La dimensione storica della conoscenza scientifica è il tema centrale di questo numero. Coerentemente con la linea editoriale scelta, non proponiamo una monografia ma la focalizzazione su un aspetto considerato rilevante sul piano educativo e culturale.
L’argomento è di quelli che non sopportano di essere confinati in uno spazio particolare o aggiunti come appendice ad un discorso che potrebbe anche prescinderne. Al contrario, abbiamo sempre considerato la storicità come una caratteristica intrinseca del fare scienza e, a maggior ragione, del suo comunicarla: una dimensione che pervade tutti i momenti dell’attività scientifica e deve innervare la pratica didattica quotidiana.
Tale dichiarazione programmatica va di pari passo con la consapevolezza della difficoltà di impostare l’insegnamento evitando due estremi: da un lato l’accontentarsi di inserire qualche riferimento biografico o cronachistico, che può suscitare l’interesse degli studenti ma non va al di là di una sterile aneddotica; dall’altro la riduzione della disciplina al puro e semplice resoconto cronologico della sua storia. La difficoltà deriva dalla scarsa sensibilità dell’attuale contesto culturale verso la dimensione storica; ciò ha una radice più profonda: la trascuratezza del soggetto della conoscenza scientifica. È come se nei luoghi dove la scienza vive, siano essi un centro di ricerca internazionale o il più modesto laboratorio di un liceo, la persona non c’entrasse e tutto fosse immerso in un distillato di asettica oggettività. Così da giustificare il rammarico del premio Nobel Murray Gell-Mann (il fisico «padre» dei quark) che, nel 1971, constatava l’incapacità della comunità scientifica di «spiegare e far sentire in che modo la comprensione dei fenomeni naturali può aiutarci a perfezionare il nostro essere persone.»
Non trascurare il soggetto significa concepire e presentare la scienza come esperienza, come avventura umana interessante, con tutta la sua drammaticità, il suo fascino, i suoi limiti. La storia della scienza è storia di gente che ha saputo spalancare lo sguardo lasciandosi provocare dalla realtà per poi reagire provocando a sua volta la natura, ponendole domande; più che accumulazione di risultati e di successi, è storia di curiosità, di interrogativi, di aspettative.
Il primo desiderio dell’educatore sarà di vedere gli studenti non tanto proiettati sulle risposte quanto incuriositi dalle domande; la preoccupazione costante sarà quella di far affiorare i perché che hanno mosso gli uomini di scienza e di farli entrare in risonanza con i nostri perché.
Solo così si guideranno i giovani ad apprezzare i risultati e a individuare i percorsi seguiti dalla ragione per raggiungerli. Apprezzamento che può tradursi in gusto e rendere disponibili ad un lavoro. Favorendo una autentica conoscenza.



Mario Gargantini
(Direttore della Rivista Emmeciquadro)

© Pubblicato sul n° 02 di Emmeciquadro


Leggi anche

SOMMARIO/ N° 87 – Maggio 2024 – Superficie o profondità: una prospettiva per l’educazione scientificaEDITORIALE n. 87 - Superficie o profondità: una prospettiva per l’educazione scientifica