Un viaggio nella romanzata storia della famiglia Brontë, dove nei primi anni dell’ Ottocento sono cresciute Charlotte ed Emily, autrici di “Jane Eyre” (la prima) e di “Cime tempestose” (la seconda).

La famiglia Brontë è vissuta a Haworth, nella conservatrice comunità dello Yorkshire, guidata dall’autoritario reverendo del luogo, padre della numerosa famiglia protagonista del film. Per le proprie figlie Mr. Brontë aveva immaginato un futuro da insegnante, tra i mestieri più desiderabili dell’epoca. Ma i suoi piani non seguirono il copione, demoliti dall’indomito spirito di libertà di Emily e del fratello Bramwell, entrambi ribelli e pronti a sfidare le convenzioni sociali e l’autorità paterna.



Emily non è la storia di come è nato “Cime tempestose”, ma alla sua scrittura ci gira intorno. Il film, diretto dalla regista inglese Frances O’Connor alla sua opera prima (dopo una lunga carriera di attrice), ci porta dentro ai sogni, alle fragilità e alle aspirazioni della famiglia Brontë. Ci racconta i diversi temperamenti di tre sorelle e del loro fratello. Ci racconta i rigidi costumi conservatori dell’Inghilterra di provincia, agli inizi dell’Ottocento. Ci racconta il peso delle aspettative di un padre padrone, attento al proprio onore e alla propria rispettabilità più di ogni altra cosa. Ci racconta la storia, purtroppo sempre attuale, di chi sceglie di interpretare la propria vita secondo il copione scritto da qualcun altro. Di chi decide di adattarsi, di accontentarsi, di mortificarsi per essere altro da sé. Di chi non trova il coraggio di cambiare, lottare, fuggire e costruirsi il proprio sogno, anche quando appare impossibile o anche solamente sconveniente.



È un film sulla diversità, uscito nelle sale proprio nel mese del Pride. Che ci ricorda il valore di essere se stessi e della fatica di cercarsi e trovarsi, quando tutti raccontano che, per essere felice, devi solamente essere altro da te.

Emily ha sofferto, ha sentito gli occhi addosso, ha cercato il modo per piacere e per piacersi, ha finto finché ha potuto, ha cercato vie alternative per poi lasciarsi andare a tutto ciò che sognava. E, alla fine, ci ha regalato “Cime tempestose”, un’opera che, con gli occhi dell’epoca secondo le parole di Charlotte, appariva come “un libro pieno di gente egoista che pensa soltanto a se stessa”. Un libro scandalo, immorale e inappropriato. Come Emily, traviata da se stessa e dall’influsso negativo del fratello Bramwell, disperatamente ribelle.



Emily è anche un film d’amore. Cresciuta con gli occhi addosso e con la consapevolezza di non essere all’altezza delle aspettative del padre, la tormentata poetessa ha cercato completezza nell’amore puro, cieco, segreto e disperato. Quello per il giovane pastore William Wieghtman, che ha ricambiato l’amore finché non ha deciso di sacrificarlo sull’altare della paura e della buona reputazione.

Il viso di Emily, interpretata da Emma Mackey (tra i protagonisti più apprezzati di “Sex Education”) vibra di fragilità, passione e grande modernità, nonostante vesta gli abiti del passato. Mackey ci regala una prova emozionante che prova a scuotere il torpore del conformismo del tempo che fu e di quello che torna, eternamente, a minacciare le nostre storie.

Il film alla fine, è piacevole, intenso e a tratti poetico. Ci propone ciò che è verosimile più che la verità storica, il passato più che il presente, ma riesce con efficacia ad attualizzare la morale ottocentesca ai dilemmi della sensibilità contemporanea.

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