È di grande attualità l’affermazione di Galileo secondo la quale «tra le sicure maniere per conseguire la verità è l’anteporre l’esperienze a qualsivoglia discorso», dove il termine esperienze è posto come sinonimo di osservazione e si riferisce all’utilizzo delle nostre facoltà sensibili, potenziate dagli strumenti, per indagare il comportamento della natura.
Grazie all’osservazione è possibile constatare l’esistenza di un fenomeno, rilevarne le regolarità, quantificarne le caratteristiche, individuare le sue relazioni con altri fenomeni. Attraverso l’osservazione lo scienziato legge il libro della natura, ascolta i messaggi che la natura stessa invia gratuitamente, raccoglie informazioni indispensabili per condurre ogni argomentazione. Quattrocento anni di scienza galileiana e post-galileiana hanno ampiamente mostrato come tutti gli avanzamenti nella conoscenza abbiano una solida base osservativa: anche le intuizioni apparentemente più teoriche sono frutto della genialità di uomini che sono riusciti a decifrare meglio i dati che altri avevano raccolto, a mettersi in sintonia con i segnali che altri avevano captato senza capirli.
Un primo motivo di attualità dell’opzione galileiana per l’osservazione sta nella crescita degli strumenti a disposizione dell’uomo moderno che amplifica in modo impressionante le possibilità osservative. L’infinitamente piccolo diventa sempre più visibile nei laboratori sotterranei della big science; i segreti della materia vivente lentamente si svelano agli occhi dei genetisti; interi osservatori astronomici vengono messi in orbita per scandagliare i confini dello spazio (e del tempo), dove (quando) l’uniformità della radiazione primordiale si è increspata per formare le prime strutture cosmiche.
Nel frattempo, gli strumenti della società dell’informazione portano nelle case e nelle aule un oceano di dati e immagini che eccedono le nostre capacità di esplorazione. È come se la realtà si fosse improvvisamente dilatata; facendo crescere i problemi aperti e le domande inevase. Ciò per gli scienziati è fonte di nuove responsabilità. Ma è anche una nuova sfida sul piano pedagogico.
Ecco il secondo motivo di attualità del tema dell’osservazione.
Oggi, soprattutto i giovani, guardano molto ma vedono poco, sentono molto ma faticano ad ascoltare, ricevono molti messaggi ma il loro orizzonte conoscitivo spesso resta angusto. L’aumento di possibilità osservative da solo non basta a creare l’habitus dell’osservatore.
L’osservazione va educata. Sembra ovvio, ma nella pratica scolastica quotidiana non lo è affatto. Anche perché molti tentativi, tecnicamente apprezzabili, vengono vanificati dall’indebolirsi della convinzione che la conoscenza sia possibile, che la natura abbia qualcosa da dirci, che l’osservazione possa realmente servire.
Senza questo requisito fondamentale, anche la più raffinata strumentazione impallidisce di fronte al semplice orologio ad acqua di Galileo.
Mario Gargantini
(Direttore della Rivista Emmeciquadro)
© Pubblicato sul n° 08 di Emmeciquadro