Una riflessione sulle ragioni per cui vale la pena studiare storia delle scienze o insegnare le materie scientifiche facendo riferimento al loro sviluppo storico. La risposta di chi giudica la storia delle scienze da epistemologo e si interroga sulla struttura e sulla natura della scienza, sulla modalità con cui si accresce il sapere. Ripercorrendo il cammino di Gaston Bachelard, sostenitore di una storia delle scienze come inerente alla struttura stessa della razionalità scientifica.
Non sfugge alla pratica dell’insegnamento che la divaricazione tra insegnamenti d’ordine umanistico e insegnamenti d’ordine scientifico è sottolineata anche dall’impostazione storica che compete ai primi, mentre manca ai secondi per i quali si richiede un ordine espositivo sistematico che consente di accedere alla struttura logica, che organizza i risultati ultimi raggiunti in campo scientifico senza percorrere la genesi storica di tali risultati.
Tutti quanti conosciamo, foss’anche in modo parziale o illanguidito dal tempo, la storia della letteratura, della filosofia, dell’arte, ma è solo per una curiosità personale dello studente o per una competenza specifica di certi professori che si conosce la storia della fisica, della biologia o della matematica. Nel primo caso l’assenza di conoscenza storica è un’ignoranza di cui giustificarsi; nel secondo caso ciò che va motivata è invece la propria competenza storica.
A partire da questa constatazione si è formulata la domanda da cui nasce questo contributo: studiare storia delle scienze/insegnare storia delle scienze significa arricchire il proprio bagaglio culturale di competenze interessanti che si giustificano nell’ordine della curiosità e del nozionismo, oppure tale studio inerisce metodologicamente alla comprensione della stessa razionalità scientifica?
Più sinteticamente: perché studiare storia delle scienze o meglio studiare le materie scientifiche studiandone la storia?
E in tal caso alla fine si conosce la storia di una scienza o si conosce quella scienza?
O ancora: quali ragioni ci sono per fare storia delle scienze?
Quest’ultima domanda, in verità, non si equipara alle precedenti perché sposta la questione, in qualche modo anticipata anche nella domanda precedente, dalla didattica al momento teorico come tale. Ma credo che sia un passaggio preliminare necessario che consente di affrontare poi la questione nella sua valenza educativa entro il sistema scolastico attuale.
Scienza/storia delle scienze
La storia delle scienze nasce come genere letterario nel XVIII secolo, a seguito di quella trasformazione teorica che va sotto la denominazione di rivoluzione scientifica e forse possiamo comprenderne la natura se ci chiediamo chi fa storia delle scienze e quali ragioni ci sono per farla.
Si mettono così in gioco tre soggetti – lo storico della storia delle scienze, lo scienziato e il filosofo – e, correlativamente, tre campi teorici: uno propriamente storico – commemorazioni, paternità intellettuale, priorità della scoperta o momento di una storia generale del pensiero (la storia delle scienze appunto) di una certa epoca e le istituzioni alle quali dà vita; uno più specificamente scientifico – conoscenza dello status della scienza in epoca precedente o ricostruzione storica di come si giunge ad un risultato e infine un interesse filosofico – valutazione della trasformazione delle categorie teoriche della scienza.
È estraneo alla riflessione di questo contributo vagliare le diverse metodologie del far storia. Più o meno noto, il dibattito sulla metodologia storiografica, riguarda colui che fa pratica, redige storia delle scienze. La storia delle scienze può dallo storico essere motivata a diverso titolo, anche nel riconoscimento di una estraneità assoluta tra la storia e il suo oggetto: si può fare storia delle scienze così come si fa la storia dei francobolli ed in questo senso la storia delle scienze può essere solo un preambolo alla scienza; in tal caso rappresenta, nel manuale, uno di quei famosi capitoli introduttivi che si possono «saltare».
La nostra domanda lavora piuttosto su un altro terreno: chiedersi a che titolo le scienze sono oggetto di storia significa interrogarsi sulla struttura e sulla natura della scienza, se cioè la scienza possa esaurirsi nei risultati sperimentali o nelle leggi che si sono formulate nelle varie epoche e che hanno avuto nel tempo una conferma di validità o se sia altro. Ci siamo per lo più abituati all’immagine, favorita da una certa manualistica, secondo cui la scienza coinciderebbe con i suoi risultati e, per lo più, nei termini della loro formulazione divulgativa.
Questa immagine della scienza, che potremmo genericamente definire positivista, porta con sé un concetto cumulativo secondo cui il sapere si accresce in una continuità progressiva indiscussa nella sua genesi e nei suoi effetti.
Benché quest’immagine di scienza abbia avuto, a inizio secolo e dall’interno della scienza stessa, la sua smentita e dunque non corrisponda più a quanto lo scienziato oggi viene elaborando in laboratorio o a quanto il filosofo contemporaneo venga giudicando con la sua epistemologia, l’immagine pur sempre sopravvive con forza non solo nel pensiero dell’uomo comune, ma anche in quello dell’uomo di cultura.
Il progresso della storia delle scienze
Per vagliare la portata teorica della storia delle scienze eviterei il percorso di una discussione teorica sulla struttura della razionalità scientifica.
Mi sembra più significativo ripercorrere le movenze teoriche di un autore, Gaston Bachelard, che si fa sostenitore di una storia delle scienze come inerente alla struttura stessa della razionalità scientifica, tanto da poter proporre di sostituirla alla logica come accesso alla comprensione delle scienze.
«L’insegnamento dei risultati della scienza non è mai un insegnamento scientifico»(1): la sfida contenuta in queste parole è comprensibile a partire da una scienza che riconosce, come sua qualifica, non l’aggettivo «esatta» che ancor oggi la definisce in contrapposizione alle cosiddette scienze umane, ma l’aggettivo «approssimata». Bachelard chiama il sapere scientifico «conoscenza approssimata» e Enriques definisce «approssimazionalismo » il procedimento della razionalità scientifica.(2) A diverso titolo, a partire dal razionalismo francese, così come dal dibattito postpopperiano (si pensi a T. Kuhn o a Lakatos) viene un’identica sollecitazione a ricomprendere la scienza a partire dalla sua storia anche se diverse sono le motivazioni.
Bachelard sostituisce ad una concezione progressiva della storia e quindi della scientificità, una storia ricorrente: rinuncia alla storia come catalogazione dei risultati della scienza in linea progressiva e le riconosce, come oggetto, la storicità del discorso scientifico.(3)
Chiarire questa osservazione significa da un lato precisare che non tutte le «storie» implicano progresso: «La storia dell’arte per esempio, sotto questo profilo, è del tutto diversa dalla storia delle scienze. Nella storia dell’arte, il progresso sarebbe un puro mito. La storia dell’arte infatti si trova davanti a opere che in ogni epoca possono avere un significato eterno, oppure che hanno una specie di primitiva perfezione, una perfezione originaria. Tali opere bloccano la meditazione e focalizzano l’ammirazione. Il ruolo dello storico è di metterle in luce.»(4)
D’altra parte il progresso che la storia delle scienze implica ha un significato molto preciso e specifico, e questo a duplice titolo: la storia ricorrente di Bachelard non utilizza il concetto positivista di progresso come accumulo di risultati perché indica una storia che nasce non dalla registrazione degli atti delle Accademie, ma da giudizi di valore, è un tessuto di giudizi sul valore del pensiero e delle scoperte scientifiche: «lo storico di una scienza deve essere un giudice dei valori di verità che riguardano quella scienza»(5), né d’altro canto si può paragonare il concetto di progresso del razionalismo della storia delle scienze con il concetto di progresso della storia politica. Nella storia politica, ciò che è progresso per uno storico può essere decadenza per un altro, essendo vari i giudizi di valore; nella storia delle scienze si deve prendere atto che si è di fronte ad una crescita, benché l’andamento di questa crescita non sia necessariamente lineare: «La storia delle scienze per lo meno è un tessuto di giudizi impliciti sul valore del pensiero e delle scoperte scientifiche.
Lo storico delle scienze che chiaramente spieghi il valore di ogni nuovo pensiero, ci aiuta a capire la storia delle scienze. Insomma la storia delle scienze è essenzialmente una storia giudicata, giudicata nei dettagli della sua trama, secondo un senso sempre più affinato dei valori di verità.»(6) Lo storico delle scienze, per Bachelard, deve essere un giudice di verità. Non una storia delle scienze come microscopio che fa vedere tutto e mette a disposizione particolari da catalogare, ma un tribunale che dispone di criteri di giudizio.
Due questioni si pongono: che cosa determina la dinamica stessa della cultura scientifica, quel progresso che nel pensiero scientifico è dimostrato e dimostrabile? Inoltre, che cosa autorizza un giudizio di valore che mette in campo la verità? Le due domande si intrecciano implicandosi a vicenda.
Una prima osservazione si impone: la scienza come genitivo oggettivo dell’espressione «storia della scienza» esprime un oggetto incompiuto e perfettibile, in quanto la scienza è, e può essere, oggetto di storia proprio perché il tempo la costituisce.
La scienza è una forma della ragione intrinsecamente segnata dal suo evolversi nel tempo e consegnata ad un destino, ma questo non significa che la storia delle scienze è solo un’ascesi continua: errori e stasi partecipano alle vicissitudini delle scienze, ma non descrivono una regressione del sapere, bensì la dinamica stessa del costituirsi della razionalità scientifica.
Una seconda osservazione entra in merito a quel termine verità, che sorprende all’interno di un discorso scientifico e che nella riflessione bachelardiana indica esiti di razionalità che testimoniano il processo discorsivo di rettificazione dello spirito.
Storia ricorrente
I termini che Bachelard mette in campo per descrivere il movimento storico della ragione sono ostacolo epistemologico e atto epistemologico, storia prescritta e storia sanzionata (tornano i termini giuridici a confermare l’immagine del tribunale!).
La posizione di Bachelard è sicuramente caratterizzata da un razionalismo fiducioso negli esiti della razionalità stessa e della sua capacità di rendere conto della realtà scientifica, ma questo non significa un’ingenuità che gli chiude gli occhi all’errore. Il pensiero scientifico è l’esito di errori rettificati («quella prospettiva di errori rettificati che caratterizza, a nostro avviso, il pensiero scientifico»(7)), superamento di ostacoli che nascono dall’interno stesso del pensiero scientifico: «[…] é in termini di ostacoli che bisogna porre il problema della conoscenza scientifica.
E non si tratta di considerare ostacoli esterni, come la complessità e la fugacità dei fenomeni, oppure di incolpare la debolezza dei sensi e dello spirito umano, perché è all’interno dell’atto stesso del conoscere che, per una specie di necessità funzionale, appaiono lentezze e confusioni. é qui che mostreremo alcune cause di stagnazione e persino di regresso della scienza; qui ne riveliamo le cause di inerzia; e tutte queste cause le chiameremo ostacoli epistemologici.»(8) Agli ostacoli epistemologici si contrappongono gli atti epistemologici, «quei balzi del genio scientifico che portano impulsi inattesi nel corso dello sviluppo scientifico.»(9)
Il riconoscimento dei limiti della ragione scientifica postula come intrinsecamente necessaria la sua storia, una storia in cui «scoprendo il vero, l’uomo di scienza sbarra un irrazionale. L’irrazionale può certo risorgere altrove, ma oramai ha strade vietate.»(10)
C’è così una storia prescritta ed una storia sanzionata: la storia della teoria del «flogistico» è prescritta, perché si basa su una contraddizione della chimica ponderale e ad essa lo storico delle scienze si può dedicare solo con la consapevolezza che si tratta di archeologia del pensiero scientifico, mentre il lavoro di Black sul «calorico» è una base per lo studio del calore specifico, nozione che è per sempre una nozione scientifica, dunque appartiene alla storia sanzionata. Il «per sempre» non scandalizza l’uomo di scienza perché indica un valore epistemologico preciso che si è chiarito nel suo carattere di astrazione razionale e impegna l’avvenire del pensiero.
Prima di poter rispondere compiutamente sulla questione di cos’è la verità che autorizza il giudizio dello storico delle scienze dobbiamo riprendere il concetto di storia ricorrente che avevamo messo in campo in opposizione a quello di storia progressiva. Per Bachelard la storia ricorrente è una storia illuminata dalla finalità del presente, una storia che parte dalle certezze del presente – è a queste che Bachelard dà il nome di verità in quanto rappresentano esiti di razionalità disponibili alla loro rettificabilità – e scopre nel passato le forme progressive della verità, ma non per ristabilire mentalità prescientifiche (il processo è irreversibile: si può essere tolemaici solo a condizione di porsi fuori dalla comunità scientifica), ma per prendere coscienza delle svolte decisive, delle rotture che si sono costituite nel pensiero scientifico determinando le traiettorie che segnano le direzioni del progresso.
Dire che il presente pone il criterio di lettura del passato non implica stabilire una continuità lineare, ma significa proprio riconoscere quei momenti di rottura epistemologica che consentono l’apparire di nuovi concetti, nuove teorie, nuovi metodi, nuove problematiche: «[…] il prima e il dopo vengono a formare due universi di pensieri estranei l’uno all’altro. Citiamo sommariamente come esempio di rotture epistemologiche le discontinuità provocate da Lavoisier, Galois, Pasteur, Mendel, Mendeleev, Cantor, Einstein.»(11)
La relatività ristretta determina più propriamente un taglio (coupure), cioè un passaggio al limite, un compimento che decide del cambiamento del destino della scienza che però verrà effettuato solo dalla relatività generale che determina una rottura (rupture) nello sviluppo della meccanica.
Una storia ricorrente riconosce nelle nuove teorie delle sintesi storiche, non nel senso che compiono risultati già parzialmente raggiunti nella storia del pensiero scientifico, ma come evento che risignifica i contributi scientifici precedenti.
La meccanica ondulatoria è una sintesi storica delle più ampie e delle più significative del nostro tempo. L’ottica fisica di Fresnel aveva sostituito l’ottica fisica di Newton, quando de Broglie propose una nuova scienza che associava certe ipotesi dell’una e dell’altra teoria proprio per studiare particelle che non appartenevano né all’una né all’altra.
Commenta Bachelard: «Non c’è prova migliore che la sintesi scientifica è una sintesi trasformante. Prima di questa associazione, prima di questa sintesi, Einstein aveva certamente visto la necessità di definire un quanto di irraggiamento, presto chiamato fotone, per spiegare i fenomeni fotoelettrici,ma la sintesi delle ipotesi corpuscolari e ondulatorie non era ancora stata sospettata nella sua generalità. Nessuna ragione storica spingeva la scienza sulla via di tale sintesi. Solo una specie di aspirazione all’estetica delle ipotesi poteva aprire la duplice prospettiva di idee che caratterizza la meccanica fondata da Louis de Broglie.
Proprio il fatto di applicare dei temi ondulatori non solo alla luce, ma anche alla materia ha spostato il problema e ha allargato il dibattito. […] Dal momento che si comprende che esiste una diffrazione elettronica come esiste una diffrazione luminosa, si deve pensare che il tema della diffrazione luminosa debba essere rivisto. Infatti la scienza puramente ondulatoria del fotone, la meccanica ondulatoria del fotone (nuova versione) si è paradossalmente trovata in ritardo sulla meccanica ondulatoria dell’elettrone. Le ricerche di Louis de Broglie sulla teoria della luce tendono proprio ad eliminare questo paradosso storico. Così la teoria della luce da ondulatoria (antica versione), divenuta corpuscolare (nella versione del fotone), deve fare uno sforzo ulteriore per divenire ondulatoria (nuova versione).»(12)
«La comprensione approfondita dei concetti scientifici non risulta da un sistema logico con cui si inquadra l’insieme dei fatti conosciuti a un momento dato, ma da una visione storica esplicativa della loro nascita e del loro sviluppo»(13): queste parole di Enriques sintetizzano la proposta di trasformazione nella comprensione delle scienze che misura, al tempo stesso, un certo modo di intendere la razionalità scientifica.
Il razionalismo di Bachelard, proprio perché impegnato con la realtà, non si attesta alla formulazione di una teoria sui limiti e la validità delle scienze, ma pretende descrivere un movimento globale in cui la conoscenza scientifica non può essere interrogata se non in rapporto ad una domanda radicale sul funzionamento della ragione.
Il razionalismo di cui Bachelard è militante, non presume far coincidere la razionalità scientifica con la ragione tout court, e neppure si rifugia nello storicismo come giustificazione di razionalità e realtà o come luogo in cui accade la verità; intende piuttosto reperire in atto, nella storia delle scienze, le dinamiche ed i moventi della ragione scientifica nel suo costituirsi come tale.
Scegliere tra una comprensione logica o storica della scienza, non ha allora la sua giustificazione in una metodologia didattica, ma in una concezione della razionalità scientifica.
A chi obietta che studiare la genesi e la dinamica del farsi scientifico del pensiero è un tenersi sulla porta della scienza, e rende incapaci di penetrarne il funzionamento, possiamo ricordare che l’alternativa è un tecnicismo della scienza che espone agli usi delle presunte neutralità.
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Francesca Bonicalzi
(Docente di Filosofia sociale nell’Università di Bergamo. È intervenuta su temi e questioni relativi alla costruzione del linguaggio scientifico della razionalità moderna. In numerosi volumi e saggi dedicati all’opera di Descartes e di Bachelard, ha lavorato sul rapporto tra le strutture del linguaggio e la nozione moderna di esperienza)
Note
- G. Bachelard, La formazione dello spirito scientifico, Cortina, Milano 1995, p. 278.
- Cfr.: M. Castellana, Enriques e Bachelard: due epistemologie razionaliste, in: “Il Protagora”, 1973, pp. 50 – 65.
- Per una conoscenza generale del pensiero di Bachelard cfr.: F. Bonicalzi, Il tempo della fisica, introduzione a: G. Bachelard, L’attività razionalista della fisica contemporanea, Jaca Book, Milano 1987. In quest’opera, che è un esempio pratico di un certo modo di fare storia della scienza, Bachelard affronta tematicamente la questione della storia delle scienze alle pp. 47-74.
- G. Bachelard, L’attualità della storia delle scienze, trad. it. in: F. Bonicalzi, La Ragione Cieca. Teorie della storia della scienza e comunità scientifica, Jaca Book, Milano 1982, p.165.
- Idem.
- Id., pp. 161-173.
- G. Bachelard, La formazione dello spirito scientifico, cit., p. 8
- Id., p. 11.
- G. Bachelard, L’attività razionalista della fisica contemporanea, trad.it., Jaca Book, 1985, p. 51.
- Id., p. 53.
- S. Bachelard, Epistemologia e storia delle scienze, trad. it. in: F. Bonicalzi, La Ragione Cieca, cit., pp. 117-131.
- G. Bachelard, L’attività razionalista della fisica contemporanea, cit., p. 48.
- F. Enriques, I problemi della scienza, Zanichelli, Bologna 1906, p. 204.
© Pubblicato sul n° 02 di Emmeciquadro