Una testimonianza del grande chimico, pubblicata per la prima volta in Francia su Science et societé nel 1972. Si tratta di una appassionata difesa del ruolo della scienza e della tecnologia nello sviluppo della civiltà; qualche enfasi forse può sembrare eccessiva, ma è motivata dalla reazione a un diffuso atteggiamento fortemente critico nei confronti dello sviluppo tecnologico nella società di quegli anni. La seconda parte dell’articolo contiene una riflessione sulla figura dello scienziato, che rischia di trasformarsi in un «tecnico» della ricerca specialistica: solo ampliando lo sguardo dai confini di un settore specifico è possibile recuperare il fascino di un’avventura conoscitiva.



Mi si chiede di esprimere il mio punto di vista circa le «relazioni tra scienza e società”. Credo di poterlo fare in gran parte rispondendo a due domande, più o meno le seguenti: qual è il rapporto tra la ricerca scientifica e la storia del progresso umano? Che cosa rappresenta lo scienziato nel complesso delle attività umane?



Credo che la storia dell’umanità sia essenzialmente quella dell’evoluzione scientifica. D’altra parte, la storia non è forse divisa in periodi che corrispondono a diverse scoperte scientifiche? Per esempio, l’età della pietra, l’età del bronzo e l’età del ferro sono grandi epoche della storia alle quali sono stati dati i nomi delle invenzioni che le hanno segnate.
Gli avvenimenti umani ai quali gli storici si riferiscono, cioè l’avvicendarsi di forme di organizzazione sociale, le guerre, l’ascesa e il declino dei popoli sono importanti se li si considera in relazione a un periodo storico piuttosto breve, ma divengono irrilevanti se considerati in una prospettiva più lunga. [Immagine a sinistra: l’attuale medaglia del premio Nobel per la Fisica e la Chimica]
Dalle epoche più remote dell’umanità, la storia non ci porta la memoria delle vicissitudini delle diverse tribù, ma quella della loro capacità produttiva e della loro progressiva conoscenza dei metalli: la loro evoluzione tecnica e scientifica.
Abbiamo spesso la tendenza a considerare l’evoluzione scientifica come il risultato di determinate situazioni politiche e sociali. Ciò è possibile, ma è più frequente il contrario. Non è dunque stata la Rivoluzione francese a far passare l’Europa dallo stadio agricolo a quello industriale, aprendo la strada al grande sviluppo tecnologico e scientifico che noi conosciamo da duecento anni; sono state le scoperte scientifiche dei secoli precedenti che, creando nuovi tipi di attività e, conseguentemente, nuove classi di artigiani e industriali, hanno provocato la caduta degli antichi feudatari, il cui potere poggiava sulla proprietà agricola.
Naturalmente, la scienza, come ogni attività umana, subisce profondamente l’influenza delle condizioni politiche della società in cui opera, soprattutto per la scelta degli obiettivi immediati, ma generalmente i risultati che ottiene oltrepassano di gran lunga gli obiettivi iniziali. Così, in Germania, al tempo della Prima Guerra Mondiale, il blocco marittimo inglese rendeva molto difficile l’approvvigionamento di nitrato, materia prima indispensabile per la fabbricazione di acido nitrico e di esplosivo.
I tedeschi diedero quindi un grande impulso alle ricerche sulla sintesi dell’ammoniaca da azoto e idrogeno, la cui ossidazione doveva produrre acido nitrico; le ricerche furono coronate da successo e portarono ai risultati desiderati, cioè alla possibilità di fabbricare esplosivi senza dover importare i nitrati. [Immagine a destra: Il primo impianto sperimentale per la produzione dell’ammoniaca sintetica con il metodo Fauser (Novara, Stabilimento Montecatini, 1923)]
Tuttavia, la sintesi dell’ammoniaca ha avuto conseguenze molto diverse e importanti. L’ammoniaca e i suoi derivati sono infatti gli elementi costitutivi della maggior parte dei concimi chimici, che hanno fatto fare immensi progressi alla produzione agricola, grazie ai quali una stessa superficie I di terra può nutrire una popolazione più numerosa. Oggi, la quantità di ammoniaca utilizzata a fini militari è irrilevante rispetto a quella impiegata in agricoltura.
L’energia nucleare è un’altra scoperta scientifica finalizzata originariamente a scopi militari, ma che sicuramente lascerà il proprio nome all’epoca storica di cui stiamo vivendo il sorgere. Ecco un altro esempio del modo in cui la scoperta di una nuova risorsa e lo studio delle possibilità di sfruttarla aprono una nuova era nella storia dell’umanità.
Attualmente la nostra civiltà è basata sullo sfruttamento del petrolio, che ci fornisce energia, materie plastiche, fibre tessili, alimenti e la quasi totalità di materie prime utilizzate per le sintesi organiche. L’energia nucleare sta gradualmente sostituendo il petrolio come fonte di energia e, probabilmente, lascerà ad esso solo il suo impiego più nobile, come fonte di prodotti organici per [a fabbricazione di materie chimiche, tessili e alimentari. Questa evoluzione permetterà un nuovo aumento della popolazione mondiale senza che per questo diminuiscano i mezzi a disposizione di ogni individuo. Non so come questa popolazione si organizzerà socialmente, ma i mutamenti sociali saranno certamente determinati dalle nuove situazioni conseguenti allo sviluppo scientifico e tecnico.
Questa influenza fondamentale della scienza sulla storia umana è spesso ritenuta negativa.



Si pensi, per esempio, all’inquinamento, problema molto attuale e ampiamente dibattuto; esso è dovuto all’accumulo di rifiuti solidi, liquidi e gassosi e risulta, indirettamente, dal progresso scientifico e, più direttamente, dall’aumento della popolazione e dal miglioramento della qualità della vita. Per comprendere questo fenomeno, è necessario ricordare che il mondo è un insieme di esseri viventi (animali, piante, microorganismi, eccetera) che vivono gli uni dei rifiuti degli altri.
Consideriamo, per esempio, che i vegetali hanno bisogno di anidride carbonica, che noi e gli animali eliminiamo con la respirazione; a nostra volta, noi ci nutriamo di vegetali e animali erbivori: ecco un ciclo molto breve, ma ve ne sono di più lunghi e più complessi. [Immagine a sinistra: Giulio Natta]
Nel secolo scorso si sono verificati fatti nuovi: gli uomini sono divenuti più numerosi e ognuno di loro consuma molto di più. Per esempio, una persona che si sposta in automobile e vive in una casa riscaldata produce, bruciando combustibile, una quantità di anidride carbonica decisamente superiore a quella eliminata dalla respirazione; all’occorrenza, questa anidride è assimilata dalle piante.
Ma può succedere che l’utilizzo dei rifiuti da parte degli altri elementi biologici sia più lento e che, in certi casi, la loro eliminazione avvenga tramite processi non biologici ma fisico chimici. Si produce così un accumulo di determinati tipi di sostanze, per esempio polimeri non biodegradabili di certi composti chimici o materie inorganiche, che può avere un’influenza negativa sui cicli biologici.
In molti Paesi si rivolge già grande attenzione a questo problema ed è probabile che venga risolto prima della fine di questo secolo, almeno nei suoi aspetti essenziali.
Tra i metodi impiegati, una soluzione economica e di applicazione generale consiste nel recuperare i rifiuti, cioè trasformarli in altri prodotti utili e in energia ottenuta per combustione. Non credo negli effetti nocivi che a volte vengono preconizzati, benché oggi viviamo un’epoca senza pari nella storia, per l’importanza e il numero di scoperte scientifiche concentrate in un periodo estremamente breve.
Devo ora rispondere alla seconda domanda: qual è il ruolo dello scienziato nella società contemporanea?
Per maggiore semplicità chiamerò scienziati solo coloro che tentano di scoprire qualcosa di nuovo con metodi sperimentali. La ricerca può realizzarsi nei campi più svariati che, d’altra parte, non sono sempre quelli tradizionalmente definiti scientifici.
Oggi ogni scienziato lavora in un settore estremamente specialistico, poiché deve sapere tutto ciò che è stato fatto prima di lui e può farlo solo a condizione di limitare fortemente il campo del proprio lavoro; e questa tendenza si va accentuando sempre più.
Quand’ero giovane, un chimico aveva ancora la possibilità di conoscere totalmente il campo chimico e fisico. Personalmente, ho studiato soggetti molto diversi. Durante il mio internato, verso il 1920, avevo costruito un diffrattometro a raggi X e mi occupavo di cristallografia. Appena diplomato, ho progettato e preparato un impianto di sintesi dell’alcool metilico.
Successivamente mi sono occupato di ossidazioni, di polimerizzazione e di problemi di struttura. [Immagine a sinistra: Natta in laboratorio con i suoi assistenti]
La generazione seguente, quella dei miei primi assistenti, è già molto più specializzata: certi si occupano di polimerizzazione, altri di impianti chimici, altri di chimica industriale e altri ancora di problemi di struttura.
I loro assistenti lavorano oggi in settori ancora più limitati. Questa tendenza alla specializzazione è indispensabile, ma rischia di far perdere molte informazioni utili per le difficoltà di comunicazione tra le discipline. Il pericolo è tanto più grande quanto più ogni disciplina tende a elaborare un linguaggio utile ma specializzato al punto da essere difficilmente comprensibile da chi si occupa delle altre discipline.
Data questa grande specializzazione e la necessità di fare ricorso a diverse tecniche, la ricerca scientifica, che era essenzialmente artigianale e consisteva nell’attività di un solo individuo o di una piccola équipe, diviene sempre più un’attività industriale che esige una organizzazione perfezionata, con un numero consistente di ricercatori.
Quando sono efficienti, queste organizzazioni permettono di produrre una massa enorme di lavoro scientifico.
Ci si può chiedere se le migliaia di uomini che partecipano alla ricerca organizzata possano essere definiti scienziati; possono, in un certo senso, ma quelli che lasciano un segno profondo nella storia della scienza non sono molti. Direi che sono poche decine per ogni secolo. Può sembrare poco, ma non è forse lo stesso per i grandi artisti, i grandi generali e i grandi uomini politici?
Le idee nuove di queste poche persone rappresentano le basi successive dello sviluppo scientifico e, quindi, della società umana. Penso che l’influenza di questi pochi sulla storia sia molto profonda e che sia più importante di quella dei grandi uomini politici o dei grandi generali, benché ciò non risulti sempre chiaro, a causa della nostra difficoltà nel considerare periodi di tempo piuttosto lunghi.
Ci si può chiedere cosa sarebbe successo se qualcuno di questi personaggi non fosse esistito. Per esempio, se non ci fosse stato Newton a gettare le basi della meccanica moderna, la nostra storia sarebbe stata diversa? Molto poco, forse, ma il progresso sarebbe stato indubbiamente meno rapido, in attesa di un altro genio che scoprisse la legge fondamentale della meccanica.
Un’altra funzione del progresso è quella di ampliare le proprie possibilità, cioè aprire nuovi campi di sviluppo ad ulteriori progressi. È un processo continuo, e si può prevedere che anche le generazioni future conosceranno dei progressi notevoli in altri settori scientifici e tecnologici.
La ricerca scientifica è sicuramente affascinante e chi se ne occupa è portato a interessarsi di applicazioni sempre nuove; per quanto mi riguarda, se dovessi ricominciare mi dedicherei nuovamente a attività di ricerca.

 

 

 

Giulio Natta
(Porto Maurizio, 26 febbraio 1903 – Bergamo, 2 maggio 1979. Chimico e accademico italiano. È stato insignito del Premio Nobel per la Chimica nel 1963)

 

 

Indicazioni Bibliografiche

S. Cotgrove, S. Box, Science, industry and society, Londra, George Allen & Unwin Ltd, 1970.

J. MacHale, The future of the future, New York, George Braziller, 1969.

A. Lepawsky, E.H. Buehrig, H. Lasswell, The search for world order, New York, Appleton-Century, Crofts, 1971.

P. Thuillier, Comment se constituent les théories scientifiques. La recherche, giugno 1971.

 

 

 

 

© Pubblicato sul n° 17 di Emmeciquadro


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