Il titolo dice già molto, soprattutto quel punto fermo messo dopo il nome della protagonista, come a stabilire una sorta di imperativo, ad annunciare allo spettatore la perentorietà dello stile con cui quella giovane donna verrà raccontata. Emma. è l’esordio alla regia di Autumn De Wilde, fotografa celebre per i suoi ritratti di musicisti, e arriva in Italia on line sulle principali piattaforme di noleggio streaming (TimVision, Chili, Rakuten, Apple, ecc.) dopo che la pandemia ne ha bloccato l’uscita prevista per l’11 giugno.
De Wilde sceglie il romanzo eponimo di Jane Austen e racconta di una ragazza che credere di sapere molto della vita e dell’amore, combinando e scombinando incontri per altri, soprattutto la tenera e sprovveduta Harriet, ma che sembra incapace di chi capire davvero cosa sia l’amore e come scegliere chi amare. Scritto da Eleanor Catton, Emma. usa la ronde sentimentale e la commedia di arguzie che ha reso celebre la prosa di Austen per fare un ritratto di donne e di classe sullo sfondo di un Inghilterra di inizio ‘800 tutt’altro che aderente a forme realistiche di ricostruzione.
Fin dalle primissime sequenze si nota l’impostazione formale e formalista di De Wilde (e del suo direttore della fotografia Christopher Blauvert), la cura quasi ossessiva dei colori nelle scene a creare omogenee palette, l’insistenza sulla geometria e le “coreografie” dei personaggi negli spazi sia chiusi che aperti. È un impianto che sembra quasi provenire dalla pop-art o da certe concezioni postmoderne della storia, per esempio Sofia Coppola o Wes Anderson, ma che qui ha un distacco ironico maggiore, quasi lo usasse come filtro.
Se il lavoro visivo e fotografico, ma anche il tono del racconto e della recitazione, sembra così sopra le righe da sfiorare la leziosità, è perché la regista lo usa come commento alla società che sta descrivendo, all’immobilismo geometrico di una classe che crede di sapersi muovere (come nei balli, nelle disposizioni a tavola, nelle distanze personali) e che invece si trova a vivere in un mondo che si muove a dispetto della voglia di controllarlo: il rapporto con Harriet e con il suo mondo più dimesso sono anche un modo intelligente di ritrarre a contrasto un personaggio come Emma che è indipendente, a cui l’amore e il desiderio capitano senza che le influenze sociali glielo facciano vivere come un imperativo.
Ecco allora il senso di quel punto dopo il titolo: Emma è, basta a se stessa e proprio per questo si illude di controllare il mondo. Senza i didascalismi di molto cinema neo-femminista nato sulle onde americane degli ultimi anni, De Wilde descrive, anzi “fotografa”, un microcosmo femminile che cerca la propria identità all’interno di certi spazi, di certe forme (filmiche e culturali, quindi anche dentro le convenzioni), di certi meccanismi. Sbaglia Emma, ma proprio per questo merita quel punto fermo.
Peccato che il film non regga la sua durata (due ore) soprattutto perché dopo un po’ gli manca la spinta propulsiva che la regia dava alla prima parte, ma il finale è molto ben calibrato emotivamente e soprattutto De Wilde fa fruttare nel migliore dei modi il proprio cast, in particolar modo una protagonista (Anya Taylor-Joy) perfetta per sguardi, movimenti, carisma che erompe dal fascino sornione e una sua comprimaria (Mia Goth) opposta e complementare.