Alla domanda se ai giovani dei nostri giorni manchino occasioni per incontrare la scienza, la risposta sembra essere negativa. Si stanno infatti moltiplicando i media dedicati alle scienze e ormai nel corredo culturale di ogni studente non mancano, oltre alle tradizionali enciclopedie e volumi illustrati, serie complete di video-documentari, cd-rom magari trovati come gadget in qualche settimanale, raccolte annuali di patinate riviste a carattere scientifico, abbonamenti a canali satellitari tematici (tipo Discovery Channel). Non è raro incontrare genitori che, volendo sottolineare il positivo rapporto del figlio con la TV, dichiarino «non si perde una puntata di Quark o de La Macchina del tempo».
L’interrogativo più interessante tuttavia non riguarda la quantità di informazione scientifica che entra nelle nostre case; riguarda piuttosto la qualità e, ancor più profondamente, il reale apporto conoscitivo che ne deriva per chi fruisce di tali informazioni. Insomma, per fare un cammino conoscitivo all’interno del sapere scientifico, basta assistere a documentari costruiti (prevalentemente all’estero) secondo i canoni della comunicazione-spettacolo? O leggere, ma sarebbe meglio dire sfogliare, riviste ben illustrate dove i contenuti sono sempre più ridotti all’osso? Oppure navigare tra le pagine web lasciandosi catturare dall’originalità e curiosità delle notizie (ormai dispensate in pillole)? Forse nessun insegnante è disposto, in sede teorica, a sottoscrivere simili posizioni. Succede però che nella pratica didattica di molte scuole ci si stia sintonizzando su una lunghezza d’onda del tutto simile a quella della cosiddetta divulgazione, mutuando dai media idee e forme comunicative. Pur senza dichiararlo, il ruolo del docente tende sempre più a modellarsi su quello dell’anchorman televisivo; i suoi problemi sono simili a quelli del regista o del programmatore TV: attirare l’attenzione dei ragazzi, essere sempre aggiornati, concentrarsi sull’ultima notizia, magari senza preoccuparsi di distinguere se si tratta di un’ipotesi, di una teoria provata o di un semplice indizio.
È una visione riduttiva della comunicazione scientifica, che diventa deleteria se applicata in ambito educativo. Una visione il cui diffondersi, peraltro, non sorprende più di tanto, in un clima culturale dominato da una progressiva sottovalutazione dei contenuti, da una genericità di giudizi, da una superficialità frettolosa.
Reagire a tale tendenza significa invece mettere a tema con forza la questione del conoscere: come desiderio di incontro pieno con la realtà, come processo che richiede l’obbedienza a un metodo, come esperienza che non può fare a meno del coinvolgimento nel rapporto maestro-discepolo. Se è per arricchire e facilitare dinamiche di questo tipo, ben vengano anche le immagini spettacolari, le simulazioni tridimensionali, le informazioni in tempo reale.
Le testimonianze di scienziati comunicatori presentate in diversi contributi di questo numero documentano la possibilità di suscitare interesse e fascino senza dover censurare nessuno dei momenti costitutivi della ricerca scientifica; mentre le esperienze didattiche in matematica, chimica e biologia descritte nella sezione Scienz@Scuola mostrano gli stessi criteri e la medesima passione conoscitiva all’opera nell’insegnamento.



Mario Gargantini
(Direttore della Rivista Emmeciquadro)

© Pubblicato sul n° 14 di Emmeciquadro


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