Nei dibattiti della seconda metà del secolo scorso ricorreva frequentemente l’invito a sviluppare una tecnologia «a misura d’uomo»; era una reazione all’imponente crescita della produzione di massa, immortalata nell’immaginario collettivo dalle sequenze del film Tempi moderni con un acrobatico Charlie Chaplin perso tra gli ingranaggi di una assurda catena di montaggio.
Ed era una reazione all’impetuoso sviluppo tecnologico che riempiva la società (occidentale) di macchine di ogni tipo, pronte a esaudire ogni esigenza ma anche a stravolgere abitudini, ritmi, attività quotidiane.
Chi cercava di immaginare un diverso modo di concepire la tecnologia si è facilmente ritrovato in una visione come quella dell’economista Ernst Schumacher che, nel capitolo centrale del best seller Piccolo è bello (1973) intitolato Una tecnologia dal volto umano, delineava i tratti di un’attività tecnica lontana da ogni tentazione di onnipotenza e in grado di favorire una crescita armoniosa e aliena dagli squilibri, sempre più drammatici, tra singoli e tra popoli.
Il titolo di quel capitolo è presto diventato uno slogan; l’espressione rappresentava una strana sintesi di ottimismo e scetticismo: c’era l’ottimismo di chi vedeva nella tecnologia uno strumento in grado di migliorarsi per rispondere sempre meglio ai bisogni delle persone, ma c’era il sottofondo di scetticismo di chi non riteneva possibile che lo sviluppo tecnologico assumesse un aspetto «amico», che potesse realmente costituire un bene per l’uomo.
La visione di Schumacher si è tradotta nel modello delle «tecnologie intermedie», presto ribattezzato con la più calzante formula «tecnologie appropriate»: secondo Schumacher e i teorici che hanno sviluppato le sue idee, una tecnologia si considera «appropriata» quando è compatibile con i bisogni propri della natura umana, con le condizioni culturali, naturali ed economiche locali e utilizza risorse umane, materiali ed energetiche disponibili sul posto, con strumenti e processi controllabili e gestibili dalla popolazione locale.
Ben presto il movimento delle «tecnologie appropriate» è andato a confluire nel vasto fiume dell’ambientalismo e negli ultimi decenni del secolo scorso il dibattito si è decisamente concentrato sulle tematiche ambientali ed ecologiche: tutte le preoccupazioni per l’impiego sconsiderato delle tecnologie si sono indirizzate verso l’analisi e la denuncia degli impatti ambientali negativi di impianti, macchine e infrastrutture di ogni tipo. In molti casi non senza valide ragioni; in altri casi con evidenti esagerazioni, valutazioni unilaterali e forzature ideologiche.
Spesso «dimenticando» che l’ambiente comprende anche le persone, si è diffusa una mentalità che vede in ogni nuovo oggetto tecnico una potenziale minaccia per l’integrità della natura e si è insinuata una contrapposizione tra l’uomo inquinatore, a causa della sua tecnologia, e un irreale ambiente naturale incontaminato.
Da qualche tempo comunque la tecnologia è tornata al centro del dibattito pubblico. Ciò è avvenuto sulla spinta e in conseguenza dello sviluppo imperioso delle tecnologie della comunicazione, dell’automazione e del biotech.
Il dibattito ha ripreso tutti i temi tipici affrontati fin dall’inizio della rivoluzione industriale settecentesca, ma ha assunto una portata particolare dati i caratteri di novità dello scenario tecnologico attuale.
Novità connesse agli oggetti dell’intervento trasformatore che da un lato continuano ad essere la materia e l’energia, anche se vengono manipolate a scale e in forme prima impensabili; dall’altro vanno a toccare tutta la sfera dell’informazione e le strutture della stessa vita. Ma novità soprattutto dipendenti dalla modalità di sviluppo delle suddette tecnologie, caratterizzate dalla rapidità di crescita e dalla pervasività: i nuovi prodotti e le nuove soluzioni informatiche, cibernetiche e biotecnologiche si diffondono velocemente e in breve arrivano a toccare tutti, a incidere sulla vita di tutti, sul modo di lavorare, di comunicare, di pensare.
L’aspetto più sorprendente e fonte di preoccupazioni è la riduzione estrema dei tempi che intercorrono tra una nuova idea, la sua implementazione in un prodotto o sistema tecnologico e la sua diffusione massiccia. È uno sviluppo «in tempo reale» che annulla i tempi delle aspettative, riduce i periodi di adattamento e di assimilazione e ci pone tutti nella situazione di rincorrere le nuove opportunità che le tecnologie indubbiamente aprono: siamo sempre in ritardo, siamo sempre sprovveduti, dobbiamo sempre aggiornarci, scaricare l’ultima release…
Soprattutto si riduce il tempo per riflettere su tutti i risvolti dei nuovi scenari che si delineano, sulle implicazioni della diffusione di massa delle nuove tecnologie: dai grandi interrogativi etici, che in parte vengono riformulati in parte assumono aspetti inediti (basti pensare alla questione della attribuzione delle responsabilità delle azioni compiute da un robot…); a quelli educativi, ancora troppo sottovalutati; a quelli sociali, derivanti dai cambiamenti di abitudini e di comportamenti che assumiamo quasi senza rendercene conto. Ci accorgiamo che accanto agli interrogativi di sempre, nascono domande che non immaginavamo, dalle quali dobbiamo lasciarci sfidare e per le quali non possiamo accontentarci di risposte sbrigative e tranquillizzanti.
È una situazione ben sintetizzata nell’iniziativa WHAT. What’s Human About Technology? proposta al Meeting per l’Amicizia tra i Popoli 2016 dall’Associazione Euresis e dalla Fondazione CEUR.
La domanda espressa nel titolo può essere letta almeno in due modi, entrambi significativi e utili per aprire spazi di riflessione e approfondimento.
Un modo è quello che si interroga sull’umano nella tecnologia cercando di capire in che senso la tecnologia è «per l’uomo», come risponde ai bisogni, che tipo di problemi umani affronta e come offre soluzioni (insieme a ulteriori problemi…). Per affrontare questi temi, oltre alla conoscenza non superficiale delle tecnologie attuali, può essere illuminante la storia della tecnologia, la descrizione di tanti frutti dell’ingegno e dell’operosità umana, il racconto dei conseguenti miglioramenti delle condizioni di vita, l’analisi dei vantaggi come pure degli innegabili impatti negativi e indesiderati.
L’altra modalità è quella che vuole sorprendere le tecnologie, soprattutto quelle attuali e più «avanzate», per come esprimono o meno l’umano, per quello che ci dicono «dell’uomo», per cosa ci rivelano di noi stessi, di cosa desideriamo, di come viviamo le relazioni con le cose e con le persone. Come ha efficacemente espresso Benedetto XVI nell’Enciclica Caritas in Veritate (n. 69): «La tecnica (…) risponde alla stessa vocazione del lavoro umano: nella tecnica, vista come opera del proprio genio, l’uomo riconosce se stesso e realizza la propria umanità. La tecnica è l’aspetto oggettivo dell’agire umano, la cui origine e ragion d’essere sta nell’elemento soggettivo: l’uomo che opera. Per questo la tecnica non è mai solo tecnica. Essa manifesta l’uomo e le sue aspirazioni allo sviluppo, esprime la tensione dell’animo umano al graduale superamento di certi condizionamenti materiali».
I contributi presentati in questo Speciale, coordinato dal Professor Elio Sindoni, Presidente della Fondazione CEUR, accompagnano l’iniziativa WHAT? attraverso la voce di alcuni dei curatori dello spazio espositivo e dei protagonisti dei momenti di parola.
Gli autori affrontano alcuni ambiti emblematici degli sviluppi dell’innovazione tecnologica odierna – in particolare la robotica, la realtà virtuale, le biotecnologie e la nano-microelettronica – e mostrano l’attualità, la pertinenza e la drammaticità di tante domande sollevate da tali sviluppi.
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Mario Gargantini
(Direttore della rivista Emmeciquadro)
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