Il termine «biodiversità», contrazione di «diversità biologica», è diventato di uso comune a partire dal 1988, quando fu proposto dal naturalista Edward O. Wilson (1929-…).
Le definizioni da allora sono state molte e non sempre soddisfacenti: la più completa è quella elaborata dalla Convenzione ONU sulla Diversità Biologica, che definisce la biodiversità come la «varietà e variabilità degli organismi viventi e dei sistemi ecologici in cui essi vivono» (Earth summit Rio de Janeiro, 1992).
In questa definizione sono evidenziati i principali tre livelli di biodiversità.
I livelli di Biodiversità
Diversità genetica: la varietà del patrimonio genetico all’interno di una specie.
Diversità di specie: indica l’abbondanza e la diversità tassonomica di specie misurabile in termini di numero delle stesse specie presenti in una determinata zona ovvero di abbondanza degli individui di ciascuna specie in un territorio o in un habitat.
Diversità di ecosistemi: indica la varietà degli habitat, delle comunità viventi e degli ecosistemi all’interno dei quali i diversi organismi vivono e si evolvono. Un ecosistema include tutti gli organismi in una data area, interagenti tra loro e con l’ambiente fisico.
Una definizione completa di biodiversità comprende anche gli aspetti di adattamento funzionale delle varie specie nello spazio e nel tempo. La biodiversità non è un dato fisso e stabile, ma in un ambiente la diversità delle specie presenti può aumentare o diminuire nel tempo a causa di diversi fattori che possono essere di carattere naturale e/o antropico. Inoltre la coesistenza di specie diverse provoca fenomeni di interazione e quindi nuove possibilità di evoluzione e speciazione che rendono sempre più elevato il livello di biodiversità.
Quante sono le specie viventi? A questa domanda non è facile dare una risposta.
Attualmente sono note circa 1.200.000 specie di animali, di cui circa 900.000 insetti, e circa 220.000 specie di piante, più di 44.000 specie di funghi e circa 18.000 di alghe.
Una recente valutazione stima che le specie effettivamente esistenti siano circa 10 milioni di animali, 300.000 piante, ma ben 600.000 specie di funghi e 35.000 di alghe (Mora et al., 2011. PLoS Biol. 9, e1001127).
Se poi volessimo stimare anche le specie di procarioti viventi (batteri e archeobatteri, privi di nucleo definito) il numero delle specie salirebbe a miliardi. Si può ben dire quindi che conosciamo solo la punta dell’iceberg di tutte le specie esistenti.
Ma quante specie sono vissute nelle ere geologiche passate?
La stima corrente è di 4 miliardi, il 99% delle quali estinte. Ma il numero è sicuramente sottostimato perché di molte specie, prive di parti fossilizzabili, non è rimasta traccia; inoltre la comparazione tassonomica avviene al massimo a livello di genere e spesso le estinzioni sono post-datate.
Una più attendibile valutazione si può fare a livello di famiglie di animali e di piante negli ultimi 600 milioni di anni: il numero è stato costantemente in crescita, con momenti di declino corrispondenti alle cinque estinzioni di massa (big five) di cui le più famose sono l’estinzione permo-triassica e quella alla fine del Cretaceo.
Si valuta che durante tali estinzioni siano scomparse più del 75% delle specie.
Purtroppo la valutazione delle estinzioni recenti documentate dal 1500 in poi e il confronto tra le percentuali di specie estinte negli ultimi 500 anni e quelle attualmente minacciate di estinzione secondo i dati IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) dimostrano che è avvenuta una accelerazione delle estinzioni a partire dal 1750, quindi dall’inizio della rivoluzione industriale e della meccanizzazione agraria, in parallelo con la velocità di incremento della CO2 nell’atmosfera.
Le cause principali delle estinzioni recenti sono la frammentazione e riduzione degli habitat e la competizione con specie introdotte dall’uomo da ambienti lontani.
La variazione naturale della Biodiversità
La biodiversità è ben lungi dall’essere uguale in tutto il pianeta: in generale è bassa negli ambienti ad alta quota e a elevata latitudine, poiché relativamente poche specie si sono adattate alle basse temperature.
La biodiversità più elevata si riscontra nella zona intertropicale sia per ragioni climatiche, sia per ragioni storico-biogeografiche: nelle regioni intertropicali la variabilità climatica stagionale è modesta e ciò assicura una elevata produzione di sostanza organica da parte dei vegetali, capace di sostenere reti alimentari complesse; inoltre le regioni intertropicali hanno avuto nelle ere geologiche una superficie nettamente maggiore rispetto alle regioni temperate e, a differenza di queste, non hanno subito le glaciazioni che hanno provocato estinzione di specie.
Non è un caso che nella zona intertropicale vi siano molti dei cosiddetti 25 hot spot di biodiversità, zone caratterizzate da un numero elevato di specie esclusive di quella zona, e dove si concentrano il 44% delle piante vascolari e il 35% delle specie di vertebrati in un’area che occupa solo l’1,4% di superficie terrestre.
La variazione naturale della biodiversità dipende anche dalla eterogeneità degli ambienti, a sua volta favorita dalle condizioni stabili delle regioni intertropicali: la foresta equatoriale ha una complessità strutturale in senso verticale, oltre che orizzontale, che favorisce la «stratificazione» di ambienti; le scogliere coralline sono un altro classico esempio di eterogeneità di ambienti, creati dalle stesse madrepore che in forme massive, fogliformi, arborescenti si accavallano in strutture complesse tridimensionali; tra queste trovano spazio vitale molluschi, echinodermi e alghe, mentre pesci di ogni forma, dimensione e colore nuotano negli spazi liberi.
Ma la biodiversità può variare anche secondo gradienti di produttività: in ambienti caratterizzati da abbondanza di nutrienti, come può avvenire all’estuario di un fiume, la diversità di specie aumenta finché la stessa abbondanza di viventi non consuma troppo ossigeno e impedisce alla luce di penetrare, provocando una carenza di energia alla quale solo poche specie sono in grado di adattarsi: è il cosiddetto «paradosso dell’arricchimento».
Negli ambienti a bassa biodiversità, come le già ricordate regioni circumpolari o l’alta montagna, oppure con elevate concentrazioni di nutrienti (eutrofizzazione) le catene alimentari sono spesso relativamente semplici e una qualunque perturbazione, come l’introduzione di una specie nuova o una variazione climatica, può causare morie che si possono tradurre in irreversibili perdite di specie.
Al contrario, in ambienti ad alta biodiversità la rete alimentare è complessa e diversificata, capace di reagire a perturbazioni anche molto forti con fenomeni di resilienza, cioè di ritorno a uno stato precedente la perturbazione: un esempio viene dalla resilienza delle scogliere madreporiche dell’indo-pacifico che hanno subito morie a seguito dell’aumento della temperatura dell’acqua causato dal El Niño nel 1998: dopo circa 13 anni la copertura di coralli, che era scesa al 10%, era ritornata al 43%, simile a quella precedente la perturbazione, sebbene con colonie madreporiche giovani e quindi più piccole.
È da notare che una parte importante nella resilienza è stata giocata dai pesci erbivori che, molto aumentati a seguito del grande sviluppo di alghe, hanno mangiato le alghe che tendevano a ricoprire i coralli morti, favorendo la penetrazione della luce e la crescita delle madrepore.
Gli ecosistemi stabili e in equilibrio offrono una grande varietà di habitat; la diversità genetica e la competizione hanno avuto come risultato la formazione di molte specie che si sono adattate a occupare diverse nicchie.
Il valore della Biodiversità
La biodiversità ha molteplici valori per l’uomo: alcuni sono valori strumentali, quantificabili come servizi ecosistemici: per esempio l’impollinazione effettuata dagli insetti, la protezione delle coste e del suolo, il mantenimento di una ottimale concentrazione di ossigeno esercitata dalle piante, la decomposizione, la detossificazione e il mantenimento della fertilità del terreno operata da batteri, funghi e da numerosi piccoli animali.
Altri valori strumentali sono potenziali, come la resilienza degli ecosistemi, la riserva di geni delle specie selvatiche, che possono essere utilmente trasferiti nelle specie domestiche, o le molecole di interesse farmacologico. Anche il valore estetico e ricreazionale o turistico può essere considerato un valore strumentale.
Ma la biodiversità ha anche valori intrinseci, come quelli che derivano da tradizioni culturali e/o religiose; ha un valore etico, che corrisponde al rispetto della vita, al complesso delle relazioni «logiche» che caratterizzano gli organismi viventi e che sono alla base di una speciale relazione uomo-natura che viene detta bio-empatia.
Infine bisogna ricordare che la biodiversità è un concetto dinamico, un fenomeno in continuo divenire che si inserisce in una storia: la storia della vita sulla Terra dove agiscono diverse forze evolutive, come la capacità di generare forme diverse, la selezione naturale, la storia geologica del pianeta, e le conseguenti modificazioni degli ambienti.
Solo quindi una visione complessiva può offrire una esauriente descrizione della biodiversità, come quella pensata e scritta da Charles Darwin (1809-1882) nell’ultimo paragrafo della sua opera L’origine delle Specie:
«È interessante contemplare una plaga lussureggiante, rivestita da molte piante di vari tipi, con uccelli che cantano nei cespugli, con vari insetti che ronzano intorno, e con vermi che strisciano nel terreno umido, e pensare che tutte queste forme così elaboratamente costruite, così differenti l’una dall’altra e dipendenti l’una dall’altra in maniera così complessa, sono state prodotte da leggi che agiscono intorno a noi […]. Vi è qualcosa di grandioso in questa concezione di vita, con le sue diverse forze, originariamente impresse dal Creatore (presente solo nella VI ed. 1872) in poche forme, o in una forma sola; e nel fatto che, mentre il nostro pianeta ha continuato a ruotare secondo l’immutabile legge della gravità, da un così semplice inizio innumerevoli forme, bellissime e meravigliose si sono evolute.»
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Fiorenza De Bernardi
(Dipartimento di Bioscienze, Università degli Studi di Milano)
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