La famiglia Ucelli – Tosi
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La dimensione domestica, più che quella aziendale o istituzionale, nella quale furono coltivati tutti i rapporti di Guido Ucelli col mondo dell’arte, ci sembra testimoni, se possibile ancor più che l’oggettività di un rapporto sponsale intenso e duraturo, allietato dalla nascita di cinque figli, che la dimensione familiare ebbe per Guido Ucelli e per sua moglie un ruolo prevalente nel modo di concepire la vita e i rapporti sociali.
La più chiara testimonianza di ciò ci pare il fatto che a partire dagli anni Venti Carla Tosi, nonostante i suoi pressanti impegni di madre, affiancò il marito nella Riva con una intelligente e meritoria opera di «assistenza sociale» dei dipendenti dell’azienda che contribuì negli anni a mantenere un clima di non comune armonia fra direzione e maestranze, creando appunto, anche in azienda, un clima «familiare», capace dunque di farsi carico dei dipendenti non solo come prestatori d’opera, ma come persone con tutte le loro esigenze e problemi.
E nella dimensione familiare si svolsero anche le vicende che durante il tragico periodo della seconda guerra mondiale coinvolsero drammaticamente Guido e Carla Ucelli.
I quali mantennero intatta, anzi incrementarono, anche nei momenti più difficili, la generosità e l’accoglienza con la quale erano usi trattare amici e conoscenti, non importa se fossero ebrei o cristiani, ricchi o poveri; generosità che certo scaturiva da un profondo vissuto di armonia domestica e profondità di affetti e da una moralità connaturata con la profonda tradizione religiosa del popolo lombardo, ancora viva in quegli anni anche negli strati sociali più elevati.
Questo loro profondo animus che si opponeva in maniera «naturale» alla protervia dei dominatori nazi-fascisti allo stesso modo in cui rifiutava le ideologizzazioni estremistiche del rivendicazionismo operaio, pur senza dimenticare di venire incontro alle giuste esigenze dei lavoratori, durante la guerra li rese capaci di un «eroismo del quotidiano» che non rifuggì, quando le circostanze lo richiesero, dal prendere apertamente parte, con i fatti, più che con facili parole, con chi era vittima di sopraffazione.
Fu così che Guido Ucelli e sua moglie finirono in carcere a San Vittore per aver aiutato una coppia di ebrei italiani a espatriare, e che Carla Tosi scampò quasi miracolosamente dalla deportazione in un campo di concentramento tedesco.
I coniugi Ucelli furono arrestati nel luglio del 1944 a seguito del fallito tentativo di espatrio in Svizzera di una coppia di parenti del loro amico Minerbi alla quale avevano prestato aiuto. Guido rimase nel carcere milanese di San Vittore, subendo anche maltrattamenti, per circa tre settimane, venendo alfine liberato, sia in virtù del suo importante ruolo nella Riva, sia grazie alle trattative intercorse per uno scambio di prigionieri con il gruppo dei partigiani cristiani delle Fiamme Verdi, nel quale militavano don Giovanni Barbareschi e, a sua insaputa, sua figlia Bona. Carla ebbe una sorte peggiore, in quanto, dopo il carcere milanese fu destinata a un campo di concentramento in Germania. Per fortuna questo viaggio prevedeva una sosta intermedia in un campo di transito a Bolzano, dal quale Carla poté essere strappata, verso la fine di settembre, grazie all’interessamento e alle conoscenze della famiglia Ucelli e di vari loro amici.
Per una più completa testimonianza sulle vicende della famiglia Ucelli durante la guerra, oltre alla raccolta di documenti curata dalla signora Pia Ucelli Majno, intitolata La nostra famiglia durante l’occupazione tedesca (preziosa e interessantissima, ma difficilmente reperibile perché pubblicata in un limitato numero di copie), si può fare riferimento al recentissimo libro: Moreno Gentili, Milano 1944, un amore, Edizioni Skira, Milano 2012.
Per gettare ancora un po’di luce sulle vicende personali e familiari di Guido Ucelli, aggiungiamo che avendo posto alla sua ultima figlia vivente, signora Pia Majno, la domanda su quale fosse la «spiritualità» di suo padre, ci siamo sentiti rispondere che egli non era un cattolico praticante (anche se andava a Messa con la famiglia almeno a Natale e Pasqua), ma che aveva grande stima e rispetto per la Chiesa e la religione, tanto che i figli furono educati cristianamente.
Praticante fu invece la moglie Carla sulla quale il libro già citato, riporta una testimonianza del padre Gianantonio Agosti da Ramallo, superiore dei Cappuccini di Milano, il quale la definisce: «donna degna dei primi tempi del cristianesimo. Di fede viva senza ostentazione, di carità ardente e generosa, di una bontà delicata, pronta a ogni sacrificio».
In sostanza se anche Guido Ucelli non fu un praticante, il modo in cui visse la dimensione familiare ci sembra in sintonia con la tradizione cattolica e anche il modo con cui visse la dimensione aziendale, se non esplicitamente ispirato, non ci sembra per lo meno in contrasto con la dottrina sociale della Chiesa. Inoltre tramite la sua famiglia fu sempre intenso il rapporto con la chiesa ambrosiana, in particolare nel periodo bellico e post bellico attraverso figure di grande rilievo del cattolicesimo milanese, quali don Giovanni Barbareschi, don Carlo Gnocchi e padre Giuseppe Leopoldo Riboldi, del convento domenicano di Santa Maria delle Grazie.
Vale inoltre la pena di ricordare che nella maturità Ucelli, che aveva sempre dimostrato con i suoi scritti e la sua opera di credere nella capacità di progresso della storia umana, si ritrovò in sintonia con il pensiero «progressivo» del gesuita francese Teilhard de Chardin.
Gianluca Lapini
(Ingegnere, ex-ricercatore presso CISE e CESI, Milano)
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© Pubblicato sul n° 44 di Emmeciquadro