Alfred N. Whitehead
La Scienza e il Mondo Moderno
Bollati Boringhieri, Torino 1979
Pagine 237 – Euro 15,49
Whitehead, matematico e filosofo, pubblica questo libro nel 1925, riprendendo e collegando in un quadro unitario una serie di sue conferenze. La riflessione filosofica dell’autore può coprire un vasto arco di tematiche ancora attuale.
Il libro è avvincente, ma complesso: lo sviluppo della scienza viene rivisitato con lo sguardo rivolto al contesto culturale, filosofico religioso in cui si svolge. Ciò implica una visione più ampia di un approccio epistemologico alla scienza: nell’opera non è in gioco lo statuto della conoscenza scientifica, quanto più in generale il problema della conoscenza della realtà.
Una parte dei capitoli ha uno sviluppo storico, si prendono in esame gli inizi della scienza, lo sviluppo del meccanicismo materialista, la sua crisi. Nel capitolo che riguarda le radici della rivoluzione scientifica, è particolarmente rilevante l’importanza che l’autore attribuisce all’esperienza medioevale, sottolineando come propria di questo periodo «la fede inespugnabile che ogni evento particolare può essere correlato, in modo perfettamente definito, ai suoi antecedenti e fungere da esempio di principi generali » Di conseguenza: «La mia tesi è che la fede nella possibilità della scienza, nata prima dello sviluppo della teoria scientifica moderna, è un derivato inconsapevole della teologia medievale.»
Nei capitoli successivi si sottolinea la rottura antirazionalistica che la scienza ha operato, contrapponendosi alla mentalità deduttiva degli scolastici. Se ne esaminano quindi le conseguenze: rifiuto di principi primi, materialismo, e quindi rottura insanabile dell’unità di analisi di un evento.
La preoccupazione dell’autore è quella di mostrare come questa scelta opera una riduzione della realtà entro schemi, che proprio perché sottratti a una critica filosofica, non sono in grado di avvertire i propri limiti.
Tali limiti non sono solo interni al processo scientifico (a smascherarli dall’interno della scienza ci penserà la vicenda che dal concetto di campo arriverà alla relatività e alla quantistica), ma limiti a uno sguardo conoscitivo sulla realtà: di qui per esempio la reazione della cultura del periodo romantico.
Dal punto di vista più specificamente conoscitivo, nell’analisi degli sviluppi del XIX secolo Whitehead mostra intuizioni affascinanti, alla luce della odierna problematica della complessità: per esempio, l’importanza del concetto di «organismo» come unità non divisibile, non trattabile in modo riduzionistico.
Nella seconda parte viene analizzata l’evoluzione storica dei rapporti storia-filosofia nel mondo moderno: in particolare la progressiva riduzione dell’ambito filosofico. La filosofia «ha perduto la sua tipica funzione di critica costante delle formulazioni parziali. In conseguenza della sua espulsione, da parte della scienza, dalla sfera obiettivista della materia, si è ritirata nella sfera soggettivistica della mente.» La filosofia, nell’interesse stesso della scienza deve invece recuperare la sua funzione critica.
Nei capitoli finali l’autore sottolinea la necessità di ritrovare, in una nuova sintesi culturale, una visione complessiva della realtà: questa visione non può essere fornita da un singolo strumento razionale, quello della scienza o quello della filosofia, per esempio, ma nel riconoscimento di un unità profonda della realtà, che scaturisce, come la sua stessa razionalità, da un oltre: Dio.
Questa conclusione di tipo religioso non viene sviluppata in un sistema di pensiero organico e in sé chiuso: il fascino dell’autore è proprio quello di fornire una serie di riflessioni aperte a possibili sviluppi, è una miniera di stimoli.
Un’opera che va forse riletta più volte. La complessità dei temi trattati permette più tagli prospettici di lettura, magari a partire da un interesse particolare a cui rispondono in modo più immediato alcune parti dell’opera.
Recensione di Lorenzo Mazzoni
(Redazione Emmeciquadro)
© Pubblicato sul n° 12 di Emmeciquadro