Saper pensare nel senso pieno e forte del termine: questa la sfida dell’autore dell’articolo, primo di altri che seguiranno, su un tema scottante e al tempo stesso coinvolgente. La sfida muove dall’interno della scienza per individuare e riaffermare i termini indispensabili all’elaborazione di una conoscenza sistematica.



Il momento storico che stiamo attraversando, pur così «scriteriato» e troppe volte disumano nei suoi risvolti sociali e politici, nei suoi squilibri e nella sua arbitrarietà, dominato da poteri più grandi di noi e di fronte ai quali non si sa bene che cosa si possa fare, è un momento estremamente interessante.
È un momento di transizione e questo rappresenta una grande occasione. Stiamo passando, anzitutto, da un millennio a un altro, stiamo assistendo a grandi spostamenti degli equilibri di forze e di poteri nel mondo intero. Nei momenti di transizione si corrono grandi rischi, perché si possono imboccare strade molto pericolose i cui effetti deleteri si ripercuotono necessariamente sulle generazioni a venire; contemporaneamente si offrono straordinarie occasioni che, se colte, possono portare frutti molto positivi per l’umanità intera e per le generazioni future.
In questi momenti è decisivo saper pensare, nel senso pieno e forte del termine: un pensare che è un tutt’uno con il vivere. Oggi sembrano sempre di meno le persone che incontrano qualcuno che insegna loro a pensare in questo senso forte e addirittura si teorizza un pensiero debole.
Ma che cosa vuol dire saper pensare? Ritengo che significhi anzitutto conoscere le regole interne al pensiero, la logica; ma questo è solo il punto di partenza strumentale. Lo strumento del pensiero deve essere poi applicato a un contenuto. Ecco che, allora, saper pensare deve significare anche accorgersi di ciò che accade intorno a noi e in noi e saper giudicare, valutare ciò che accade: non andare dietro agli eventi lasciandosi trascinare da quello che dicono tutti, mutuando i giudizi da quelli di chi grida più forte. Ma per saper giudicare bisogna possedere dei criteri di giudizio, maturati e verificati nell’esperienza, in un certo senso scientificamente.
Tutto questo significa, in una sola parola, una cultura. In genere nei grandi momenti di transizione il destino dell’umanità non è legato solo e principalmente al potere, ma è legato, anche se magari in modo non evidente, a quegli uomini che, sapendo pensare e vivere quello che pensano, sono portatori di cultura. La cultura si riversa, attraverso di loro, da un anello della storia a quello successivo e, quando i poteri si indeboliscono e crollano, essa fornisce le sue risorse direttamente agli uomini, ai popoli.
Ma fino a che siamo in questa fase di transizione è importante che quanti desiderano «non perdere il filo», come si dice familiarmente, quanti si sentono desiderosi di pensare nel senso appena detto – e non solo ne sono in qualche modo capaci, ma hanno anche in mano degli strumenti sistematici di pensiero – costoro, se possono, non pensino da soli, ma creino un sodalizio di vera cultura: il sodalizio di coloro che sanno e amano pensare, di coloro che amano la verità e cercano la strada per comunicarla agli altri, per trasmettere quello che conta. Così le tradizioni di pensiero e le fedi si incontrano: non, però, in una miscela sincretistica, come è oggi di moda, ma nel serio approfondimento dell’identità dalla quale ciascuno proviene.
Chi vive in una tradizione cristiana, così come anche chi proviene da altre tradizioni, non deve cercare di annacquarla per essere apparentemente più dialogante, perché il dialogo, se è onesto, esige chiarezza, diversamente non è dialogo ma rumore, confusione, non comunica nulla; anzi più spesso è inganno di una delle due parti che, per prevalere sull’altra, propone un falso dialogo in cui uno dei due deve cedere su tutto. Com’è utile, allora, a chi vuole prevaricare, che l’altro non sappia più pensare! Di fronte a questo modo di manipolare la persona umana tutti possiamo e dobbiamo reagire.
Sono partito da molto lontano. Ma l’ho fatto per evidenziare ciò che mi sembra interessante, e affascinante, di questo momento storico di transizione che alla nostra generazione è dato in sorte di vivere in prima persona e anche la responsabilità, il compito che questo comporta.
Accorgersi di tutto ciò è il primo dato importante. Ma nessuno può fare tutto da solo e bisogna, a questo punto, identificare un campo preciso di indagine in cui lavorare insieme. Identificato il quadro nel quale collocarsi, chiunque voglia provare a pensare sistematicamente deve trovare uno specifico in cui muoversi. Cominciamo allora a restringere il campo d’azione.



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Alberto Strumia
(Docente di Meccanica razionale – Università di Bari)

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© Pubblicato sul n° 05 di Emmeciquadro


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