Le seguenti parole di un poeta contemporaneo a Vygotskij: «Ho dimenticato la parola che volevo dire, e il pensiero incorporeo nel palazzo delle ombre ritorna» introducono alla sintesi commovente e drammatica del ricchissimo lavoro di ricerca presentata nel capitolo finale del libro Pensiero e linguaggio.
Per lo psicologo russo Vygotskij il pensiero non si esprime, ma si realizza, si incarna nella parola; la parola non è una pura veste del pensiero, la relazione tra pensiero e parola è un processo vivente di nascita del pensiero dalla parola; il pensiero non coincide direttamente nella sua struttura e nel suo corso con la struttura e il corso del linguaggio, il pensiero ha la propria struttura e il proprio corso; la strada dal pensiero alla parola è una strada indiretta, internamente mediata.
A chi non è mai capitato di trovarsi nella situazione del misero viandante che, non trovando le parole per esprimere il profondo pensiero che lo possiede, si tormenta e si mette a pregare un santo affinché Dio gli dia il concetto (p. 388)? O chi di noi non si commuove alla rilettura del dialogo cifrato tra Levin morente e Kitty in Anna Karenina? Chi non ha mai avuto occasione di stupirsi di quell’avvenimento che sono le prime parole dei bambini, o non è mai stato interpellato in qualche esperienza di insegnamento dalla fatica della trasmissione di significato delle parole?
Pensiero e linguaggio, pubblicato nel 1934 a due anni dalla precoce morte per tubercolosi dell’autore, considerato il suo capolavoro e annoverato tra i classici della psicologia del nostro secolo, non è un libro riservato a psicologi o a specialisti.
«Le differenze sociali e i contrasti di classe impallidiscono dinanzi alla divisione odierna degli uomini in amici e nemici della parola», scrive il poeta caro a Vygotskij sopra citato: il rendersi percepibile di questa amicizia è ciò che ci spinge a ripercorrere nei capitoli di questo libro i quasi dieci anni di lavoro incessante dell’autore e dei suoi collaboratori nello studio del pensiero e del linguaggio, in serrata e appassionata dialettica con la psicologia strutturalista e con quella associazionista, con l’idealismo e con il comportamentismo.
«Si può dire che tutto il sistema di Piaget esplode dall’interno grazie alla forza immensa dei fatti che vi sono compressi e incatenati con i ferri di un pensiero errato», conclude Vygotskij al termine della densa e ricca disamina sul rapporto tra lo sviluppo dei concetti quotidiani spontanei e dei concetti scientifici in età scolare, argomento di uno dei due capitoli centrali del libro.
L’idea della delimitazione tra i concetti quotidiani saturi della ricca esperienza personale del bambino e i concetti scientifici che si formano nel processo di insegnamento è una delle ipotesi originali di questo lavoro e risulta densa di intuizioni preziose per chi abbia osservato e accompagnato la crescita di bambini in età scolastica: «[…] in ciò in cui sono forti i concetti scientifici sono deboli i concetti quotidiani e viceversa […] se lo sviluppo dei concetti scientifici e dei concetti quotidiani percorrono vie opposte, questi processi sono tuttavia legati l’uno all’altro molto profondamente. […] Lo sviluppo del concetto quotidiano del bambino deve raggiungere un certo livello affinché un bambino possa assimilare in generale un concetto scientifico e prenderne coscienza. Il bambino deve arrivare nei suoi concetti spontanei alla soglia al di là della quale diventa possibile la presa di coscienza[…]. I concetti scientifici germinano verso il basso mediante i concetti quotidiani; i concetti quotidiani germinano verso l’alto mediante quelli scientifici.»
Molto interessante è l’analisi dello sviluppo del concetto, attraverso lo stadio di mucchio, poi di pensiero per complessi fino allo pseudoconcetto che, inglobando lo stesso cerchio di oggetti del concetto «è un ponte gettato tra il pensiero del bambino, concreto e per immagini reali, e il pensiero astratto» e permette la comprensione reciproca mediante le parole tra l’adulto e il bambino.
Altri spunti di riflessione interpellano la nostra esperienza di insegnanti, offrendo un’apertura singolare e preziosa sul problema del nesso tra parola e pensiero. Per esempio, la discussione sul rapporto tra il linguaggio parlato e il linguaggio scritto nel bambino, o quella sul rapporto tra l’apprendimento della lingua materna e della lingua straniera, o tutta la complesa disamina del cosiddetto linguaggio egocentrico del bambino, che per Vygotskij non è un linguaggio staccato dalla realtà, ma la premessa al linguaggio interno, piano di mediazione tra parola e pensiero.
«Il pensiero e il linguaggio sono la chiave per comprendere la natura della coscienza umana», scrive Vygotskij nelle righe conclusive di questo libro; «la coscienza si riflette nella parola come il sole in una piccola goccia d’acqua […] essa è un piccolo mondo della coscienza. Una parola piena di senso è un microcosmo della coscienza umana.»
Lev Vygotskij
Pensiero e Linguaggio
Biblioteca Universale Laterza, 1992
Recensione di Mariangela May
© Pubblicato sul n° di Emmeciquadro