Ci sono momenti della storia, come quello che stiamo vivendo, nei quali certe parole assumono un rilievo particolare e si caricano di valenze prima trascurate o sottaciute. La tragedia dell’11 Settembre e le notizie provenienti dal fronte delle bioscienze, convergono nel portare sul banco degli imputati la parola progresso; un sostantivo al quale l’immaginario collettivo facilmente associa gli aggettivi scientifico e tecnologico.
Nei suoi confronti l’atteggiamento dell’uomo contemporaneo è stato segnato, soprattutto nella seconda metà del Novecento, da una profonda ambivalenza e da un alternarsi di posizioni. All’esaltazione per le conquiste, peraltro innegabili, in tutti i campi del sapere scientifico e in tutti i possibili domini applicativi, hanno fatto da contraltare la delusione per le promesse mancate e la paura per le imprevedibili conseguenze catastrofiche di alcune innovazioni.
Queste due visioni non sono solo oggetto di confronto e scontro tra opposte fazioni ideologiche ma coabitano, poco o tanto, in ciascuno di noi. È una delle manifestazioni di quello smarrimento del soggetto, che è stato il tratto distintivo del XX secolo e che si è tradotto, nell’esperienza quotidiana, in una difficoltà a trovare punti fermi e in una fragilità del singolo di fronte a ogni situazione problematica.
Nel nuovo scenario che si sta delineando, c’è bisogno più che mai di fermezza e chiarezza di prospettiva: bisogna, per esempio, riconoscere senza tentennamenti la fondamentale radice positiva della pratica tecnica come espressione tipica dell’uomo, del suo desiderio di interagire con tutta la realtà, della sua coscienza di avere il compito di trasformarla.
Ma la difesa del progresso non deve essere ingenua e acritica.
Ecco allora l’importanza dell’altro termine del binomio indicato nel titolo. L’ancoraggio alla tradizione è sempre stata la condizione necessaria per ogni avanzamento conoscitivo e ha costituito l’humus sul quale sono sbocciate le idee che hanno scandito le tappe del progresso tecnologico. Lo documenta tutta la storia della scienza e della tecnica e alcuni contributi presentati in questo numero ne offrono una significativa testimonianza: anche ricerche di frontiera, come quelle sviluppate nell’ambito del Progetto Genoma o quelle di Informatica Linguistica, hanno preso le mosse da molto lontano e continuamente si alimentano dalla rivisitazione dei problemi, dei tentativi, delle congetture e dei risultati conseguiti quando neppure esistevano le parole genoma e informatica.
La capacità di valorizzare le radici di ogni cultura e di ogni disciplina non si impone spontaneamente e non si dà una volta per tutte: va coltivata, va proposta in modo intelligente e stimolante, va corretta per evitare i rischi di trasposizioni semplicistiche e di involuzioni nostalgiche e sentimentali.
C’è quindi bisogno di luoghi dove imparare a coniugare «progresso con tradizione».
La scuola è ambito privilegiato per tale coniugazione e c’è da augurarsi che il processo di riforma messo in moto dagli Stati Generali convocati dal Ministro Moratti non si limiti agli aspetti di «architettura» del «sistema – istruzione» ma agisca più in profondità, toccando i livelli in cui sono in gioco le strutture portanti della persona.
Mario Gargantini
(Direttore della Rivista Emmmeciquadro)
© Pubblicato sul n° 13 di Emmeciquadro