“for their discoveries
concerning genetic
regulation of organ
development and
programmed
cell death”

Assegnato a Sydney Brenner, Robert Horvitz e John E. Sulston, in parti uguali, il premio Nobel per la medicina e la fisiologia premia le loro scoperte sulla «regolazione genica dello sviluppo degli organi e della morte cellulare programmata».
Identificare i geni chiave di questi processi e dimostrarne l’esistenza anche nelle specie superiori, compreso l’uomo, ha aperto la strada a nuove ricerche sulla patogenesi di molte malattie.
Durante lo sviluppo embrionale, a partire dallo zigote, le cellule si moltiplicano, si differenziano e si specializzano formando tessuti e organi diversi che, nell’individuo adulto, devono operare in modo coordinato. Tale percorso di differenziazione, che genera una discendenza cellulare, è un percorso obbligato e geneticamente controllato. E se uno sviluppo embrionale corretto (per esempio la formazione degli arti) implica il «suicidio» di molte cellule, la morte cellulare programmata è importante anche nell’adulto: per esempio, nell’uomo adulto si generano ogni giorno mille miliardi di nuove cellule, e ne muore un uguale numero.
In modo significativo, tutti gli scienziati premiati, hanno utilizzato come modello sperimentale Caenorhabditis elegans, un piccolo nematode lungo circa 1 mm, che cresce facilmente in laboratorio ed è talmente trasparente che si possono seguire al microscopio tutte le tappe del suo sviluppo embrionale e ricostruire la genealogia completa di ciascuna delle 959 cellule che compongono il verme adulto; 131 delle 1090 cellule totali che si formano dallo zigote muoiono durante lo sviluppo e la loro morte è controllata da un’unica serie di geni.



Sydney Brenner, fu il primo, all’inizio degli anni Sessanta, a Cambridge, in Inghilterra, a comprendere che le questioni fondamentali sulla differenziazione cellulare e lo sviluppo degli organi erano difficili da studiare negli animali superiori e a lavorare con C. elegans.
In una pubblicazione del 1974 dimostrò che nel genoma del nematode poteva essere indotta una mutazione specifica e identificò gli effetti sullo sviluppo degli organi, provocati da mutazioni diverse, correlate a geni specifici.
[A sinistra: Sydney Brenner (1927- ) – Inglese, nato nella Unione del Sud Africa, lavora presso The Molecular Sciences Institute di Berkeley (USA)]
Proprio questa combinazione di analisi genetica e di osservazione delle divisioni cellulari al microscopio aprì la strada alle scoperte premiate quest’anno con il Nobel.
Sempre a Cambridge, John E. Sulston ampliò le ricerche di Brenner su C. elegans e sviluppò tecniche per studiare tutte le divisioni cellulari del nematode, a partire dallo zigote.
In una pubblicazione del 1976, egli descrisse la discendenza cellulare di una parte dello sviluppo del sistema nervoso. E ne dimostrò la rigida programmazione: ogni nematode segue esattamente lo stesso programma di divisione e differenziazione cellulare e la morte cellulare programmata di cellule specifiche è parte essenziale della normale differenziazione.
Così venne identificata la prima mutazione del gene nuc-1 e si dimostrò che la proteina codificata da nuc-1 è necessaria per la degradazione del DNA delle cellule morte.
[A destra: John E. Sulston (1942- ) – Inglese, lavora presso The Wellcome Trust Sanger Institute di Cambridge, (Inghilterra)]
Lo statunitense H. Robert Horvitz continuò il lavoro di Brenner e di Sulston. In una serie di eleganti esperimenti cominciati negli anni Settanta, Horvitz cercò di identificare l’esistenza di un programma genetico che controllasse la morte cellulare. In una pubblicazione pionieristica del 1986 comunicò la scoperta dei primi due «geni della morte» in C. elegans: ced-3 e ced-4.
In seguito egli dimostrò che un altro gene, ced-9 protegge dalla morte cellulare interagendo con ced-4 e ced-3 e identificò numerosi geni che dirigono l’eliminazione delle cellule morte. Grazie alle sue ricerche ora sappiamo che geni corrispondenti a ced-3, ced-4 e ced-9 esistono anche nel genoma umano e agiscono con gli stessi meccanismi per provocare la morte cellulare programmata di cellule specifiche.
Queste scoperte si sono rivelate importanti per discipline che hanno come scopo il miglioramento della vita umana: infatti, per la medicina è importante comprendere l’origine di perturbazioni in questo tipo di processi che sono fondamentali per mantenere l’equilibrio complessivo dell’organismo.
[A sinistra: H. Robert Horvitz (1947- ) – Statunitense, lavora presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT) a Cambridge (USA)]
Per esempio, oggi si sono meglio compresi i meccanismi con cui alcuni virus e batteri invadono le nostre cellule. Si sono aperte nuove prospettive per spiegare come mai, nell’AIDS, nelle patologie degenerative e in infarti miocardici le cellule subiscono una eccessiva morte cellulare, mentre in altre patologie come le sindromi autoimmuni e il cancro, caratterizzate da una riduzione della morte cellulare, si verifica la sopravvivenza di cellule destinate a morire.
E il futuro potrebbe vedere una nuova sfida nella lotta contro il cancro: la realizzazione di strategie terapeutiche basate sulla stimolazione del «programma di suicidio cellulare» per distruggere le cellule che proliferano sfuggendo a ogni controllo.



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Maria Cristina Speciani
(Caporedattore di Emmeciquadro, già Docente di Scienze Naturali nei Licei)

© Pubblicato sul n° 16 di Emmeciquadro


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