La matematica è un sapere codificato e immutabile come appare nei libri di testo e come pensano tanti studenti? O non è piuttosto il risultato di un travaglio addirittura millenario, il frutto dell’elaborazione di secoli, generato dall’opera di grandi personaggi? Avvicinare le grandi tematiche che hanno prodotto quella matematica che oggi impariamo non è una perdita di tempo, ma un’occasione per suscitare curiosità e interesse. Il contributo che segue, trascrizione di una conferenza tenuta a Civitanova Marche, propone un aspetto affascinante della genesi del concetto di numero irrazionale, uno dei più complessi nella matematica di livello scolastico.



Molte sono le crisi che in vari settori si sono verificate e si verificheranno nel cammino dell’umanità; se esse non sono eccessivamente forti, cioè se non sono tali da causare disastri permanenti, sono crisi che a lungo andare si risolvono positivamente poiché si trasformano in crisi di crescenza. Anche la matematica ha attraversato le sue crisi più o meno violente e da esse ha tratto sempre beneficio. Ci occuperemo qui di una delle più significative, anche se in un primo tempo il suo presentarsi sembrò poter dare discredito all’intera matematica: parliamo della cosiddetta «crisi degli incommensurabili » avvenuta attorno al 500 a.C. nella scuola pitagorica.



Il problema

Anzitutto vediamo che cosa sono le grandezze incommensurabili, aggettivo che è la traduzione esatta del termine greco «Ésåmmetroß»: due grandezze si dicono incommensurabili quando non esiste alcuna sottomultipla di una che possa essere sottomultipla anche dell’altra, quando cioè la due grandezze non hanno una sottomultipla comune.
Per esempio, se si suppone uguale a 2 la lunghezza del lato di un quadrato, non è possibile esprimere quella della rispettiva diagonale con numeri interi, è facile vedere che tale lunghezza è maggiore di 2 ma minore di 3, ma neppure con una qualsiasi frazione. Questo equivale a dire che la lunghezza della diagonale non potrà essere espressa con alcun numero razionale.
È bene tenere presente che una grandezza non è incommensurabile di per sé, è incommensurabile rispetto ad un’altra grandezza, perché ogni grandezza è sempre commensurabile con se stessa: la sua unità di misura è se stessa.
Per gli antichi greci questa situazione era molto difficile da affrontare. Attualmente siamo abituati a convivere con le grandezze incommensurabili, ma se ci mettiamo nei panni dei matematici del V secolo a.C., possiamo immaginare che il fatto che la dimostrazione dedotta matematicamente dal teorema di Pitagora facesse vedere che esistevano grandezze che non potevano avere una sottomultipla comune colpisse dolorosamente la fantasia dei matematici dell’epoca.
A testimonianza dell’importanza che i greci daranno a questa scoperta c’è il fatto che per indicare la stessa cosa esistono nella lingua greca quattro vocaboli diversi:



Ésåmmetroß: che non hanno una misura comune

Émetroß: «senza misura», sempre riferito a questo tipo di grandezze

Érrepoß: «irrazionale», grandezza irrazionale

Élocoß: «senza ragione», cioè senza rapporto

Questa ricchezza di vocaboli sta ad indicare la rilevanza che ha avuto tale questione nella matematica greca, ma anche nella filosofia («Élocoß» è più termine filosofico che matematico), come in generale nello sviluppo della scienza greca.

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Silvio Maracchia
(Docente di Storia delle Matematiche)

© Pubblicato sul n° 02 di Emmeciquadro