Emiliano Pescarolo un anno fa diventava il campione mondiale di pesto, non si sarebbe mai immaginato di dover affrontare una sfida ancora più grande in questo 2020. In esclusiva ai nostri microfoni ha raccontato la sua battaglia contro il Coronavirus, vinta con un coraggio da campione.
Come tutto è iniziato: “Di tutta questa triste e dolorosa vicenda ho solo avuto un unico beneficio: ho perso 6 chili. Tralasciando questo banale vantaggio, ho vissuto un’esperienza davvero dura, spaventosa e drammatica. Tutto cominciato con una “semplice” febbre, accompagnata poi da tremendi mal di testa, e a seguire crisi di tosse veramente crudeli. In passato, poco più che diciottenne avevo avuto una brutta polmonite, ma nulla a che vedere con questa“.
Il viaggio in ospedale: “Al quarto giorno di dolori ho chiamato l’ambulanza e sono stato portato al Villa Scassi. Appena arrivato, in un ambiente surreale: (ora io non sono un assiduo frequentatore di pronto soccorso) ma una situazione così non l’avevo mai vista in vita mia. Vengo immediatamente accettato e mi vengono fatti i primi accertamenti da una tenerissima infermiera del triage. Poco dopo, visitato dal medico e fatta la lastra e tampone, vengo sistemato alla bene-meglio in mezzo ad una bolgia infernale di gente sofferente quale il sottoscritto. Alla domanda diretta fatta ad una dottoressa prima dei referti è stata: che cosa ho?! Lei ha abbozzato un sorriso (ah dimenticavo l’unica cosa che si poteva distinguere da questi angeli, con la velocità di una gazzella e un coraggio da Leoni erano gli occhi e la voce. Si perché lavoravano su turni di 12 ore, imbardati da cima a fondo) e mi ha detto: hai una polmonite sicuramente dovuta al Covid, ma adesso non ti preoccupare ci pensiamo noi a te!“.
Il trasferimento all’evangelico: “Dopo 2 giorni ad esito arrivato mi hanno trasferito all’evangelico e li la situazione è un po’ cambiata, quantomeno per l’ambiente un po’ più umano, con tutte le limitazioni del caso. Ci era giustamente preclusa anche la possibilità di mettere anche solo il naso in corsia. 24 h al giorno in stanza con il tragitto maggiore era letto/bagno e quando ne avevi la possibilità finestra. Già, possibilità, perché tra decine di prelievi di sangue, flebo e conseguenti flebiti, e rimanere obbligatoriamente legato alla tua mascherina di ossigeno e se gli esami capitava che sballavano, ci stava anche che il medico con aria nefasta al grido di “mala tempora currant”, ti paventasse caschi e altre terapie più invasive. E li si che la paura pendeva il sopravvento. Giorno dopo giorno terapia dopo terapia, pian piano ne sono uscito. Uscito con le ossa rotte ma sempre col sorriso di tutte le persone che mi sono state vicino, dai sanitari, angeli in camice, a mia moglie la mia famiglia ed un esercito di amici che non mi hanno mai lasciato solo. Ne sono uscito sicuramente acciaccato, ma psicologicamente molto più forte e ho cambiato il modo di vedere le cose e nel limite delle mie possibilità cercherò di vedere e vivere la mia vita in maniera molto più leggera, non superficiale, LEGGERA. Spero inoltre che questo mio racconto possa essere utile a chi ancora non ha ben chiaro il problema, perché io posso ritenermi un uomo fortunato a poterlo raccontare, in molti anzi troppi non lo potranno più fare“.