Freeman Dyson
Turbare l’Universo
Bollati Boringhieri, Torino 1981
Nuova Edizione 2010 – Pagine 336 – Euro 27,00
La lettura di un’autobiografia può risultare un’affascinante avventura dentro la complessa rete di avvenimenti, affetti, relazioni, attività che costituiscono la vita di un uomo; può diventare la possibilità reale e non effimera di incontrarlo, conoscerlo e non dimenticarlo: tutto dipende dalla statura dell’uomo che scrive di sé.
Freeman Dyson, l’autore di questa autobiografia, uno tra i maggiori fisici teorici contemporanei, nacque nel 1923 in Inghilterra dove trascorse la prima giovinezza; chiamato non ancora trentenne in cattedra all’Institute for Advanced Study di Princeton, ha dato importantissimi contributi in campi svariati della fisica teorica, dall’elettrodinamica quantistica cui il suo nome è particolarmente legato, alla meccanica statistica, alla teoria dei numeri, alla fisica del nucleo. Ma non basta la sua multiforme attività scientifica a giustificare lo spessore della sua eccezionale personalità così come si staglia, affascinante e imprevedibile, dalle pagine di questo libro.
La varietà e l’importanza dei suoi studi scientifici affondano le radici in una vasta e raffinata cultura umanistica, acquisita in famiglia, dal padre musicista e dalla madre avvocatessa, profonda conoscitrice della natura umana, amante della poesia greca e latina e dei classici della letteratura europea. Egli stesso si rivela conoscitore appassionato della poesia e della letteratura inglesi, dei capolavori della letteratura russa, dei classici greci e latini che spesso entrano nel testo, attraverso citazioni e riferimenti, come parte efficace del suo orizzonte categoriale e valoriale.
Luigi A. Radicati di Brazolo, nella Prefazione alla traduzione del 1981, così lo presenta: «Spirito inquieto, indipendente, supremamente originale Dyson rientra difficilmente negli schemi consueti […] Quando tutti aspettavano da lui “la soluzione dei problemi fondamentali della teoria dei campi ecco che lo si ritrova a disegnare reattori o progettare futuristici razzi nucleari”. Quando l’élite scientifica si schierava per Oppenheimer lui stringe amicizia con l’arcinemico Teller e frequenta il laboratorio militare di Livermore. Militarista dunque? No, perché poco dopo lo troviamo a Washington a occuparsi, con una serietà di cui non molti liberal han dato esempio, di problemi di disarmo e di controllo nucleare.»
Dyson ha vissuto in prima persona le grandi problematiche del suo tempo, per altro ancora molto attuali: il disarmo, il controllo delle armi nucleari, la guerra batteriologica, le fonti di energia alternativa, l’ingegneria genetica; di questi problemi che rappresentano il nucleo centrale del testo (Seconda parte – America) egli parla «con la tranquilla sicurezza dell’esperto, con la freddezza di chi comprende il valore della posta in gioco».
Si potrebbe pensare a un ciarlatano, per un’errata analogia con troppi intellettuali nostrani che ci assordano di parole vuote. Invece, in queste pagine si incontra l’intensità della sua passione per i problemi che affronta, di natura scientifica, sociale, etica, filosofica o politica, la lucidità delle sue analisi, la profondità e la vastità delle sue competenze specifiche. Il tutto saldamente tenuto insieme da un raro collante, fatto dalla ricchezza delle sue esperienze: legami amicali, affetti familiari, letture, viaggi, rapporti seri e profondi con uomini di scienza, politici, tecnologi, artisti costruiscono questa eccezionale personalità.
E quando negli ultimi capitoli (Terza parte – Oltre) spinge il suo sguardo lucido e commosso e la sua forza immaginativa dentro le immense lontananze dello spazio e del tempo futuro, lo fa per comunicare il dramma di un uomo che non può esimersi dal cercare il senso della propria vita, per il quale l’essere scienziato non è un accidente insignificante.
In polemica aperta con il dogma di Jacques Monod: «La pietra angolare del metodo scientifico è il postulato che la natura sia oggettiva» (p. 287) e con lo scetticismo di Steven Weinberg: «Quanto più l’universo diventa comprensibile, tanto più appare inutile» (p. 284), Dyson afferma la centralità nell’universo dell’uomo nella sua unicità di essere autocosciente.
«Non credo che siamo turisti dell’universo. […] Noi non siamo soltanto spettatori, siamo attori nel dramma dell’universo » (p. 298). Parole che colpiscono il cuore e la mente e danno da pensare, in uno scenario che Dyson presenta con toni realistici, ma permeato da una positività ultima.
Scorrendo queste pagine infatti si fa strada nel lettore la percezione di un sapere scientifico aperto alla incommensurabile complessità di una realtà naturale che misteriosamente si lascia comprendere dall’uomo, svelando scenari imprevedibili e continuamente nuovi.
Il libro si chiude con una metafora costruita con sottile ironia e delicatezza poetica dalla quale il lettore attento non potrà non essere affascinato e quindi provocato.
Recensione di Maria Elisa Bergamaschini
(Redazione Emmeciquadro)
© Pubblicato sul n° 03 di Emmeciquadro