contributions
to astrophysics, which
have led to the
discovery of cosmic
X-ray sources”
Il premio Nobel per la fisica 2002 è stato assegnato per metà a Riccardo Giacconi «per contributi pionieristici all’astrofisica, che hanno portato alla scoperta delle sorgenti cosmiche di raggi X» e per la restante metà, diviso in parti uguali tra Raymond Davis Junior e Masatoshi Koshiba «per contributi pionieristici all’astrofisica, in particolare per la rivelazione dei neutrini cosmici».
Ancora una volta quindi il massimo riconoscimento per la fisica è andato all’astrofisica. Senza sminuire l’importanza del lavoro svolto da Davis e Koshiba, qui c’interessa concentrarsi su Giacconi per motivi che saranno imediatamente evidenti.
Riccardo Giacconi, d’origini genovesi, si è formato a Milano dove, negli anni Cinquanta, ha iniziato la sua attività di ricerca presso l’Istituto di Fisica dell’Università degli Studi, caratterizzato allora dalla presenza di personalità come Giuseppe Occhialini e Giovanni Polvani.
[A sinistra: Riccardo Giacconi (1931- ) – Nato a Genova (Italia), lavora presso la Associated Universities Inc. a Washington DC (USA)]
A metà degli anni Cinquanta, come molti giovani fisici, partì per gli Stati Uniti: dopo brevi periodi all’Università dell’Indiana e a Princeton, si unì al gruppo di Bruno Rossi, già da qualche tempo negli Stati Uniti e riconosciuta autorità nel campo della fisica dei raggi cosmici e della fisica delle alte energie di raggi cosmici.
È questo il vero inizio della sua avventura perché, spinto da Rossi, Giacconi entra a far parte dell’American Science and Engineering, una società privata di ricerca, con sede a Cambridge, creata allo scopo di condurre ricerca con fondi federali e in questa sede organizza un’attività in campo spaziale.
È qui che, con l’aiuto del gruppo di Rossi, è ideato e realizzato un esperimento mirato a rivelare l’emissione di raggi X dal Sole. Proprio utilizzando tale strumento montato su un razzo, nel 1962, il gruppo guidato da Giacconi scopre la prima sorgente extrasolare di raggi X. Nel 1963 poi lo stesso gruppo progetta e realizza un vero e proprio telescopio sensibile ai raggi X con cui si ottiene la prima foto a raggi X del Sole. Entusiasmati da questi risultati Giacconi e collaboratori pensano allora a un telescopio per osservazioni sistematiche della volta celeste a raggi X, montato su un satellite della serie Explorer.
È così che, in pochi anni, viene studiato, sviluppato e realizzato un telescopio spaziale per raggi X. Messo in orbita nel 1970 con un lancio effettuato dalla base italiana San Marco, al largo del Kenia e per questa chiamato Uhuru (libertà in lingua swahili) questo strumento realizza la prima mappa a raggi X della volta celeste, aprendo dopo l’astronomia ottica e la radioastronomia, la nuova branca dell’astronomia a raggi X. Nel 1978 segue il lancio di un nuovo e più raffinato telescopio a raggi X, soprannominato Einstein, realizzato dallo stesso gruppo.
Giacconi, nel frattempo divenuto cittadino americano e passato, nel 1973, a Harvard al Center for Astrophysics (CfA), è ormai un punto di riferimento nel campo dell’astronomia X e dell’astrofisica in generale. Nel 1981, nominato Direttore dello Space Telescope Institute e divenuto membro della John Hopkins University, è il centro motore di un agguerritissimo gruppo di giovani e meno giovani ricercatori che conducono osservazioni astrofisiche con le più complicate apparecchiature e ne sviluppano di sempre nuove e più avanzate: tra i successi di questo gruppo memorabile resta la riparazione in orbita dello Space Telescope.
[A destra: Raymond Davis Jr. (1914- ) – Statunitense, lavora presso la University of Pennsylvania a Philadelphia (USA)]
Due anni dopo, pur mantenendo la sua posizione a Milano, è nominato Direttore dell’European Southern Observatory (ESO) dove rimane fino al 1999 dando impulso al completamento dei grandi telescopi ottici realizzati dall’ESO sulle Ande cilene, in particolare la schiera di quattro telescopi da 8 metri di diametro, noti come VLT, che rivaleggiano, nel raggiungimento di risultati, con lo Space Telescope.
[A sinistra: Masatoshi Koshiba (1926- ) – Giapponese, lavora presso la University of Tokyo, (Giappone)]
In questa posizione Giacconi, ora settantunenne, continua a occuparsi d’astrofisica. Ciò che ha sempre caratterizzato la sua attività è la capacità di cogliere i «punti caldi» dell’astrofisica, di ideare la strumentazione necessaria a risolverli, sviluppando di solito nuove tecnologie e partecipando poi in prima persona sia alle osservazioni sia all’interpretazione dei risultati.
Tutto ciò viene realizzato appoggiandosi a gruppi entusiasti di ricercatori in grado di portare avanti ricerche nei campi più diversi, dall’astrofisica teorica, all’osservazione, alla riduzione dell’immensa mole di dati forniti dagli strumenti spaziali, allo sviluppo di nuove sofisticate tecnologie. E tra questi giovani e meno giovani collaboratori numerosi sono sempre stati gli italiani.
Il premio a Giacconi quindi, oltre che un riconoscimento alla persona, è anche un riconoscimento a chi ha dato lo spunto iniziale da cui è partita la sua attività, in primis Bruno Rossi, e al numeroso gruppo di persone che con lui hanno lavorato e senza le quali le grandi imprese portate a termine non sarebbero state possibili.
Giorgio Sironi
(Professore Ordinario di Radioastronomia presso l’Università degli Studi di Milano – Bicocca)
© Pubblicato sul n° 16 di Emmeciquadro