Emma Marrone si racconta in maniera meravigliosa nel numero in edicola oggi di Vanity Fair, che le dedica la copertina. L’occasione è l’uscita del suo nuovo disco, “Fortuna”, acquistabile fra due giorni, ma il tema dell’intervista è la sua malattia e adesso Emma teme che le sue canzoni vengano incensate solo perché “è stata male”.
Il dolore profondo non ha parole. Se dici alle persone “sto soffrendo” permetti agli altri di starti vicino, ma dentro le ferite ci sei tu e nel dolore a volte c’è qualcosa che non puoi far vedere nemmeno a tua madre. Se non fosse stato per quel concerto di Radio Italia a Malta, saltato “perché – così scrisse sul suo profilo Instagram – devo affrontare un problema di salute”, Emma della sua malattia non avrebbe parlato mai con nessuno. E dire che in dieci anni ha dovuto subire tre interventi chirurgici: il primo nel 2009, quando a 25 anni le venne diagnosticato un tumore all’utero.
L’apparente contraddizione di dire in un’intervista la realtà innominabile del proprio dolore, del parlarne sui social come su Vanity Fair, è un dono che Emma Marrone fa a tutte le persone malate e che permette di riconoscere proprio la fatica di parlare del proprio dolore, di non avvertirla come colpa e di riuscire a vincersi: di imparare ad essere capace di comunicare se stessi per non sentirsi soli.
Emma dice che farcela si può: “mi sono detta; è successo, mi curo, torno. E così è stato”. Che cosa si può riuscire a fare? A guarire? Quello, lo sappiamo tutti, a volte è possibile ma a volte no, altrimenti gli immortali esisterebbero nella realtà, non nei fumetti. La sfida non è quella. La sfida è non identificarsi con la propria malattia. È profondamente diverso dire “ho la depressione” o “sono depresso”. Al di là del gioco di parole, il concetto è chiaro. Emma lo esprime dicendo “c’è gente a cui è andata sempre bene e gente a cui è andata sempre male, ma non è questo a determinare la tua felicità. A fare davvero la differenza non è mai quel che possiedi e, anche tre le persone a cui è andata sempre bene, non è che ne veda tante poi veramente felici”.
La felicità non si identifica con l’essere sano: tanto è vero che ci sono sani profondamente tristi. Non è vero che quel che conta è la salute. La salute non dà senso alla vita, anche se è vero che in una vita sensata la salute conta. Per comprenderlo basta riflettere su quante volte perdiamo la salute per fare i soldi e poi perdiamo i soldi per recuperare la salute; oppure, quanto pensiamo al futuro così da dimenticarci di vivere il presente, e così non riusciamo a vivere né il presente né il futuro, e rischiamo di vivere come se non dovessimo morire mai, perché in realtà è come se fossimo sempre morti, visto che non viviamo mai.
Emma Marrone racconta a modo suo questi concetti quando dice: “Ho dovuto accettarlo (di essere malata e di dover subire un’operazione, ndr) e ho capito una cosa fondamentale. Che accettare non significa farsi andare bene ogni cosa o aspettare passivamente quel che ti accadrà, ma costruire la propria serenità. Ho avuto un problema di salute, ma non l’ho combattuto né respinto. L’ho fatto mio, l’ho digerito, me lo sono fatto scivolare addosso. Non sono arrabbiata e non sto combattendo. Per accettare una cosa del genere è necessaria molta più consapevolezza di quanto non ne serva per combattere. Accettare di stare di nuovo male mi ha aiutata ad arrivare all’intervento con serenità. Sono entrata in sala operatoria col sorriso e ne sono uscita nello stesso modo. L’operazione non mi ha incattivito: non sono arrabbiata con la vita, al limite alla vita sono grata”.
Ecco parole al proprio modo di vivere che strappano gli applausi. Applausi che nulla tolgono a quelli che le auguro per le sue canzoni.