Di seguito la relazione dell’intero percorso, svolta da una studentessa della classe terza, un esempio interessante di «narrazione» nel contesto di una scienza sperimentale, importante passo verso la conquista della capacità logico-argomentativa.

Caterina Pedini – classe III Liceo Scientifico

In questa prima parte dell’anno scolastico ci siamo concentrati sullo studio del moto. In particolare abbiamo voluto approfondire la legge che regola il moto uniformemente accelerato dei corpi in caduta libera. Per fare ciò ci siamo riferiti all’esperienza di uno tra più grandi fisici, matematici e astronomi del XVII secolo: Galileo Galilei, il fondatore del metodo scientifico sperimentale.



La caduta dei gravi: Galileo versus Aristotele

Proprio per questa sua caratteristica l’americano George Johnson (1952 – ), giornalista e scrittore di articoli scientifici, nel suo libro I dieci esperimenti più belli dedica a questo personaggio un intero capitolo. In Galileo – Il vero moto degli oggetti, infatti, l’autore spiega in che modo il filosofo pisano abbia condotto l’esperimento per studiare il moto dei gravi in caduta libera, facendo riferimento al suo trattato Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze.
Quest’opera, scritta durante gli anni di «arresti domiciliari» dello scienziato, racconta di un’innovazione nel campo della cinematica, pur rispettando i canoni del pensiero Aristotelico. Questo capolavoro, pubblicato intorno al 1638, è strutturato come una conversazione fra tre nobiluomini, ovvero Sagredo, Simplicio e infine Salviati, personaggio attraverso cui Galileo dà voce alle sue idee. Egli in questa sintesi sostiene un’ipotesi diversa da quella del suo predecessore greco. Aristotele, infatti, riteneva che lanciando contemporaneamente una palla da cento libbre e una da una libbra da un’altezza di cento braccia, a parità di tempo, quest’ultima avrebbe percorso solo un decimo della distanza, mentre l’altra avrebbe già toccato il suolo. L’alter ego di Galileo, invece, discutendo con i suoi interlocutori, afferma che la velocità di caduta di un corpo non dipende dal suo peso. Salviati è infatti convinto che, pur con un margine di errore di due dita, esse toccheranno il suolo simultaneamente. Galileo volle capire che cosa succedeva tra l’istante in cui la palla veniva lasciata cadere e quello in cui essa raggiungeva il suolo.



L’esperimento di Galileo

Non avendo a disposizione strumentazioni moderne e sofisticate come la fotografia stroboscopica, Galileo dovette ricorrere allo studio di un esperimento equivalente che gli permettesse di poter osservare con più facilità la caduta.
Egli allora decise di far rotolare una pallina lungo un piano liscio e leggermente obliquo. La caduta di un grave, infatti, non è altro che un caso particolare di piano inclinato.
Quindi se Galileo avesse trovato una legge che regolava la caduta della palla, essa sarebbe stata valida anche per un’inclinazione del piano maggiore, ovvero 90°. Galileo descrisse attraverso le parole di Salviati la realizzazione del suo dispositivo.
[A sinistra: Piano inclinato di Galilei – Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze]
Esso era costituito da un travicello lungo circa 6 metri e largo 5 o 6 centimetri e inclinato rispetto alla trave orizzontale. Al centro di esso si trovava un canale lungo il quale lo sperimentatore faceva scendere una palla di bronzo durissimo, adottando tutti gli accorgimenti necessari per ridurre al minimo l’attrito. Egli ripeté cento volte l’esperimento, considerando angolazioni differenti del piano e annotando ogni volta la misura del tempo.
Per registrare questo dato aveva utilizzato un apparato sperimentale semplice chiamato «orologio ad acqua» che funzionava come una clessidra, ma che aveva l’acqua al posto della sabbia. Galileo, infatti, raccolse in un bicchierino l’acqua che scendeva attraverso un sottilissimo canalino mentre la palla rotolava lungo il piano inclinato. In seguito lo scienziato poteva ricavare il dato del tempo trascorso pesando l’acqua contenuta nel bicchierino.
Galileo affermò di essere riuscito in tal modo a misurare il tempo con una precisione pari (detto in termini moderni) al decimo di secondo. Fu ciò che portò nel 1953, trecento anni dopo, Alexandre Koyrè (1892-1964), professore della Sorbona, a giudicare con sarcasmo questo metodo utilizzato da Galileo, definendolo troppo ingegnoso e perfetto per essere vero e accusò lo scienziato di essere ricorso a una dimostrazione immaginaria, utilizzando solamente la deduzione.



Il nostro primo esperimento

Nonostante l’obiezione posta dall’illustre professore, noi abbiamo voluto metterci nei panni di Galileo ed effettuare personalmente la sperimentazione in laboratorio.
Gli strumenti utilizzati sono stati una pipetta, un beaker, una bilancia e un apparato sperimentale che riproduceva in piccolo quello di Galileo. Nello stesso istante in cui abbiamo fatto partire la palla abbiamo fatto scendere l’acqua nel beaker. Abbiamo poi misurato il suo peso dopo aver precedentemente tarato la bilancia: esso corrispondeva a circa 0,2/0,3 grammi.
La conclusione che abbiamo tratto da questo esperimento è stata che questo modo di misurare il tempo è poco attendibile in quanto lascia spazio a un grande margine di errore.

Stillman Drake e l’esperimento di Galileo

All’inizio del 1972, Stillman Drake (1910-1993), uno dei massimi esperti in scienza galileiana, preparando una nuova traduzione in inglese dei Discorsi, si imbatté in annotazioni tratte dagli appunti personali di Galileo, conservati nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze assieme ad altri manoscritti.

Le pagine, apparentemente disordinate e senza un ordine logico, diedero invece a Drake la possibilità di ricostruire l’esperimento.
Galileo aveva preso come unità di spazio la distanza coperta nei primi istanti, ovvero quella di 33 punti, considerando che un punto equivale a poco meno di un millimetro. Quindi aveva diviso il piano inclinato in 60 unità. Non sappiamo quale unità di tempo lo sperimentatore avesse utilizzato, ma è certo che gli intervalli tra questi battiti fossero tutti uguali.
Nei dati della Tabella 1, a prima vista, non sembra esserci alcun ordine logico-aritmetico nell’aumento della distanza. Inizialmente Galileo provò a trovare una progressione aritmetica basata sui numeri dispari 1, 5, 9, 13, 17, 21…, eccetera.

Tabella 1

1 2 3 4 5 6 7 8 N° Battiti
33 130 298 526 824 1192 1620 2104 Distanza accumulata 

 

Come si può notare nella Tabella 2 i primi risultati hanno un margine di errore decisamente troppo elevato rispetto ai dati di Galileo, mentre quelli finali sono oltremodo inferiori rispetto ai dati originali.

Tabella 2

1 2 3 4 5 N° Battiti
33·1 33·5 33·9 33·13 33·17 Operazione fatta da Galileo 
33 165 297 429 561 Distanza accumulata

 

Egli allora fece un altro tentativo: calcolò la distanza tra il secondo e il primo battito, tra il quarto e il terzo, eccetera. In seguito divise i dati ottenuti per la prima misura (33 punti) ottenendo così i risultati riportati nella Tabella 3.

Tabella 3

130-33 298-130 526-298 824-526 Distanza percorsa in un battito 
97 168 228 298
33/33 97/33 168/33 228/33 298/33 Rapporti trale distanze 
1 2,9 5,1 6,9 9,0

 

Essi però non avevano un ordine logico. Quindi provò a dividere tutti i dati relativi allo spazio per il primo dato (Tabella 4).

Tabella 4

1 2 3 4 5 6 7 8 N° Battiti
33/33 130/33 298/33 526/33 824/33 1192/33 1620/33 2104/33 Rapporto tra i dati dello spazio e quello iniziale
1 3,9 9,0 15,9 24,9 36,1 49,0 63,7 Risultato ottenuto
1 4 9 16 25 36 49 64 Risultato approssimato

 

Galileo arrotondò i valori dei rapporti trovati. Egli capì quindi che la distanza coperta aumentava con il quadrato del tempo. Il fatto che i dati di Galileo non fossero esatti era una prova dell’autenticità dell’esperimento. Il fatto che essi fossero così vicini ai numeri esatti era una prova dell’abilità dello sperimentatore.
La legge del quadrato dei tempi implica che le distanze percorse tra due battiti devono crescere seguendo la progressione dei numeri dispari (es: 4 = 22 = 1+3; 9 = 32 =1+3+5).
Nel 1961 Thomas Settle, un dottorando di storia della scienza della Cornel University, dimostrò la validità della legge del quadrato con apparecchiature e procedimenti applicabili anche al tempo di Galileo. Ricostruì l’orologio ad acqua utilizzando al posto della vasca un vaso da fiori e fece rotolare palle da biliardo lungo un asse di pino di un metro e ottanta per settanta. Egli poté quindi affermare che allenandosi e impratichendosi poteva arrivare a misurare il decimo di secondo con il suo vaso per fiori.
L’ipotesi più accreditata da Stillman Drake, in seguito allo studio dei taccuini galileiani, tuttavia, è quella che lo scienziato abbia registrato i tempi utilizzando la sua grande pratica musicale. In qualità di musicista egli poteva facilmente suddividere il tempo in porzioni uguali, con una precisione paragonabile a quella di uno strumento meccanico.
Il metodo venne quindi ribaltato: l’obiettivo di Galileo era ora quello di calcolare lo spazio percorso in tempi uguali. Egli, come fece Drake trecento anni più tardi con l’inno religioso inglese Onward Christian Soldiers, fissando un motivetto e facendo varie prove, riuscì a segnare delle tacche in corrispondenza della posizione della palla sul piano a ogni «battere». Poi fissò in corrispondenza di ogni tacca segnata un pezzo di corda di budello, ottenendo così uno strumento molto simile a quello che sapeva suonare, il liuto.
Il passo successivo fu quello di aggiustare la posizione delle corde, o, nel caso di Drake, degli elastici di gomma, fino a ottenere un ritmo regolare. Secondo Drake, il fisico seicentesco utilizzò l’orologio ad acqua solo in un secondo momento, quando dovette mostrare la legge ad altri in maniera più semplice ma meno precisa, ossia segnando prima le tacche 1, 4, 9, 16, 25, 36, 49, 64 e poi usando il suo singolare «cronometro» per confermare i tempi.

 

 

Il nostro secondo esperimento

 

Per la seconda volta, quindi, ci siamo calati nei panni dei fisici sperimentatori e abbiamo provato a ripetere l’esperimento effettuato da Galileo nel nostro laboratorio scolastico.
Il motivetto scelto per accompagnare la misurazione dei tempi è stato quello di Romagna mia, il cui battere si ha in corrispondenza dei 4/4. Abbiamo quindi fatto scendere la pallina lungo il travicello inclinato e segnato le tacche.
In seguito abbiamo annotato i dati nella Tabella 5.

Tabella 5

1 2 3 Tempo
11,8 46,8 104,2 Spazio (cm)
11,8/11,8 = 1 46,8/11,8 = 3,97 104,2/11,8 = 8,83 Rapporto tra i dati della
distanza e quella iniziale 
1 4 9 Risultato approssimato

 

Anche noi come Galileo abbiamo poi applicato dei campanelli in corrispondenza delle misure di spazio, fatto scendere la palla e ottenuto un ritmo regolare.
Attraverso questo esperimento abbiamo potuto verificare con i nostri occhi la legge scoperta da Galileo Galilei sul moto uniformemente accelerato, ossia che la distanza coperta aumenta con il quadrato del tempo, traducibile nella nota relazione: s = (1/2)∙a∙t2.

 

 

Caterina Pedini – classe III Liceo Scientifico

 

 

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© Pubblicato sul n° 48 di Emmeciquadro