Una parola spicca per la sua assenza nei «nuovi curricoli» di scienze che dovrebbero contribuire a trasformare la scuola italiana. È la parola «Tradizione».
Non si tratta di una svista o della preferenza per altri sinonimi: è piuttosto la conseguenza di una particolare visione della scienza che ne minimizza la portata conoscitiva e non riesce a collocare i nuovi apporti entro il flusso di esperienze storicamente determinate.
Una visione ben diversa da quella di scienziati come Einstein, Planck, Heisenberg, per citarne solo alcuni, i quali, da posizioni tutt’altro che tradizionaliste, hanno prodotto non pochi sconvolgimenti nel nostro modo di conoscere la natura. Heisenberg, per esempio, era convinto che «i problemi, i metodi, i concetti scientifici attuali siano, almeno in parte, il risultato di una tradizione che accompagna o guida il cammino della scienza». Einstein, in un celebre passo, si «scusa» con Newton per aver dovuto «sostituire» alcuni concetti guida del pensiero fisico. Ed è ben nota la resistenza drammaticamente vissuta da Planck all’introduzione del quanto d’azione, al quale lo costringeva una singolare convergenza di indizi.
L’attenzione alla Tradizione è condizione sostanziale per «fare scienza» in quanto porta ad affrontare la realtà con domande precise, consente di delimitare e mettere a fuoco i problemi, evidenzia la debolezza delle teorie e l’insufficienza degli apparati sperimentali. È inoltre fondamentale per il costituirsi di ogni disciplina come sapere specifico, con la sua caratterizzazione metodologica, col suo statuto epistemologico.
A maggior ragione la Tradizione è condizione per insegnare la Scienza. Per comprenderla e comunicarla come opera infaticabile dell’uomo che cerca di scoprire il comportamento della natura e di inquadrarlo entro rigorose costruzioni teoriche. Un’opera che non è sempre semplice né lineare; che incontra discontinuità, rotture, insuccessi; che a volte è rallentata dal cristallizzarsi di alcuni paradigmi in schemi rigidi e chiusi alla novità. Ma proprio chi si inserisce in questo percorso storico può comprenderne a fondo la dinamica, imparando dagli errori e mettendosi in guardia dalle pretese di esaurire le possibilità e la complessità della natura incasellando i fenomeni entro i modelli più in voga.
La situazione si aggrava se, come sta accadendo, a un’immagine di scienza tutta sbilanciata sul futuro si affianca una concezione pedagogica «situazionista». In tale prospettiva lo studente viene considerato come nodo di una rete comunicativa, pronto a reagire al susseguirsi degli stimoli e delle provocazioni dell’ambiente; risulta così assorbito in una dimensione puramente orizzontale, senza possibilità di riconoscere ipotesi da verificare, senza poter individuare maestri da seguire.
I segnali di questa pericolosa connection, una Scienza senza Tradizione e una Scuola senza Maestri, sono sempre più visibili nella scuola italiana. È necessario prendere posizione.
Il lavoro di insegnanti e ricercatori che alimenta le pagine di Emmeciquadro documenta la possibilità di muoversi in un’altra direzione, rispettosa della dimensione culturale delle discipline e insieme del profondo bisogno educativo dei giovani.
Mario Gargantini
(Direttore della Rivista Emmeciquadro)
© Pubblicato sul n° 11 di Emmeciquadro