Nella mentalità comune, tra addetti ai lavori e non, la tecnologia sembra sfuggire a ogni forma di giudizio critico che muova, in primo luogo, dal riconoscerne il carattere storico.
L’autore fa esplicito riferimento al dibattito avviato in America negli anni Cinquanta e suggerisce una via per uscire dal vicolo cieco delle due posizioni culturalmente ingenue di chi mitizza e di chi demonizza questa forma di sapere.



Qualche anno fa, mentre lavoravo alla preparazione di una mostra sulla tecnologia1 del medioevo, mi capitò di parlarne con un amico che mi interruppe subito con aria sorpresa: «Ma c’era la tecnologia nel medioevo?».
Forse il mio amico pensava che «tecnologia» siano solo i missili, i computer e i telefoni cellulari, e non gli aratri e i finimenti da cavalli (importanti conquiste della tecnologia medioevale), o i rubinetti del bagno (essenziale conquista della tecnologia della vita quotidiana).
Mi sembra perciò utile sviolinare subito che la tecnologia non ha solo un grande ruolo nella vita odierna, ma anche una lunghissima storia nella vita dell’uomo: il genere umano ha sempre avuto a che fare con la tecnica. Non è un caso, infatti, che si ricerchino segni iniziali di umanità, proprio nelle tenui tracce di abilità tecnica quali la scheggiatura di ciottoli prodotta dai remoti precursori dell’Homo sapiens.
Tutti sanno, inoltre, che le più antiche culture umane, che ancora non conoscevano la scrittura, ci sono note solo attraverso i loro oggetti tecnologici e artistici. Dunque, nella cultura umana, la tecnica ha sempre avuto un ruolo fondamentale. Eppure, stranamente, la riflessione sulla tecnologia non mi sembra sia stata molto praticata.
In un passato lontano, quando la tecnologia era considerata attività da schiavi, porsi domande su di essa non sembrava culturalmente interessante. Anche in seguito, quando, a partire dalla rinascita medioevale, hanno cominciato a diventare sempre più importanti i contributi della tecnologia alla trasformazione del mondo, il fatto che essa operasse, si evolvesse e si sviluppasse a grande velocità, non sembra sia stato preso in grande considerazione critica.
Questa tendenza a una «positiva scontatezza», che ha accomunato culture e sistemi politici molto diversi fra di loro (si pensi, per esempio, all’atteggiamento di grande esaltazione delle conquiste tecnologiche comune a Stati Uniti, Russia e Giappone), è stata nettamente maggioritaria almeno finché della tecnologia sono stati evidenti solo gli aspetti benefici, i suoi contributi al «progresso», borghese o socialista.
A partire dagli anni Venti, però, qualcosa ha cominciato a cambiare: sono comparse le prime riflessioni critiche di intellettuali isolati, in genere velate di forte pessimismo, quali quelle di Lewis Mumford, pubblicate nel 1934 nel libro Technics and Civilization. Dopo la seconda Guerra Mondiale, con la grande paura della guerra atomica e le prime crisi ecologiche, la critica alla tecnologia è divenuta l’espressione, anzi il cavallo di battaglia, di movimenti d’opinione di larga diffusione.



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Gian Luca Lapini
(Collaboratore al Corso di Storia dell’Architettura Politecnico di Milano – Ricercatore CESI)

Note

  1. Nel linguaggio comune i termini «tecnica» e «tecnologia » sono usati indifferentemente.
    Tecnica, secondo il Devoto-Oli, è il complesso di norme che regolano l’esecuzione pratica e strumentale di un’arte, di una scienza, di un’attività professionale; tecnologia, invece, secondo l’enciclopedia S&T, è lo studio dei materiali, delle macchine e dei procedimenti necessari per ottenere prodotti industriali di caratteristiche definite.
    Il termine tecnologia ha dunque una connotazione di maggiore «sistemicità », di legame con la scienza e l’industria; per questo motivo lo si userà prevalentemente nell’articolo.


© Pubblicato sul n° 04 di Emmeciquadro

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