Dalla meccanica razionale all’astrodinamica relativistica: è il percorso segnato da due secoli di ricerca all’insegna del rigore matematico e della creatività fisica. Ma è anche l’itinerario culturale di Vittorio Banfi, che dall’ingegneria è approdato all’astrofisica fornendo contributi originali pubblicati sulle principali riviste internazionali specializzate. All’inizio degli anni Ottanta, alcuni suoi modelli sulla dinamica degli anelli di Saturno hanno trovato conferme nelle osservazioni ravvicinate delle sonde Voyager. Il suo ultimo libro introduce, con gradualità e sensibilità didattica, una tematica impegnativa, ma non priva di suggestivi sviluppi applicativi anche in vista di futuri viaggi spaziali che potrebbero coinvolgere velocità non trascurabili rispetto a quella della luce. Il commento dell’autore a questa sua recente opera si propone come sintesi di una lunga attività di ricerca e come spinta a proseguire il cammino in territori ancora inesplorati.
Una vita spesa, in gran parte, per lo studio e la ricerca si compendia a volte in un libro. È il risultato di tanti ricordi, tanti fogli nel cassetto, molti calcoli … un canto del cigno, insomma, proprio nel senso del Fedone (84d, 85a, 85b):
«I cigni,quando sentono che debbono morire,
pur cantando anche prima, in quel momento
cantano tuttavia i canti più belli e più lunghi,
pieni di gioia, perchè stanno per andarsene presso
quel Dio del quale sono ministri …»
Il trattato Relatività e Astrodinamica è strutturato in tre parti. Nella prima viene esposta la teoria della relatività ristretta (TRR). Essa viene sviluppata in vista dei problemi astrodinamici. Spazio, tempo e spazio-tempo sono descritti nelle loro proprietà analitiche, a fronte dei risultati dell’esperienza.
Nella seconda parte è illustrata la «teoria della gravità» di Einstein, particolarmente quel formidabile lampo d’intuizione fisica che gli ha consentito di enunciare il principio della geodetica. Sostanzialmente la genesi della TRG.
I quattro ultimi capitoli riguardano applicazioni varie dell’astrodinamica relativistica: l’avanzamento del perielio planetario secondo varie prospettive teoriche; la deflessione di un raggio di luce in un campo gravitazionale; il moto di una particella in prossimità di un buco nero.
Due tematiche fondamentali della teoria della relatività
Due argomenti, nell’insieme di quelli analizzati nel libro, mi paiono di particolare interesse.
Il primo è sintetizzabile così: il principio creativo della semplicità in Einstein. Vi è un passo di una bellezza incomparabile in cui è descritta da lui la fede nel principio della ricerca dei concetti e delle loro connessioni matematicamente più semplici: «se adotto una metrica riemanniana nel continuo a quattro dimensioni e cerco le leggi più semplici che questa metrica può soddisfare, arrivo alla teoria relativistica della gravitazione nello spazio vuoto». E ancora: «Si deve aspirare alla semplicità e all’economia nelle assunzioni fondamentali. La convinzione che questi due obiettivi possano coesistere costituisce, considerato lo stato primitivo della nostra conoscenza scientifica, materia di fede.»
Semplicità è radicalmente connessa, secondo il Nostro, con unitarietà.
L’incantesimo ionico, che si esprime nella ricerca di un’immagine unitaria del mondo, viene di solito fatta risalire ad Alexander von Humboldt1 (Cosmos è una delle assidue letture del giovane Einstein).
In un saggio del Nostro (1918) si sottolinea con forza che non solo è possibile formarsi «un’immagine semplificata del mondo, tale da consentire una visione d’insieme» ma che questo è il compito supremo dello scienziato.
Il secondo argomento riguarda il moto di un corpo in un campo gravitazionale. Isaac Newton, nel 1684, introdusse il concetto di forza gravitazionale e di forza dinamica, in generale entrambe uguali al prodotto della massa per l’accelerazione del corpo sul quale agisce la forza. Come conseguenza di ciò un grave cadente descrive una traiettoria in obbedienza a detta forza.
Questo paradigma newtoniano ha tenuto saldamente, come ben sappiamo, per oltre tre secoli ed è valido ancor oggi se si considerano velocità dei corpi, rispetto al sistema di riferimento, assai più piccole della velocità della luce.
L’interpretazione relativistica del moto di un corpo in un campo gravitazionale è senz’altro più vera e più generale.2
Si potrebbe sinteticamente dire che la fisica relativistica corregge, completa ed estende ciò che in quella newtoniana era errato, incompleto e limitato. Ma, per giungere a ciò, Einstein dovette rovesciare completamente le prospettive concettuali della fisica newtoniana. Per il Nostro la gravitazione non è propriamente una forza, nel senso che si attribuisce d’ordinario a questa parola.
La gravitazione è una particolarità geometrica dello spazio, o meglio, dello spazio-tempo a quattro dimensioni. Un grave cadente non descrive una traiettoria perché costretto da una forza, ma perché tale traiettoria ha una proprietà saliente, nello spazio-tempo riemanniano in presenza di materia, che è analoga a quella che distingue una retta nello spazio-tempo vuoto, ossia è una geodetica. Un grave cadente si muove liberamente nello spazio-tempo deformato dalla materia attraente. Paradossalmente, oltre a essere un approccio assai più rigoroso dal punto di vista teorico, si potrebbe dire che è anche più conforme al giudizio del buon senso.
Perché dobbiamo infatti, con l’antica meccanica, chiamare libera, per esempio, una pallina posta su un tavolo, dal momento che la reazione vincolante di quest’ultimo impedisce alla pallina stessa di cadere?
Perché, al contrario, dobbiamo riguardare come soggetta a forza la pallina cadente, sebbene non appaia qui nessun vincolo che sia a essa applicato?
Come conseguenza di tutto ciò dovrà essere modificata la legge di inerzia, con grandi e proficui risultati nella cosmologia contemporanea.
La teoria della relatività e il suo impatto sulla cultura del XX secolo
Tuttavia, come in una notte lughissima, tetra e disperata, vi è un lampo istantaneo di un fulmine che illumina tutto il paesaggio, così, nell’attraversamento doloroso del XX secolo, vi è una intensa, luminosa (ma perenne) emergenza intellettuale e spirituale: la teoria della relatività.
La complessità inesauribile del mondo, che è di fronte al letterato come allo scienziato, anzichè essere percepita come un insieme di fatti accidentali e aggrovigliati, può essere compresa e riassunta in una forza di semplicità e di bellezza. Analogo discorso è valido per l’arte figurativa.
Ecco l’influsso, in senso generale, della teoria della relatività su vari aspetti dell’umana cultura.
Poi ci sono problemi particolari, per così dire di collaborazione, per esempio tra scienziati e filosofi, sul comune problema dello spazio e del tempo. Una questione aperta dai tempi di Kant e Newton, ma che si prolunga e si amplia con la relatività sino a oggi.
Vi è poi un’ultima osservazione; essa riguarda il cosiddetto senso comune (che non è il «buon senso») che spesso degenera in discorso superficiale da luogo comune. Si sente dire sovente «ma che vuoi tutto è relativo, l’ha detto anche Einstein!». Questa frase è detta di solito per depistare un discorso avviato o comunque banalizzarlo al fine di influenzare l’interlocutore.
La domanda è: chiamò deliberatamente Einstein la sua teoria relatività? La risposta è: sicuramente no! Vi sono concrete prove che egli avesse voluto chiamarla Invariantentheorie, cioè teoria degli invarianti.
In una lettera del 30 settembre 1921, indirizzata a E. Zschimmer di Jena (ora nell’archivio dell’università di Gerusalemme) Einstein scrive: «Veniamo al nome teoria della relatività. Riconosco che si tratta di una espressione infelice, che ha dato adito a fraintendimenti filosofici.
Il termine Invariantentheorie sarebbe adatto a descrivere il metodo di ricerca della teoria […] ma credo che cambiare, dopo tutto questo tempo, il nome generalmente accettato, sarebbe motivo di confusione.»
Conclusione
A questo punto mi sento di raccomandare ai giovani e ai non più giovani (ma vivaci spiritualmente) di intraprendere la magnifica avventura relativistica, almeno per due buonissime ragioni.
La prima è certamente per la sua «bellezza» intrinseca. La TRG è stata, in questi ultimi decenni, il motore del progresso della geometrizzazione della fisica. Inoltre ci ha fornito gli schemi mentali per modellare ogni sorta di teoria fisica.
La seconda è per le sue aperture nel campo dell’astrodinamica stellare (viaggi relativistici verso le stelle), nel campo dell’astrofisica e della cosmologia.
Un invito quindi a sciogliere le vele per una grande navigazione. Quale miglior viatico se non le parole dell’Ulisse dantesco (Inferno XXVI, 118-125)?
«Considerate la vostra semenza:
Fatti non foste a viver come bruti,
Ma per seguir virtute e canoscenza
Li miei compagni fec’io sì aguti,
Con questa orazion picciola, al cammino,
Che a pena poscia li avrei ritenuti;
E volta nostra poppa nel mattino,
De’ remi facemmo ali al folle volo.»
Vittorio Banfi
(Membro della Commissione di studio per la storia della fisica e dell’astronomia del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Collaboratore dell’Osservatorio Astronomico di Torino e uno dei fondatori del Centro di Astrodinamica G. Colombo)
Note
- A. von Humboldt, Cosmos, Vol 1 e 2, John Hopkins University Press, London 1937.
- Cfr.: R.G. Newton, La verità della scienza, McGraw-Hill, Milano 1999.
- «Se non sei stato in campo di concentramento,
se non t’hanno torturato,
se il tuo miglior amico non ha scritto una lettera anonima contro di te.
Se non sei strisciato fuori da un mucchio di cadaveri scampando miracolosamente alla fucilazione,
se non conosci la teoria della relatività e del calcolo tensoriale, (…)
se non riesci a vivere in cinque metri quadrati e non giochi nemmeno a basket-ball allora non sei un uomo del XX secolo!»
(Artemij Michailov)
© Pubblicato sul n° 11 di Emmeciquadro