Il significato delle parole nel linguaggio ordinario ha una certa ambiguità, che viene normalmente risolta dal contesto. Tuttavia, una perdita di sensibilità per i significati porta spesso dall’ambiguità a un uso improprio delle parole, talora intenzionale come nel linguaggio pubblicitario. Questo disinvolto comportamento linguistico coinvolge anche le parole della scienza, dove il problema dell’esatto significato in un preciso contesto è cruciale. L’autore inizia in questo numero una serie di contributi volti a ricuperare la correttezza nell’uso del linguaggio scientifico, condizione necessaria per fare scienza, comunicarne i risultati e, ancora di più, insegnarla.



Questa nota vuol essere la prima di una serie dedicata alle parole della scienza. Vedremo l’origine e, per quanto possibile, l’esatto significato di termini come energia, sistema, organizzazione, evoluzione, sostanza, processo, e altri.
Ma perché fare una specie di dizionario scientifico?
La risposta è che da qualche tempo le definizioni che si trasmettono da un libro all’altro si affidano sempre più al cosiddetto senso comune, che spesso non è innato, ma è determinato dalle mode culturali. Si tratta perciò di definizioni fluide che pian piano perdono il contatto con quella precisione di termini che non solo è condizione necessaria del fare scienza, ma, secondo un ammonimento antichissimo che alcuni attribuiscono a Confucio, è indispensabile per il retto pensare e per l’agire secondo prudenza e giustizia.
Questa considerazione richiama l’attenzione sul fatto che chi insegna scienze nelle scuole primarie e secondarie ha oggi una responsabilità culturale e formativa di primo piano.
Parlare di ecologia e di salute non dovrebbe essere un modo di sentirsi a posto: la formazione degli allievi si gioca molto più sul campo dell’abitudine a porsi le domande chiave: «che cos’è veramente?», «com’è veramente?», «perché è così?», «perché si dà questa spiegazione?». Se non viene premesso questo modo di avvicinarsi ai problemi, parlare di ambiente e di natura rischia di preparare altri schiavi dei mezzi di comunicazione di massa.
Per chiarire meglio questa questione preliminare, consideriamo quello che sta accadendo alla lingua italiana di tutti i giorni. Negli uffici postali il termine «servizi postali» è stato sostituito da «prodotti postali»; nei treni si offrono i rinfreschi non ai passeggeri, ma alla «clientela»; la pedagogia più à la page non prepara allievi con conoscenze essenziali di scienze che li mettono in grado di descrivere un ambiente naturale, ma allievi competenti nelle scienze tanto da avere l’abilità di descrivere un ambiente naturale come se avessero un’idea di che cos’è: miracoli appunto della moderna pedagogia.
La perdita di sensibilità ai significati delle parole, rivelata da incaute traduzioni di termini inglesi, è testimoniata anche da certe scritte luminose della stazione Termini di Roma, ove «partenze in giornata» è stato tradotto con daily departures; si direbbe che il traduttore, non avendo trovato sul dizionario «in giornata », abbia pensato che «quotidiano» fosse la stessa cosa. [Immagine a sinistra: La Stazione Termini nella Pianta Monumentale di Roma per il Grande Giubileo dell’Anno Duemila (tavola 6), Biblioteca Apostolica, Città del Vaticano]
Chi ha viaggiato nei paesi di lingua inglese sa che avrebbe dovuto scrivere same-day departures.
Tornando all’italiano, ribadiamo che l’innovazione linguistica delle poste e delle ferrovie non è la banale introduzione di un neologismo, fenomeno che va frenato ma è normale nelle lingue vive. Non è un neologismo: è l’uso di un termine improprio per ansia di novità. I prodotti sono cose, i servizi sono operazioni: il francobollo è un prodotto, l’accettazione di una raccomandata è un servizio. Lo stesso vale per la «clientela» delle ferrovie. I passeggeri sono le persone che viaggiano; i clienti sono quelli che acquistano titoli di viaggio; e non sono la stessa cosa; basti pensare a un’organizzazione turistica o a un padre che compra biglietti per i figli minorenni.
Si è tentati di rispondere a queste osservazioni che «la gente capisce lo stesso». Effettivamente, in certi casi, a differenza dei contesti scientifici, l’uso di un termine improprio non ha conseguenze immediate. Purtroppo, però, alla lunga contribuisce a fare in modo che la gente (persone colte comprese) non si accorga più delle incoerenze o contraddizioni che ci sono in un certo discorso. Questo è utilissimo ai politici di basso profilo e ai pubblicitari; ma l’aspetto più preoccupante è l’uso da parte dei formatori d’opinione al servizio di certe ideologie. I formatori d’opinione sono spesso persone intelligenti e preparate, e quindi sanno bene quello che fanno quando per esempio cercano di far accettare come normali comportamenti abnormi, o cercano di eliminare le distinzioni fra i sentimenti più nobili e gli istinti che in qualche misura a essi somigliano.



Per questi fini si servono di libri, giornali, film e televisione soprattutto per moltiplicare gli usi di certe parole, così da eliminare distinzioni che vanno contro gli ideali di trasgressione e di abolizione dei tabù. Qualche volta succede che sbaglino il tiro, come quando sono stati costretti a dire «genere femminile» per indicare il sesso femminile, dato che avevano utilizzato la parola «sesso» nella loro guerra vittoriosa contro il pudore, ma non volevano offendere le femministe.
Insomma, continuando con l’uso approssimativo dei termini, alla lunga si distruggono la democrazia e la morale. Lo scrisse chiaramente tanti anni fa George Orwell, che pure era di fede comunista, nella mirabile appendice al suo libro 1984, in cui faceva vedere come il feroce regime del Grande Fratello curasse particolarmente la scelta delle parole. In altri termini: poter dire, quando è necessario, «pane» al pane e «vino» al vino è condizione di dignità e di libertà dell’uomo; e quando una lingua dispone solo di parole ambigue che non permettono di far differenza fra il pane e il vino questa condizione non è più rispettata. Ecco perché, lavorando su un terreno ideologicamente neutro come i concetti fondamentali della scienza, l’insegnante di scienze ha il compito primario di svolgere un’opera preziosa di formazione. Tanto più che sembra improbabile un recupero degli strumenti tradizionali, come lo studio del latino, a meno che la nazione più potente del mondo non esprima un nuovo Carlo Magno.(1) Per ora, non ci sono indizi che ciò possa avvenire.
Nell’ambito strettamente scientifico l’esigenza di curare la terminologia si pone anche perché certi termini sono divenuti correnti persino fra i bambini di sei anni.
I Pokémon che si caricano di energia sono personaggi familiari al mondo dell’infanzia, e l’energia viene associata a fiamme o scariche elettriche, dunque a fenomeni che sono effettivamente oggetto della scienza. Ma quello che i bambini chiamano energia è veramente quello che chiamiamo energia nel mondo scientifico? O ha qualcosa a che fare con la forza?
Proprio a proposito di energia e forza si può dare un esempio illustre delle conseguenze di una mancata attenzione al preciso significato di una parola.
Come raccontava il grande chimico-fisico tedesco Wilhelm Ostwald (1853-1932), quel genio che fu Michael Faraday mancò di poco la scoperta del principio di conservazione dell’energia perché a quell’epoca (parliamo della metà dell’Ottocento) i termini forza ed energia si confondevano nel linguaggio scientifico, anche se chi li aveva introdotti aveva seguito una distinzione fatta esplicitamente da Aristotele. Faraday capì che c’era qualcosa che si conservava, ma pensò all’esempio delle forze elettrostatiche, e questo gli impedì di rendersi conto che è l’energia che si conserva, non la forza.
Un altro genere di difficoltà si ha quando le definizioni date sono valide ma non sono inserite nel giusto contesto. Esempio semplicissimo è la definizione di molecola. Sembrerebbe del tutto accettabile che si definisca la molecola come un edificio di atomi disposti più o meno rigidamente a formare una certa struttura; ma, domandiamo, si è tenuto conto che in questo modo si presuppone che si abbia familiarità con il livello submicroscopico della materia e si sappia che cos’è un atomo?
In realtà una definizione del genere è antiscientifica, perché parte da dogmi anziché da quelle che Galileo buon’anima chiamava le «sensate esperienze». Una molecola va definita come «la particella più piccola di un corpo che rimane immutata nelle trasformazioni fisiche ». Naturalmente, bisogna sapere prima cosa s’intende per «corpo» e per «trasformazione fisica», ma siamo ancora a livello di esperienza ordinaria, e non stiamo introducendo concetti che in un discorso scientifico vengono dopo le molecole. Si noti anche che non abbiamo nemmeno usato la parola «sostanza», e abbiamo detto «corpo», come si diceva tempo fa. Questo perché il concetto di sostanza (chimica) non è indispensabile, anche se sarebbe lecito introdurlo prima di parlare di molecole.
Con quest’esempio particolare abbiamo terminato questa nota d’introduzione.
I concetti di cui vorremmo parlare in altre note sono moltissimi. Ne citiamo alcuni alla rinfusa: moto, energia, ordine, causa, caso, sistema, equilibrio, organismo, vita, sviluppo, evoluzione, ambiente, e chi più ne ha più ne metta.
Cominceremo con il moto, ma poi dovremo scegliere l’ordine in base ai concetti che ogni nota dovrà mettere in discussione: come tutti sanno, non si può definire qualcosa senza riferirsi ad altri concetti, e d’altra parte è difficile dire quali siano questi ultimi finché non si è formulata nel modo più esplicito la definizione cercata.
Valga come esempio la scelta del termine «corpo» anziché «sostanza », cui abbiamo accennato a proposito di molecole.



 

 

 

Giuseppe Del Re
(Ordinario di Chimica Teorica presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”)

 

 

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Note

  1. Come si sa, il grande imperatore franco, incaricò Alcuino di York e i monaci irlandesi di riportare la cultura e la lingua latina in Europa, mettendo le premesse per il rigoglio culturale del tardo medioevo.

 

 

 

 

 

© Pubblicato sul n° 16 di Emmeciquadro