Una qualunque entità, naturale o artificiale, costituisce una risorsa se è utile, o utilizzabile, per uno scopo determinato. Quindi l’essere o non essere una risorsa non è una caratteristica intrinseca dell’entità, ma è una caratteristica che è definita in relazione allo scopo, e che dipende dalle attività umane.
In particolare dipende dalla disponibilità di una tecnologia di utilizzazione adeguata, ove a sua volta la «adeguatezza» di una tecnologia dipende da diversi fattori, la cui valutazione può evolvere nel tempo.
L’economicità dell’utilizzo è sempre un fattore chiave, ma si accompagna ad altri criteri, quali la sostenibilità ambientale o l’accettabilità sociale.
A titolo di esempio, i bovini, che nelle altre parti del mondo costituiscono una risorsa alimentare, in India non lo sono, per motivi culturali. Per rimanere in campo energetico, il processo di fusione nucleare, che è fisicamente ben noto, costituisce una risorsa bellica, che è stata utilizzata per la realizzazione della bomba H, ma a oggi non costituisce una risorsa energetica, perché manca una tecnologia in grado di utilizzarlo in modo controllato.
Una considerazione analoga vale per il calore presente nel sottosuolo, in particolare in prossimità dei vulcani. Menzionando un’altra risorsa naturale, in Sudafrica sono attive, da molti decenni, miniere di diamanti; in prossimità delle miniere si erano accumulate negli anni intere colline di materiale di scarto, che era stato estratto dal sottosuolo e dal quale erano stati estratti i diamanti.
Era ben noto che quel materiale conteneva ancora frammenti di diamante, ed erano note tecnologie che avrebbero permesso il loro recupero, ma, poiché queste tecnologie non erano economicamente convenienti, quei cumuli, rimanevano semplicemente un rifiuto.
Nel momento in cui è stata sviluppata una tecnologia che permetteva il recupero di quei frammenti a un costo conveniente, quel rifiuto è diventato una risorsa.



Il concetto di risorsa

Quindi una risorsa è tale quando esiste una tecnica di utilizzazione adeguata, cioè che ne permette lo sfruttamento in modo sufficientemente efficiente. Come accennato sopra, l’efficienza comprende senz’altro l’economicità in senso stretto, ma comprende anche altri fattori, quali per esempio il consumo di risorse.
Cioè lo sfruttamento, o valorizzazione, di una risorsa richiede una tecnologia, e quindi un’industria. Per esempio, l’acqua che sgorga da una sorgente, in montagna, può già essere considerata una risorsa per le baite dell’alpeggio che viene costruito in prossimità della sorgente stessa.
Tuttavia la valorizzazione piena della risorsa (si pensi alla comodità di utilizzazione o all’abbeverata del bestiame) avviene quando viene costruita almeno una vasca, o ancora meglio una fontana, cioè viene utilizzata una tecnica. Ma la stessa sorgente non costituisce una risorsa per un abitante della città, fino a quando non viene sviluppata una tecnologia che permetta di trasportare l’acqua fino alla città, e di distribuirla in modo sufficientemente capillare. Anzi, le città hanno potuto esistere solo quando sono state disponibili le tecnologie che hanno permesso di rifornirle d’acqua (si pensi alle tecnologie dei romani).
In altri termini, l’acqua che esce dai nostri rubinetti non è una risorsa naturale, ma è un prodotto industriale. Allo stesso modo, la valorizzazione di qualunque risorsa naturale richiede una tecnica, e un’attività umana, che su piccola scala può essere artigianale, ma su grande scala è necessariamente industriale.



Le azioni relative alle risorse energetiche

L’uomo, per le sue attività, ma anche per la sua sopravvivenza, utilizza energia. Ne può attingere da risorse naturali e, come detto prima, la valorizzazione delle risorse naturali richiede una qualche tecnica. Pensiamo alle esigenze elementari di un contadino, di campagna o di montagna: cuocere i cibi e riscaldarsi nella stagione fredda. La risorsa naturale disponibile è la legna (oggi chiamata più pomposamente ‘biomassa’).
Il contadino raccoglie la legna, la trasporta alla sua abitazione, la deposita nella legnaia, e la brucia, in una stufa o in un camino; e si può dire che il calore che utilizza, per cuocere i cibi e per riscaldarsi, è un prodotto artigianale.
Così facendo il contadino attua le azioni, o funzioni, fondamentali, che sono necessarie affinché una risorsa naturale sia una risorsa energetica utilizzabile:



  1. Raccogliere,

  2. Trasportare, e anche distribuire, quando l’utente non è uno solo,

  3. Immagazzinare,

  4. Trasformare.

Ognuna di queste azioni può richiedere modalità diversissime: per esempio «raccogliere» è il pozzo di petrolio, oppure la vela che raccoglie l’energia eolica (energia cinetica dell’aria) e simultaneamente la trasforma in energia cinetica di un natante, o il pannello fotovoltaico che raccoglie l’energia solare e simultaneamente la trasforma in energia elettrica; «immagazzinare» è un serbatoio di combustibile, oppure una diga che immagazzina l’energia meccanica potenziale dell’acqua in quota; «trasformare» è un motore, che trasforma energia elettrica (o chimica, immagazzinata in un combustibile) in energia meccanica, oppure una stufa, che trasforma energia chimica immagazzinata in un combustibile in energia termica.

Tuttavia queste azioni devono essere tutte possibili, altrimenti la risorsa rimane inutilizzabile, o utilizzabile solo in modo limitato. Il contadino di cui sopra ha a sua disposizione un’altra risorsa naturale, abbondante, che è l’energia solare, ma riesce a sfruttarla solo per scaldarsi nella bella stagione.
Infatti l’energia solare può essere raccolta e trasformata (i muri di una casa sono il dispositivo che raccoglie energia solare, la trasforma in energia termica, e riesce a immagazzinarla per alcune ore), non ha bisogno di essere trasportata perché arriva ovunque (ha al più bisogno di essere concentrata, perché arriva dispersa, con intensità bassa), ma può essere immagazzinata in forma termica solo per tempi brevi.
Pertanto, non sarebbe impossibile utilizzarla per la cottura dei cibi (appunto concentrandola), ma in un giorno di pioggia si mangerebbe solo crudo, ed è impossibile immagazzinarla durante l’estate per riscaldarsi nella stagione fredda.
Quindi si può sinteticamente dire che:

  1. Ogni tipo di utilizzo richiede la forma appropriata di energia, e una fonte è sfruttabile per un dato utilizzo solo se è trasformabile nella forma richiesta;

  2. L’energia utilizzata dall’uomo è esito delle azioni di cui sopra, ed è quindi un prodotto industriale;

  3. Per ogni fonte di energia (così come per ogni altra risorsa naturale e per ogni attività umana) ognuna di queste azioni ha qualche tipo di impatto sull’ambiente, sulla società e sull’economia.

Le Figure 1 e 2 presentano, in modo schematico e sintetico, le possibilità di trasformazione (Figura 1) e di immagazzinamento e trasporto (Figura 2) delle diverse forme di energia.

 

Figura 1

1, 2: combustione;

3: combustione in un motore;

4: combustione in una centrale elettrica,  o
     direttamente in una cella a combustibile

5: processi chimici

6: motore termico

7: centrale termoelettrica;

8: fotosintesi clorofilliana;

9: pannelli solari termici;

10: pannelli solari fotovoltaici

11: turbina idraulica;

12: centrale idroelettrica

13: reattore nucleare;

14, 15: centrale nucleare;

16: attrito (freni);

17: centrale di pompaggio;

18: alternatore, dinamo;

19: processi elettrochimici;

20: forni elettrici;

21: lampadine;

22: centrale di pompaggio;

23: motore elettrico

Tabella 1

Trasformazione dell’energia: possibilità di conversione da una forma a un’altra.
In Figura 1: nella colonna verticale, gialla, le forme «di partenza», nella riga orizzontale, arancione, le forme «di arrivo».
Nella Tabella 1, i principali dispositivi che effettuano le diverse conversioni.

 

La Figura 1 presenta le possibilità di trasformazione, senza addentrarsi nelle efficienze delle diverse trasformazioni. In particolare, non è questa la sede in cui discutere il fatto che le diverse forme di energia siano più o meno «pregiate» dal punto di vista termodinamico. Basti ricordare che le forme meccanica ed elettrica sono le più pregiate, che quella termica è la meno pregiata, e che il «pregio» si manifesta appunto nelle possibilità di trasformazione.
Le energie meccanica ed elettrica possono trasformarsi quasi completamente l’una nell’altra: dal punto di vista termodinamico non esiste impedimento a un’efficienza di trasformazione del 100%, e questa non è praticamente raggiungibile solo a causa delle forme di dissipazione, quali gli attriti, che non sono completamente eliminabili, e che degradano in calore una (piccola, se il dispositivo è ben realizzato) parte dell’energia che viene trasformata.
Le energie meccanica ed elettrica possono poi essere completamente convertite in energia termica, con efficienza di trasformazione del 100%.
L’energia termica, invece, è appunto meno pregiata perché non può essere completamente convertita in meccanica o elettrica. La termodinamica fissa, per le efficienze di conversione, un limite fisico intrinseco che dipende dalla temperatura raggiunta nel motore e che, per le temperature praticamente raggiungibili, rimane al di sotto del 50%. L’efficienza praticamente ottenibile è poi ulteriormente ridotta dagli effetti di dissipazione prima menzionati.
La Figura 1 mostra che l’energia elettrica è ottenibile a partire da pressoché ogni altra forma di energia, e che a sua volta è trasformabile pressoché in ogni altra forma. Questa versatilità, insieme alla crescente diffusione di elettrodomestici e apparati elettronici, è alla base di un’evoluzione in corso da decenni: la frazione di energia che è consumata in forma elettrica è in costante crescita.
La versatilità riguarda sia la diversità di forme in cui può essere trasformata l’energia elettrica, sia le modalità della trasformazione, che traggono vantaggio dal «pregio» dell’energia elettrica. Per esempio, non sarebbe impossibile azionare la centrifuga di una lavatrice mediante un motore a benzina, ma non è difficile immaginare il diverso impatto, rispetto al motore elettrico universalmente adottato, che avrebbe un motore a benzina, con la necessità di gestire i gas di scarico, il radiatore per il raffreddamento e il rumore.

In Figura 2 sono presentate schematicamente le possibilità di immagazzinamento e di trasporto delle diverse forme di energia.
Occorre sottolineare che i limiti indicati sono solo stime approssimative, perché non sono dovuti a limiti fisici o intrinseci, ma a limiti di convenienza tecnico-economica, e che quindi cambiano con l’evoluzione della tecnologia. Per esempio, nulla impedirebbe di trasportare energia elettrica anche su distanze di diverse migliaia di chilometri; tuttavia, per quanto si faccia il possibile per adottare cavi aventi bassa resistenza elettrica, la resistenza non è completamente eliminabile, e con essa la dissipazione in calore di una parte dell’energia trasportata. Su distanze lunghissime la dissipazione finirebbe col consumare la maggior parte dell’energia immessa nell’elettrodotto.
Questo esempio mette bene in luce l’importanza della tecnologia. Per una data potenza che viene trasmessa, la potenza che viene dissipata è tanto più piccola quanto più è alta la tensione alla quale opera l’elettrodotto.
Per la corrente alternata, è da sempre disponibile il trasformatore, una macchina molto efficiente che permette di innalzare la tensione per trasportare l’energia riducendo le perdite, e poi di riabbassarla per distribuire e utilizzare l’energia stessa.

 

Figura 2: Immagazzinamento e trasporto dell’energia.
Per le diverse forme di energia, sono rappresentate le indicazioni approssimative della possibilità di immagazzinare il fabbisogno relativo a un certo intervallo di tempo, e di trasportare l’energia per una certa distanza.
Come discusso nel testo, non si tratta di limiti fisici o intrinseci, ma di limiti di convenienza tecnico-economica.

 

Per la corrente continua, decenni orsono non esisteva una macchina che realizzasse le analoghe trasformazioni con efficienza ragionevole. Quindi le reti di distribuzione dell’energia elettrica sono state costruite, e si sono sviluppate, in corrente alternata.
Oggi, grazie all’elettronica, è possibile, con buona efficienza, innalzare e abbassare la tensione anche della corrente continua, e quindi quest’ultima viene nuovamente presa in considerazione, per applicazioni particolari, per le quali essa può offrire alcuni vantaggi.
Similmente, un progresso tecnologico che permettesse di far operare un elettrodotto a una tensione più elevata ridurrebbe le perdite, e renderebbe l’energia elettrica trasportabile su distanze maggiori.

 

 

Le fonti di energia

 

Le fonti energetiche primarie sono le risorse, prevalentemente, ma non esclusivamente, naturali, che possono essere sfruttate per ottenere una disponibilità netta di energia. La Tabella 2 elenca sinteticamente quelle finora utilizzate con qualche successo, o allo studio.

 


combustibili fossili

hanno immagazzinato energia chimica, che viene liberata mediante la combustione

  1. Carbone

  2. Petrolio

  3. Gas naturale

  4. Gas di scisto
    ‘shale gas’ / ‘shale oil’


‘combustibili’ nucleari

Sono chiamati ‘combustibili’ per analogia, ma liberano energia mediante reazioni nucleari, non mediante combustione

  1. Fissione:
    – uranio (attualmente utilizzato)
    – plutonio (finora poco utilizzato)
    – torio (allo studio )

  2. Fusione:
    – deuterio
    – trizio (allo studio)


fonti rinnovabili

Comprendono forme di energia molto diverse

  1. Idraulica:
    utilizzata per l’idroelettrico

  2. Geotermica

  3. Biomassa: legna

  4. Eolica: vento

  5. Solare:
    utilizzata per l’applicazione termica e per quella fotovoltaica

  6. Combustibili
    – bio (bioetanolo, …)
    – derivati da rifiuti

Tabella 2: Le principali fonti energetiche primarie

 

 

Le diverse fonti energetiche primarie differiscono per molte caratteristiche. Quindi esse non sono intercambiabili in modo semplice, ognuna ha alcune applicazioni per le quali è più adatta, altre per le quali è meno adatta, e (in qualche caso) alcune per le quali non è utilizzabile. Un elenco, non esaustivo, di parametri che definiscono le caratteristiche intrinseche delle diverse fonti è presentato in Tabella 3.
Si nota immediatamente che in Tabella 1 non figurano un protagonista assoluto del panorama energetico, l’elettricità, e un possibile protagonista futuro, l’idrogeno. Questo perché nessuna delle due è una fonte primaria, cioè direttamente reperibile in natura, ognuna delle due può essere ottenuta solo trasformando qualche altra forma di energia.
In altri termini, ognuna delle due forme può essere ottenuta solo consumando una quantità almeno pari di un’altra forma di energia (in realtà una quantità un po’ maggiore, perché nessuna trasformazione ha un’efficienza del 100 %).
La trasformazione può rendere più agevole la fruizione di una fonte, o può permettere degli utilizzi altrimenti impossibili. Per esempio, l’energia meccanica di un corso d’acqua, se utilizzata direttamente (mulino ad acqua) può azionare dei macchinari solo nelle immediate vicinanze del corso d’acqua, mentre se trasformata in energia elettrica può essere trasportata e utilizzata a distanze molto più grandi.

 

  1. Tipo di energia prodotta  (termica, meccanica, trasformazione immediata in elettrica, …);

  2. Concentrazione o potenza specifica  (energia prodotta per unità di massa, o di volume, del combustibile, energia prodotta per unità di area occupata dagli impianti di raccolta, …);

  3. Scala degli impianti  (potenza massima producibile da un singolo impianto, possibilità o convenienza di realizzare impianti di piccola scala e distribuiti, necessità o convenienza di realizzare impianti di grande scala, con conseguenti economie di scala e rigidità di utilizzo, …);

  4. Disponibilità (costante, quindi con utilizzazione programmabile, oppure periodica, o casuale);

  5. Costi di approvvigionamento, in particolare dei combustibili;

  6. Investimenti necessari per l’impianto;

  7. Costi di esercizio dell’impianto;

  8. Impatto ambientale nel funzionamento normale;

  9. Eventuali rischi associati a condizioni incidentali.

Tabella 3: I principali parametri che caratterizzano le diverse fonti energetiche primarie.

Le forme di energia che più si prestano a essere distribuite, e utilizzate capillarmente, sono quelle dei cosiddetti vettori energetici, che sono appunto utilizzati per distribuire l’energia. Essi sono principalmente i combustibili e l’elettricità, non a caso le due forme per le quali sono state sviluppate reti di distribuzione imponenti.
Infatti i combustibili che contengono energia immagazzinata in forma chimica:

  1. Sono facilmente immagazzinabili, anche in grande quantità;

  2. Sono facilmente trasportabili, anche su distanze molto lunghe;

  3. Sono trasformabili in pressoché ogni altra forma di energia, anche se la trasformazione richiede la combustione, un processo il cui impatto non è piccolo.

Tra i combustibili, quelli naturali (combustibili fossili, legna) sono fonti primarie, mentre esistono anche quelli sintetici, come l’idrogeno citato sopra, che è ottenibile trasformando altre forme di energia per ottenere i vantaggi dei combustibili, e, nel caso dell’idrogeno, quello di una combustione più pulita rispetto a quella degli altri combustibili, che sono a base di carbonio.
L’energia elettrica:

  1. è immagazzinabile, direttamente (batterie) in quantità modeste, e in quantità maggiori trasformandola (stazioni di pompaggio), anche se non in quantità così grandi come quelle che possono essere immagazzinate in forma di combustibili;

  2. è trasportabile, anche su distanze lunghe, ma non così lunghe come quelle su cui possono essere trasportati i combustibili;

  3. è una forma di energia termodinamicamente «pregiata», e questo le dà il grande vantaggio di essere trasformabile in pressoché ogni altra forma di energia, mediante processi il cui impatto è piccolo (basta confrontare un motore a benzina o a gasolio con un motore elettrico), e che possono trasformare ogni quantità di energia, da piccolissime a molto grandi (i motori elettrici vanno da quelli che fanno girare i DVD a quelli che muovono il Frecciarossa).

Ogni altra forma di energia (termica, meccanica, della luce, …) ha difficoltà di trasporto, o di immagazzinamento, o di trasformazione, o in più di una di queste azioni, e quindi tipicamente viene generata, dove e quando e necessaria, trasformando appunto un vettore energetico.
Tra i vettori energetici, poi, il ruolo dell’elettricità è da decenni in costante crescita, sia a causa della flessibilità di trasformazione, con impatto limitato e in quantità sia piccola sia grande, sia a causa della sempre crescente diffusione di apparecchi elettronici maggiori.

 

 

I consumi

 

I consumi di energia sono da sempre correlati allo sviluppo economico. In Figura 3 sono presentati i consumi, annui pro-capite, in alcuni Paesi; questi dati permettono alcune osservazioni.

 

Figura 3: Consumi annuali pro-capite di energia in diversi Paesi. La linea verticale al 2008 indica una variazione dei criteri statistici utilizzati dall’OECD/OCSE.

 

Si distinguono nettamente, in particolare osservando i consumi negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, i consumi dei Paesi industrializzati da quelli dei Paesi in via di sviluppo. Tra i Paesi industrializzati gli Stati Uniti hanno, da sempre, consumi particolarmente elevati, a causa di «stili di vita» particolarmente dispendiosi (si pensi per esempio alle città estremamente estese, che obbligano a un utilizzo intenso delle automobili).
Per quanto riguarda la Russia, sono evidenti gli effetti del crollo dell’Urss, nella cui economia l’industria pesante, energivora, aveva un ruolo particolarmente importante. Gli altri Paesi industrializzati (Europa Occidentale e Giappone) hanno avuto, per un quarantennio, consumi abbastanza simili, e abbastanza costanti nel tempo.
È interessante osservare il dato della Corea: all’inizio degli anni Settanta aveva i consumi tipici dei Paesi in via di sviluppo, poi ha avuto il suo ben noto sviluppo industriale, e si è portata nel gruppo dei Paesi industrializzati, anzi nella sua fascia alta, probabilmente perché non ha ancora completato la sua infrastrutturazione, che altri Paesi hanno sviluppato in tempi più lunghi, e precedenti. Il Giappone aveva avuto una transizione simile già prima della Seconda Guerra Mondiale, la Cina l’ha iniziata alla fine del XX secolo, l’India ancora più recentemente (dalla figura non appare evidente, perché l’India partiva da consumi molto bassi, ma se si valuta in termini relativi l’India è uno dei Paesi che sta avendo gli incrementi percentuali più elevati). È poi evidente il minor consumo dovuto alla crisi del 2009.
Un’altra osservazione riguarda i consumi nella maggior parte dei Paesi industrializzati, che nell’ultimo decennio sono in decrescita, pur in presenza di un incremento medio dei Prodotti Interni Lordi. Questo corrisponde al graduale miglioramento dell’efficienza con cui viene utilizzata l’energia, esito delle politiche di incentivazione del risparmio energetico, e del costo medio dell’energia.

Infatti nei due decenni precedenti la prima crisi del petrolio (1973), il petrolio stesso era stata una fonte energetica abbondante e a basso costo, forse la fonte energetica a costo più basso in tutta la storia dell’umanità, e quindi lo sviluppo tecnologico era avvenuto senza attenzione al risparmio energetico: il maggiore investimento necessario per sviluppare e produrre una macchina, o un processo industriale, che consumassero meno energia, non sarebbe stato ripagato dal risparmio sull’acquisto del petrolio.
Come mostrato in Figura 4, dopo il 1973 il prezzo del petrolio, che è tuttora il prezzo di riferimento per i prodotti energetici, è stato mediamente più elevato, rendendo più remunerativi gli investimenti rivolti alla riduzione dei consumi energetici.

 

Figura 4: Prezzo del petrolio in dollari 2016 per barile. Sono evidenziati diversi intervalli di anni, in cui i prezzi medi (Average Price, o Avg) sono stati significativamente diversi.
Nell’intervallo 1950-1973 il prezzo reale è stato pressoché costante, e in leggera diminuzione, perché il prezzo nominale è rimasto essenzialmente costante, e la lenta diminuzione del prezzo reale è stata dovuta all’inflazione.

 

Unitamente alle politiche di incentivazione dei risparmi energetici, questo ha indotto un progressivo miglioramento dell’efficienza con cui viene utilizzata l’energia.
Un indicatore globale di questa efficienza è la cosiddetta intensità energetica: dividendo il consumo totale di energia per il Prodotto Interno Lordo si ottiene la quantità di energia che è stata consumata per ogni Euro di PIL prodotto.
Come mostrato dalla Figura 5, questa quantità è, ormai da decenni, in diminuzione. Il fattore principale che permette questo miglioramento di efficienza è il progresso tecnologico. In alcuni casi esso conduce a un abbattimento drastico dei consumi.
Un esempio paradigmatico è l’introduzione delle lampade a LED, esito di molti anni di ricerche, che permettono di ridurre i consumi per l’illuminazione, di un fattore quasi dieci rispetto alle lampadine a incandescenza.
Miglioramenti così clamorosi sono rari, mentre sono molto più frequenti miglioramenti contenuti, o la diffusione più capillare di tecnologie a basso consumo già disponibili, ma non pienamente sfruttate: un esempio è offerto dai consumi di benzina delle automobili.

 

Figura 5: Intensità energetica: rapporto tra il consumo totale di energia e il prodotto interno lordo (PIL). Fonte: U.S. Energy Information Administration (www.eia.gov), International Energy Outlook 2016.
I dati sono espressi in migliaia di Btu (British thermal units, unità britannica di misura dell’energia) per dollaro di PIL, distinguendo tra Paesi già industrializzati (appartenenti all’OECD/OCSE) e Paesi non OECD, e dando anche la media mondiale.

 

 

La Figura 4 permette anche una notazione di attualità, perché nel 2015 e 2016 il prezzo del petrolio è crollato. Questo è principalmente l’esito di una guerra commerciale.
Era noto da decenni che oltre ai normali giacimenti di petrolio e di gas naturale esistono significative riserve di idrocarburi, in forma di formazioni rocciose impregnate appunto di idrocarburi: shale oil e shale gas, cioè petrolio o gas di scisto.
Questi idrocarburi non sono estraibili con le normali tecniche di estrazione, e non esistevano tecniche che ne permettessero l’estrazione a costi competitivi. Invece negli ultimi anni negli Stati Uniti queste tecniche si sono rese disponibili, e diversi produttori hanno iniziato a utilizzarle: gli Stati Uniti, che erano importatori netti di idrocarburi, sono diventati esportatori netti. I produttori arabi, il cui costo di produzione è comunque molto inferiore, con l’obiettivo di mandare in fallimento questi nuovi concorrenti ed eliminarli, hanno inondato il mercato, facendo crollare i prezzi.
A oggi la manovra non è riuscita: ha creato grosse difficoltà a produttori come la Russia e il Venezuela, ma i produttori di shale gas stanno sopravvivendo, pronti a riprendere fiato se i prezzi dovessero risalire. Si può anche osservare che le tecniche di estrazione dello shale gas hanno molto probabilmente un grave impatto ambientale, a oggi non adeguatamente considerato.

La Figura 3, presentando i consumi pro-capite, permette le interpretazioni del tipo di quelle sopra menzionate. In Figura 6 sono invece presentati i consumi totali, per l’intervallo 1980-2014 (ultimi dati consolidati reperibili). Risulta che il consumo annuo mondiale, in 25 anni, è pressoché raddoppiato.
Questo dato globale è però esito di andamenti molto diversi. Nel 1980 i Paesi già allora molto industrializzati (Europa, Nord America, Giappone) erano responsabili della maggior parte del consumo mondiale. Da allora il consumo di questi Paesi ha avuto variazioni modeste, dovute alle modeste variazioni del consumo pro-capite, discusse sopra, e alla sostanziale stabilità demografica.
Il consumo dei Paesi che da allora hanno avuto gli sviluppi più significativi (Corea, India, Cina, Medio Oriente) è invece molto più che raddoppiato, portando a quel circa raddoppio complessivo, con un peso di questi ultimi Paesi che è ormai molto significativo.

 

Figura 6: Consumi totali mondiali di energia, suddivisi per aree geografiche, evidenziando alcuni Paesi significativi. Fonte: U.S. Energy Information Administration (www.eia.gov).
Il dato relativo alla Russia presenta due «gradini» dovuti a variazioni dell’aggregazione dei dati statistici: fino al 1997 era presentata la voce «Urss e Paesi dell’Est europeo»; nel 1998 l’Est europeo è stato scorporato dai «Paesi dell’ex-Urss», e nel 2007 gli altri Paesi ex-Urss (come il Kazakistan) sono stati scorporati dalla Russia.

 

 

La produzione

 

La Figura 7 presenta il quadro complessivo mondiale delle fonti primarie di energia utilizzate negli ultimi decenni. La figura si basa sui dati provenienti dalla Information Energy Agency (IEA) del Department of Energy (DOE) degli Stati Uniti.
La IEA pubblica periodicamente gli Energy Outlook e gli Energy Reports; l’ultimo Report pubblicato, del 2016, contiene i dati fino al 2012. Le modalità di analisi e presentazione dei dati hanno avuto una significativa variazione (che non è stata non illustrata dettagliatamente) a partire dal Report 2010, contenente i dati del 2007. Alcune variazioni hanno avuto un impatto modesto, per esempio la diversa classificazione di alcuni sottoprodotti di raffineria. Invece quelle relative alle «altre fonti», che sono generalmente classificate come «rinnovabili» hanno avuto un rilevante impatto. In particolare, fino al 2007 venivano presentate separatamente la fonte idroelettrica e le altre rinnovabili.
Dal 2007 invece è presentata una singola voce «altre», che è una voce contenitore, a cui contribuiscono molte fonti. Accanto a quelle più ovvie, come la stessa fonte idroelettrica, quella solare e quella eolica, contribuiscono fonti molto diversificate, come per esempio quella geotermica, l’energia proveniente dall’incenerimento dei rifiuti, o quella proveniente dalla combustione della legna (anche se più pomposamente chiamata «biomassa», la legna dà tuttora un contributo apprezzabile per gli usi cosiddetti «domestici», specie nei Paesi in via di sviluppo).
La valutazione statistica di queste fonti è difficile, in particolare perché per diverse di esse si tratta di un contributo frammentato in una miriade di piccoli impianti. Probabilmente le novità introdotte con il 2007 hanno portato a una loro più attenta valutazione, e a una rivalutazione. L’accorpamento delle voci, unitamente alla revisione dei criteri di valutazione statistica, ha provocato un solo apparente improvviso incremento della voce «altre».
Nel valutare i dati a cavallo del 2007 è utile tenere presente che il contributo della sola fonte idroelettrica (la cui misura è più semplice perché è prevalentemente dovuto a un numero limitato di grossi impianti) non presenta differenze apprezzabili tra le rilevazioni precedenti al 2007 e quelle successive, e dopo il 2007 non è cambiato significativamente.
È possibile reperire dati anche più recenti del 2012, ed è possibile reperire dati più analitici relativi ad almeno alcune delle fonti che concorrono alla voce «altre», ma è molto difficile reperire dati completi e coerenti, soprattutto a livello mondiale.
Si è quindi preferito, in questa sede, attenersi ai dati EIA di Figura 7, perché sono tra i pochissimi che, pur con la variazione al 2007 sopra discussa, hanno una ragionevole completezza e una omogeneità dei criteri di valutazione nel corso degli anni.

 

Figura 7: Utilizzo annuo mondiale delle diverse fonti primarie di energia. Rielaborazione dei dati provenienti dalla Information Energy Agency (IEA) del Department of Energy (DOE) degli Stati Uniti. La linea verticale al 2007 indica la variazione delle modalità di analisi e presentazione dei dati discussa nel testo.
Fino al 2007 la fonte idroelettrica (in azzurro) veniva presentata separatamente dalle «altre rinnovabili» (in verde). Dal 2007 in poi queste voci sono accorpate in un’unica voce generica «altre». Unitamente a una revisione dei criteri di valutazione statistica, questo ha provocato un solo apparente improvviso incremento di quella voce.

Il dato più evidente che emerge dalla Figura 7 è che la parte assolutamente preponderante dell’energia consumata del mondo proviene tuttora dai combustibili fossili. In particolare il consumo di carbone sta avendo, nel XXI secolo, un incremento rilevante. Questo incremento è per la massima parte dovuto alla Cina. Il consumo della Cina è in forte crescita (vedi le Figure 3 e 6), e finora è stato prevalentemente soddisfatto con il carbone.
Oggi la Cina consuma circa la metà del carbone che viene consumato nel mondo, prevalentemente in impianti privi di particolari accorgimenti di abbattimento degli inquinanti. Non a caso dalla Cina provengono ogni tanto notizie di gravi inquinamenti atmosferici. Gli idrocarburi fanno tuttora la parte del leone, con la frazione di gas naturale in lento incremento rispetto alla frazione del petrolio.
Il nucleare rimane una fonte di nicchia, che non ha avuto significative variazioni nell’ultimo ventennio. Nei prossimi uno o due decenni il contributo del nucleare potrebbe variare, ma per effetto di eventi contrastanti. Infatti in Europa e negli Stati Uniti verranno gradualmente chiusi gli impianti costruiti negli anni Settanta e Ottanta, che arrivano a fine vita, e, molto probabilmente, se saranno rimpiazzati lo saranno solo in parte.
In Cina e India sono invece attualmente in costruzione molti nuovi reattori, e lo stesso Giappone, che aveva cautelativamente fermato tutti i suoi reattori dopo l’incidente di Fukushima, dovuto al ben noto tsunami, sta effettuando dettagliate verifiche. A seguito di queste ha chiuso alcuni degli impianti più vecchi e ha già iniziato il riavvio di diversi altri, sulla base della decisione strategica, già presa, di tornare ad avere una frazione di elettricità di origine nucleare pari a quella di pre-Fukushima. Per l’energia nucleare da fusione occorreranno invece diversi decenni.
Anche il contributo idroelettrico non ha avuto, nell’ultimo ventennio, grosse variazioni. I siti più favorevoli sono già sfruttati da decenni, e notizie di costruzione di nuove grosse dighe provengono solo dall’Asia. Il contributo delle fonti rinnovabili è quello che ha avuto, nell’ultimo decennio, lo sviluppo più rapido, con grosse differenze tra Paesi diversi.
In molti Paesi europei, anche grazie alle politiche di incentivazione, la frazione di energia proveniente da queste fonti è apprezzabile, e porta a un mix di approvvigionamento energetico anche sensibilmente diverso da quello medio mondiale che risulta dalla Figura 7.
D’altro lato il sistema energetico non avrà mai rivoluzioni in tempi brevi, perché in larga parte è costituito da grossi impianti costruiti per durare decenni, con piani finanziari che prevedono la remunerazione dell’investimento solo appunto in diversi decenni. Quindi vengono chiusi gli impianti obsoleti, giunti a fine vita, ma impianti più giovani vengono chiusi e sostituiti solo a fronte di ragioni stringenti.
Le fonti rinnovabili inoltre tuttora soffrono di due tipi di limitazioni. La prima, intrinseca, è la loro intermittenza, che richiede impianti di immagazzinamento. Il modo più efficace per immagazzinare grosse quantità di energia elettrica è tuttora quello delle centrali di pompaggio, che lavorano su due dighe poste a livelli diversi, con l’acqua che viene pompata nel lago superiore quando c’è abbondanza di energia, e viene sfruttata come in un normale impianto idroelettrico quando c’è richiesta di energia. Ovviamente questi impianti hanno il costo e l’impatto ambientale degli impianti idroelettrici.
La seconda limitazione è dovuta al costo. L’obiettivo dichiarato dei programmi di incentivazione, cioè l’incremento dei volumi prodotti al fine di far diminuire il costo di produzione, è stato raggiunto solo in parte.
Quindi tuttora, in molti casi, dal punto di vista strettamente economico gli impianti rinnovabili non sono completamente competitivi, e in diversi casi vengono scelti solo in base alla presenza di incentivazioni, o in base a considerazioni più complessive, di accettabilità e di sostenibilità, anche dal punto di vista dell’immagine, per l’oggi e per il futuro.

 

 

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Marco G. Beghi (Politecnico di Milano)

 

 

 

 


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