Il lavoro di riflessione e innovazione svolto in ambito geometrico negli ultimi due secoli si è rivelato ricco di implicazioni, ben al di là dei confini tradizionali della disciplina. Questo articolo evidenzia il ruolo di protagonista che ha avuto la scuola dei geometri italiani, rivisitando, in modo necessariamente sintetico, i filoni principali di ricerca: i fondamenti, la geometria differenziale (il calcolo tensoriale divenuto poi il linguaggio matematico della relatività generale), la geometria algebrica. È uno stimolo a ulteriori letture, e a una rivalutazione, anche da un punto di vista didattico, della dimensione geometrica.



I filoni della ricerca geometrica in Italia

Molti furono i matematici di rilievo internazionale nell’epoca che sta a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Ma qui ci limiteremo a parlare di quelli che in un certo senso si sono occupati in modo prevalente oppure particolarmente significativo di geometria. Siamo ben consci del fatto che questa scelta risulterà in qualche modo arbitraria e tale potrebbe essere giudicata. Sarebbe forse anche il caso di insistere sulla artificiosità della distinzione tradizionale nella denominazione delle materie classiche dei corsi di laurea in matematica. Infatti, invece di parlare di Analisi matematica, Geometria, Meccanica eccetera si dovrebbe forse parlare di matematica fatta con spirito geometrico, analitico, meccanico e così via.
Potremmo infatti rifarci al classico discorso pronunciato da Henri Poincaré al congresso mondiale, tenutosi a Parigi nel 1900; discorso nel quale il matematico e fisico francese metteva in risalto le diverse mentalità in cui viene eseguita la ricerca matematica, e con le quali si esplicita il rigore di tale ricerca.
[Immagine a sinistra: Jules Henri Poincaré (1854-1912)]
Perché possono esistere diversi atteggiamenti nella costruzione delle immagini mentali, che sempre accompagnano la costruzione delle teorie, anche delle più astratte.
Si potrebbe infatti dire che tali immagini mentali forniscono in qualche modo il punto di partenza, spesso inconscio, per l’elaborazione logica astratta, cioè per l’enunciazione dei postulati e per la successione delle deduzioni; si tratta presumibilmente dell’insieme delle cose che il ricercatore «dà per scontate », che risultano in certo modo evidenti, anche se è ben vigile la coscienza del fatto che spesso la sensazione dell’evidenza non è fondamento valido per la deduzione rigorosa, e deve essere sostituita dalla enunciazione dei postulati e dalla deduzione logica.



Le ricerche sui fondamenti

La scansione temporale delle nostre considerazioni è stata stabilita prendendo come epoca di partenza quella delle ricerche sui fondamenti della matematica e in particolare della geometria (epoca che potrebbe anche essere caratterizzata dalla rivoluzione riemanniana sui fondamenti della geometria), e scegliendo come epoca finale quella della esplosione della informatica e della elaborazione elettronica del calcolo e della informazione.
In coerenza con queste scelte vorremmo spendere poche parole sul significato delle ricerche sui fondamenti della matematica e sullo sbocco che queste ricerche ebbero, in modo quasi naturale e quasi necessario, nell’ambito della logica formale.
Diciamo ciò perché in questo campo si presenta in modo naturale la figura di Giuseppe Peano.
[Immagine a destra: Giuseppe Peano (1858-1932)]
Infatti si potrebbe dire che tra le prime manifestazioni dell’interesse che questo grande matematico dimostrò per la geometria e per i suoi problemi logici andrebbe ricordato il volumetto intitolato Calcolo geometrico; qui Peano dedicò la sua attenzione ai problemi geometrici costruendo, da precursore, un simbolismo logico che gli permise di tradurre le operazioni di deduzione in operazioni eseguite con certi simboli convenzionali. Si potrebbe dire che si trova in quest’opera il nucleo delle sue ricerche sul formalismo logico; simbolismo che ancora oggi viene impiegato da certe scuole di logica simbolica così come sono usate (in generale senza citare l’autore) certe convenzioni di simbolismo matematico oggi quasi universalmente adottate.
Va ricordato inoltre che nella stessa opera citata Peano presentò un suo sistema di convenzioni linguistiche atte a rappresentare gli elementi geometrici (o almeno quelli della geometria elementare) legati da regole di sintassi convenzionale atte a rappresentare le operazioni della geometria elementare. Pertanto con queste sue convenzioni di scrittura la deduzione diventava appunto un calcolo, cioè una trasformazione puramente formale di formule e di simboli linguistici a cui era attribuito convenzionalmente un significato geometrico.
Va osservato che nel secolo XIX sono stati fatti anche altri tentativi per introdurre un calcolo dei simboli aventi significato geometrico; tali tentativi hanno condotto per esempio alla costruzione di quello che venne chiamato il «calcolo baricentrico » inventato da Moebius o il calcolo dei «quaternioni» di Hamilton (William Rowan, 1805-1865).
Si potrebbe osservare che questi tentativi, e altri similari, erano forse ispirati dal desiderio di superare le complicazioni e le difficoltà inerenti alle abituali convenzioni che conducono ai diversi sistemi di coordinate, cartesiane o di altro tipo, impiegate per la rappresentazione degli enti geometrici.
[Immagine a sinistra: August Ferdinand Moebius (1790-1868)]
Infatti tali sistemi di coordinate introducono abitualmente nei problemi degli elementi a priori arbitrari e spesso estranei ai problemi stessi; e la costruzione delle coordinate dipende dalla previa esecuzione di operazioni di misura, o di altre dello stesso genere. Il che richiederebbe a rigore la metodica dimostrazione dell’indipendenza dei risultati dalle procedure di scelta degli elementi arbitrari o convenzionali.
Alcuni di questi linguaggi o sistemi di rappresentazione, inventati per gli scopi della geometria, sono ancora oggi in uso, sotto varie forme, a seconda delle varie scuole e della diverse tradizioni culturali, per problemi di meccanica razionale o di fisica.
Infine ricordiamo che Peano costruì anche dei sistemi di assiomi per la geometria elementare, proponendo anche un sistema di notazioni molto razionali e coerenti per questa dottrina; il che rientra nel quadro generale della sua opera matematica, che lascia, a nostro parere, una traccia notevole nella storia di questa dottrina.



Sull’argomento dei fondamenti della geometria spicca, accanto alla figura di G. Peano, anche quella di Giuseppe Veronese (1854-1924). Anche Veronese affrontò dei problemi importanti riguardanti i fondamenti della geometria; in particolare le sue ricerche furono dirette ad approfondire il concetto di iperspazio, e a costruire una geometria non-archimedea con un adeguato sistema di assiomi.
Varie critiche alle idee e agli sviluppi di Veronese furono avanzate, con diversi argomenti, da Peano e da altri; tuttavia la coerenza e quindi la perfetta legittimità delle costruzioni di Veronese furono accertate in seguito a contributi di Tullio Levi Civita, il quale costruì un sistema di elementi analitici, che egli chiamò «numeri monosemii», e che forniscono una rappresentazione analitica coerente delle idee geometriche di Veronese.
[Immagine qui sopra a destra: Tullio Levi Civita (1873-1941)]

 

 

La geometria differenziale

 

Dopo il richiamo, alle opere di questi studiosi italiani riguardanti specificamente i problemi dei fondamenti della geometria, possiamo riprendere il cammino lungo il percorso storico che abbiamo delineato; per maggiore chiarezza faremo anche riferimento, almeno in parte, alle abituali suddivisioni della geometria dei nostri tempi, suddivisioni che mettono in luce l’esistenza di due grandi filoni, abitualmente denominati, secondo la tradizione corrente, come quello della geometria differenziale e della geometria algebrica.
Per quanto riguarda anzitutto il filone della geometria differenziale, il primo nome che ci si presenta è quello di Eugenio Beltrami.
[Immagine a sinistra: Eugenio Beltrami (1835-1900)]
Di questo maestro vogliamo anzitutto ricordare il fatto che egli contribuì alla conclusione della disputa riguardante il postulato euclideo della parallela; disputa che, si potrebbe dire, nacque già all’epoca della geometria alessandrina, e che stimolò tante ricerche e tante creazioni concettuali durante i secoli della storia della matematica.
In particolare la nascita della geometrie non euclidee, a cavallo dei due secoli XVIII e XIX, portò alla ribalta anche numerosi problemi di logica; tra gli altri il problema lungamente dibattuto, riguardante la coerenza di un sistema di assiomi geometrici. Infatti la costruzione di sistemi di geometria che prescindevano dalla validità del celebre postulato euclideo della parallela aveva lasciato aperto il problema logico della compatibilità o coerenza dei sistemi stessi.
La questione fu risolta con la costruzione di oggetti geometrici che potessero fungere da «modelli» di geometria non euclidea. Beltrami ideò appunto un modello del sistema logico e linguistico di una geometria cosiffatta costruendo una trigonometria dei triangoli geodetici delle superfici a curvatura totale (quella che viene anche chiamata curvatura «gaussiana») negativa, costante da punto a punto. Veniva così esibita una prova della compatibilità dei sistemi logici che conducono alle geometrie non euclidee.
È interessante aggiungere a questo proposito che Beltrami «ritrovò», nella biblioteca universitaria di Pavia, l’opuscolo scritto nel secolo XVIII dal padre gesuita Gerolamo Saccheri (1667-1733); opuscolo che, nelle intenzioni dell’autore, doveva costituire una dimostrazione dell’enunciato euclideo della parallela, e che invece presenta il grande pregio di esibire un notevole numero di proposizioni di geometria che prescindono dal postulato stesso; tali enunciati costituiscono quindi (contro i desideri del loro autore, del resto molto ingegnoso) un primo esempio storico di piccolo trattato di geometria non euclidea.
[Immagine a destra: Frontespizio dell’opuscolo di Saccheri]
A titolo di curiosità potremmo aggiungere che presso la Biblioteca dell’Istituto matematico dell’Università di Pavia si conserva un ingegnoso modello cartaceo di superficie a curvatura costante negativa, modello costruito da Beltrami, che era all’epoca di questi studi ordinario dell’Università pavese, e che tradizionalmente è chiamato dai ricercatori di quell’ateneo con l’espressione affettuosamente umoristica «la cuffia della nonna»; espressione che ha presumibilmente la sua origine nella forma del modello stesso.
Un altro cultore di Geometria differenziale che spicca nell’epoca di cui stiamo parlando fu Gregorio Ricci Curbastro; egli può essere considerato iniziatore, in Italia, della dottrina che viene spesso chiamata «calcolo tensoriale» e che in origine venne anche denominata «calcolo differenziale assoluto».
[Immagine a sinistra: Gregorio Ricci Curbastro (1853-1925)]
Tra i più importanti cultori di questa dottrina, accanto al Ricci Curbastro, va ricordato Tullio Levi Civita, che abbiamo già nominato. Si potrebbe dire, in breve, che con questi metodi vengono superati vari problemi logici, ai quali abbiamo già accennato; problemi che nascono dalla applicazione del metodo cartesiano, e che sono originati dalla necessità di scegliere dei sistemi di riferimento spesso estranei alle questioni trattate; e dalla conseguente necessità (fondamentale, in linea di principio) di garantire la validità dei risultati che si ottengono indipendentemente da ogni scelta arbitraria dei sistemi di riferimento.
La fecondità e la potenza di questi metodi, creati dai matematici italiani in questo campo, è chiaramente dimostrata dal fatto che gli strumenti elaborati sono stati in seguito utilizzati da Alberto Einstein (1879-1955) per la formulazione della sua teoria della relatività generale. Alla elaborazione di questi strumenti concettuali e simbolici partecipò anche Luigi Bianchi (1856-1928), mentre Enrico Bompiani (1889- 1975) e la suola da lui fondata ampliarono l’ambito delle ricerche di geometria differenziale, ricercando metodicamente gli invarianti differenziali degli oggetti geometrici rispetto al gruppo proiettivo di trasformazioni dello spazio di immersione.

 

 

La geometria algebrica

 

Si potrebbe dire che la geometria algebrica ha avuto la sua origine dalla applicazione delle idee con cui Cartesio gettò le basi di quella dottrina che oggi viene comunemente chiamata «geometria analitica».
È noto che questa dottrina conduce a stabilire delle convenzioni, con le quali gli oggetti della geometria classica vengono rappresentati mediante numeri, o insiemi di numeri; di conseguenza le operazioni di deduzione, le quali mettono in essere quella procedura logica che già la geometria greca aveva chiamato «analisi», vengono realizzate con operazioni sui numeri. I progressi dell’algebra, che ebbero il loro inizio nel secolo XVI, fornirono a questo metodo degli strumenti la cui fecondità si accrebbe nel tempo; si ottenne quindi quella maturazione della dottrina geometrica che già lo stesso Cartesio aveva preannunciato con parole compiaciute alla fine della sua Géométrie.

È opportuno ricordare che il metodo delle coordinate, che oggi vengono chiamate semplicemente «cartesiane», è soltanto uno dei tanti sistemi di convenzioni che si possono escogitare per rappresentare con numeri degli oggetti geometrici. Un esempio di convenzioni diverse, che è quotidianamente sotto gli occhi di tutti, è quello delle coordinate geografiche (latitudine e longitudine) che si impiegano per rappresentare i punti sulla superficie terrestre.
Ma la relativa semplicità dei metodi legati alle coordinate cartesiane diede luogo a una imponente fioritura di produzione scientifica che li utilizzava.
In particolare vennero studiati gli oggetti (curve nel piano, superfici nello spazio tridimensionale) rappresentati mediante equazioni algebriche.
[Immagine a destra: rappresentazione del segmento parabolico nel piano cartesiano]
La creazione della teoria delle funzioni di variabile complessa fornì gli strumenti per estendere i concetti geometrici, fino a una certa epoca legati strettamente alla intuizione geometrica; pertanto la teoria delle funzioni implicite della variabile complessa, definite e determinate da una o più equazioni algebriche, costituì per così dire l’ossatura portante della dottrina che venne chiamata «geometria algebrica».
Su questo tronco fiorirono vari rami, che si distinsero anche per gli strumenti analitici che venivano preferibilmente utilizzati dalle varie scuole di pensiero. Così per esempio vi fu una fioritura notevole di studi e di teorie legate alle funzioni trascendenti legate ai problemi di integrazione delle funzioni algebriche (funzioni ellittiche e abeliane); e vennero approfonditi e analizzati i problemi che nascono dai concetti legati alla idea di iperspazio: e in questo ambito la geometria proiettiva fornì quello che si potrebbe chiamare un ambiente «naturale» per lo studio dei nuovi enti che via via venivano costruiti dai matematici.
In questo ambito, e particolarmente nei riguardi dei problemi che nascono dalla definizione dei nuovi enti e dalle procedure di costruzione è da ricordarsi il nome di Luigi Cremona (1836- 1903); e per quanto riguarda i problemi logici legati alla definizione di iperspazio, oltre al nome di Giuseppe Veronese vanno menzionati i nomi di Corrado Segre (1863-1924) e di Eugenio Bertini (1846-1933).
Come si è detto, la teoria delle funzioni di variabile complessa fornisce il fondamento analitico delle costruzioni teoriche costituenti il corpo dottrinale di quella che viene chiamata «geometria algebrica».
È facile convincersi che già la rappresentazione intuitiva della funzione complessa di una sola variabile (cioè quella funzione che si definisce implicitamente con una sola equazione algebrica che lega due variabili complesse) non si ottiene in modo completamente soddisfacente con un disegno a una dimensione: quello, per intenderci che rappresenta una «curva» nel senso intuitivo del termine; e infatti già Riemann (Georg Friedrich Bernhard, 1836-1866) aveva costruito degli enti a due dimensioni per rappresentare le principali proprietà di questi oggetti: precisamente quelle che vengono designate come «superfici di Riemann», o brevemente «riemanniane».
[Immagine a sinistra: superficie di Riemann]
Tuttavia a questi enti viene dato tradizionalmente il nome di «curva»; probabilmente ciò testimonia la grande importanza che la fantasia creatrice riveste nella costruzione delle teorie scientifiche; anche delle teorie matematiche più astratte. Analoghe osservazioni si possono fare a proposito del nome di «superfici» dato tradizionalmente a certi oggetti di dimensione (complessa) superiore a uno.
Tra i principali rappresentanti della geometria algebrica italiana vanno ricordati: Corrado Segre, Guido Castelnuovo (1865- 1952), Federigo Enriques (1871-1946), Francesco Severi (1879-1961), Beniamino Segre (1903-1977), Oscar Chisini (1889-1967), Luigi Campedelli (1903-1978).
Alla scuola di Enriques si deve l’inizio della costruzione della «geometria sulla curva», con la costruzione metodica di proprietà tipiche di quelle funzioni complesse e invarianti rispetto a gruppi sempre più estesi di trasformazioni: trasformazioni proiettive degli spazi di immersione, trasformazioni birazionali tra spazi cosiffatti, trasformazioni birazionali tra gli oggetti geometrici. Sulle orme della impostazione di Enriques e della sua scuola la ricerca venne presto estesa alle varietà algebriche eventi un numero di dimensioni (complesse) maggiore di uno; in particolare si passò presto dalle curve alle superfici algebriche: Severi e la sua scuola estesero i concetti e le procedure iniziate da Enriques costruendo tra l’altro la teoria delle serie di equivalenza di punti sulle superfici algebriche.
In tutto questo fervore di ricerca e di scoperta la suola italiana conservò non soltanto il vocabolario geometrico, ma anche quella che si potrebbe chiamare la ispirazione, che parte dalla esperienza elementare e costruisce enti astratti e generali.

 

 

La geometria nella didattica della scuola secondaria

 

Abbiamo già accennato all’influenza delle immagini mentali sulla costruzione delle strutture matematiche.
Se ciò avviene per i matematici di professione è presumibile che possa avvenire per gli studenti ai quali si vuole conferire una formazione mentale che abitui alla concettualizzazione, alla simbolizzazione e alla deduzione rigorosa. A questo proposito mi sembra abbastanza significativo il fatto che la geometria sia sempre stata considerata uno dei capitoli fondamentali della scienza matematica, fin dai suoi inizi, cioè a partire dall’epoca in cui il pensiero greco costruì la geometria con procedure astratte, generali e rigorose.
Penso quindi che l’insegnamento della geometria razionale debba avere un posto importante nella formazione mentale dei giovani, perché questa dottrina può essere ritenuta una specie di «via regia» per formare nei giovani l’attitudine alla astrazione e alla deduzione ineccepibile.
Ciò vale anche per il fatto che nella geometria classica la deduzione viene condotta secondo le regole della logica verbale aristotelica, e quindi non richiede l’impiego del simbolismo algebrico e del calcolo: si può quindi utilizzare questa dottrina anche per la formazione mentale degli studenti che non intendono proseguire gli studi superiori nelle materia scientifiche, le quali richiedono quasi necessariamente l’impiego della matematica a un livello abbastanza alto.
Penso allora (e non sono il solo a farlo) che l’aver un poco diminuito, recentemente, l’importanza dell’insegnamento della geometria nelle nostre scuole non sia stato molto utile a rendere l’insegnamento scolastico un periodo formativo per l’uomo razionale e non soltanto un periodo di addestramento all’impiego delle tecniche prevalenti nella nostra società.

 

 

Carlo Felice Manara
(Professore Emerito di Geometria)

 

 

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© Pubblicato sul n° 12 di Emmeciquadro

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