La tavola periodica degli elementi, che risale alla seconda metà dell’Ottocento, è dovuta alla geniale interpretazione di una complessa varietà di dati fisicochimici da parte di Dimitrij Ivanovich Mendeleev. È il passo finale di un cammino di ricerca che è interessante ripercorrere. Se poi si confronta quell’ipotesi, ricavata a partire da dati osservativi fenomenici e macroscopici, senza alcuna conoscenza della struttura atomica, con le conoscenze attuali non può che esserci uno stupore di fronte alle intuizioni di Mendeleev: le acquisizioni della fisica atomica e quantistica del Novecento confermano le regolarità della tavola sia pure in un nuovo quadro concettuale che ne dà ragione, a partire dalla scoperta dei costituenti ultimi della materia e delle leggi quantistiche che li regolano.
Quando si apre un qualsiasi libro di chimica, soprattutto se di livello elementare, una delle prime cose che attira l’attenzione è una grande tabella con i simboli degli elementi disposti in righe e colonne di diversa lunghezza; nelle casella assegnata a ciascun elemento possono essere riportate varie informazioni, proprietà chimiche, fisiche, e anche biologiche, o mineralogiche, ma la struttura della tabella è sempre la stessa: è la tavola periodica degli elementi.
Lo studio sistematico degli elementi chimici prevede di utilizzare questa tabella per classificarli in «gruppi», le colonne, di comportamento simile, o in «periodi», le righe, muovendosi lungo le quali si hanno variazioni abbastanza regolari di molte proprietà.
La tavola periodica, o tavola di Mendeleev, è così da moltissimo tempo: ormai ha quasi un secolo e mezzo.
Quello che stupisce è come una tale classificazione, basata solo su fenomeni macroscopici e costruita quando la struttura dell’atomo era ignota, non solo abbia resistito a tutto lo sviluppo di quella che viene chiamata fisica moderna, dalla nascita della fisica atomica e nucleare alle revisioni della fisica teorica dovute alla meccanica quantistica, ma anzi ne sia uscita rafforzata.
Gli atomi da idee a oggetti
La storia comincia all’inizio del XIX secolo quando, sotto l’influsso di Antoine Laurent Lavoisier (1743 – 1794), viene sempre più riconosciuta l’importanza in chimica delle misure quantitative e dei bilanci ponderali.
Ben presto ci si accorge che se gli elementi formano un composto ben definito i loro pesi stanno in un rapporto determinato, costante nel tempo, indipendente dalle dimensioni e dall’origine del campione: per quanto piccola sia la quantità di sostanza essi stanno sempre in tale rapporto. Le misure che Joseph Louis Proust (1754 – 1826) compie sugli ossidi dello stagno e i solfuri di ferro lo portano ad affermare la legge delle proporzioni definite.
Nello stesso periodo John Dalton (1766 – 1844) confronta le analisi di più composti di uno stesso elemento e riconosce che questo può entrare in combinazione con rapporti differenti ma sempre esprimibili con numeri interi (legge delle proporzioni multiple). Questo fatto, d’altra parte, era già stato intravisto, ma trascurato, da Proust.
Dalton inoltre compie un salto di qualità: per spiegare la legge delle proporzioni multiple costruisce un’ipotesi atomica. Essa è fondata su due principi: ogni elemento consiste di atomi il cui peso è invariabile ed è caratteristico dell’elemento, per cui esiste un numero limitato di tipi di atomi, uno per ogni elemento; i composti chimici si formano per unione di atomi di elementi diversi secondo rapporti numerici semplici.
Una visione corpuscolare della materia non era certamente una cosa nuova (è forse superfluo citare Democrito, Epicuro e Lucrezio); essa era periodicamente riemersa nelle filosofie naturali, anche in età medioevale, ed era circolata con più forza a partire dal Rinascimento. Basta ricordare Pierre Gassendi (1592 – 1655) e soprattutto Robert Boyle (1627 – 1691), al quale è dovuta la legge omonima e al quale Dalton, che inizialmente studiò i gas, probabilmente si è ispirato.
La novità è che ora l’atomismo è un modello per ordinare fatti ben precisi e quindi può essere sottoposto a verifica.
Clicca qui per accedere all’intero articolo in formato PDF
Emanuele Ortoleva
(Docente di Chimica-Fisica presso l’Università degli Studi di Milano)
© Pubblicato sul n° 08 di Emmeciquadro