Il tema dell’innovazione può entrare nella vita della scuola sotto due aspetti. Un primo aspetto è legato ai contenuti delle specifiche discipline, soggette a un incessante processo di riformulazione e di rinnovamento. Attraverso mutamenti graduali o a causa di eventi traumatici, non c’è disciplina che conservi per troppo tempo inalterato il proprio quadro concettuale e la struttura dei suoi contenuti.
Le scienze naturali, per esempio, non sono ancora uscite dallo sconvolgimento prodotto nel Novecento dalla relatività e dalla quantistica e già si trovano a fare i conti con i problemi del caos e della complessità; mentre, sul versante applicativo, si estende il fenomeno della miniaturizzazione che, dopo aver fatto la fortuna della microelettronica, si appresta a candidare le nanotecnologie a protagoniste assolute dello scenario industriale del XXI secolo.
Tuttavia, il valore e il guadagno conoscitivo di ogni nuovo passo si può comprendere a fondo solo a partire dalla piena consapevolezza della situazione precedente, quella cioè che ogni studioso eredita dalla tradizione. Comunicare la scienza significa allora anzitutto favorire nei giovani il costituirsi di tale consapevolezza e, al contempo, abituare la mente e lo sguardo ad aprirsi al nuovo.
Tutto ciò non rappresenta soltanto un utile suggerimento metodologico ma si riflette direttamente sulla costruzione dei programmi e sull’intero assetto dell’insegnamento a tutti i livelli di scuola.
Qui si inserisce il secondo aspetto del problema, quello dell’innovazione dei processi di insegnamento-apprendimento. Soprattutto su questo si sono versati in questi anni i maggiori quantitativi di inchiostro, con operazioni spesso approssimative e non di rado schematiche e ideologiche. Il pericolo, facilmente constatabile dai fruitori dei corsi di aggiornamento, è tuttora quello di contrabbandare per innovazione «qualunque» pratica didattica che sappia di «diverso» rispetto all’impostazione tradizionale (che è poi, casualmente, quella che ha formato nei licei italiani i molti «cervelli» andati a far fortuna all’estero…).
È un vero peccato che gli insegnanti conoscano così poco il mondo delle aziende; si accorgerebbero che lì innovazione è qualcosa di molto più serio. Non è semplicemente un indulgere alla «moda» del momento, non è avventuroso gusto della sperimentazione a tutti i costi, non è affrettato utilizzo delle nuove tecnologie multimediali; è invece il frutto di riflessioni approfondite, di verifiche continue, di severi controlli della proporzione tra risorse impiegate e obiettivi realmente conseguiti.
La riapertura del «pacchetto riforma» da parte del nuovo governo, può essere l’occasione per rimettere al centro del processo innovativo i reali bisogni educativi dei giovani e il desiderio dei docenti di ritrovare il gusto e lo slancio di una presenza propositiva.
Un insegnamento rinnovato delle scienze potrà derivare solo da una rilettura senza pregiudizi del cammino storico delle discipline; accompagnata da un ascolto attento e non ingenuo delle esigenze dei giovani che, sotto l’apparenza del disagio e del disimpegno, esprimono l’attesa di un incontro più vero e attraente con la realtà in tutte le sue manifestazioni.
Mario Gargantini
(Direttore della Rivista Emmeciquadro)
© Pubblicato sul n° 12 di Emmeciquadro