Emilia “fa il fuoco con la legna che ha”.

Don Luigi Giussani ebbe a dire di lei: “Emilia è come una stufa, la sua presenza è capace di scaldare il luogo dove si trova”. A 20 anni dalla sua scomparsa, questa presenza continua a scaldare. E’ il segno di una presenza che c’è ancora.

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