La raccolta di contributi che accompagnano l’iniziativa «WHAT. What’s Human About Technology?» e ne sviluppano le principali tematiche, si chiude con le parole di un artista, un poeta, che vive come tutti immerso nell’ambiente tecnologico e raccoglie un particolare riverbero delle sfide e degli interrogativi posti dall’avanzare dei tecnosistemi.
Un altro modo di riflettere sulle macchine, sull’uomo e sulla irriducibilità dell’uno alle altre.
L’argine scuro d’erbe nell’aria lucente,
l’acqua, i cieli dopo il vento, magnetici di stelle
Tutto era azzurro cupo, era quasi verde –
Vedi, nessun computer lo saprà mai…
E tu sfiorando l’erba scomposta: ma cosa?
La macchina – t’ho fermato il polso, sfilavi uno stelo –
non sente il doppio, il tempo, ci pensi a cosa perde…
Invecchia e non si sente invecchiare
e in nulla, mai, ringiovanire.
Non sente nemmeno il timore,
dicesti già avanti sulla riva, ridevi forse ho capito male.
Venne il bacio, uno solo e leggero sul fiume –
niente lo avrebbe motivato mai
nessun circuito o apprendimento neurale
Solo quel grande strano splendore –
Poi tu o la tua ombra m’ha fissato serissima:
dimmi se lo sai, macchine non siamo, dimmi
non lo saremo mai, vero ?
Proteggerò dall’epoca belva
la tua giovinezza rara, dalla selva di fantasmi,
guru hi-tech, lievitatori di cristalli, boss
in t-shirt. Volevo dirti così, fissai
nella tue pupille lo scarto del lupo nero –
ho mormorato: sono un pazzo, un bambino
scrivo poesie, vieni dai miei amici, in città ho aperto
un giardino…
Intanto era scesa la sera, davanti a noi
non si vedeva quasi il sentiero.
Davide Rondoni
(Direttore del Centro di poesia contemporanea all’Università di Bologna. E’ direttore della rivista di poesia e arte ClanDestino)
Questa poesia è un’anticipazione tratta dall’opera «La natura del bastardo», dello stesso autore, in uscita prossimamente da Mondadori.
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