Perché a qualcuno piace la matematica? Accanto a ragioni legate ad aspetti metodologici, che l’autore ha affrontato nel numero precedente e che costituiscono elementi di fascino per molti, ve ne sono altre di contenuto.
In generale, i matematici sono molto sensibili alla bellezza dei risultati. Ma quali sono i criteri estetici dei matematici, a questo riguardo? Che cosa può «piacere» in un teorema o in una teoria?
L’autore illustra alcuni di questi aspetti, attraverso esempi di portata abbastanza generale.



Nel contributo pubblicato sul numero precedente di questa rivista, abbiamo osservato la matematica prima nella sua forma «statica » di insieme di conoscenze strutturate come sistema ipotetico deduttivo, e ne abbiamo descritto la natura di sapere necessario, stabile, universale, astratto; la dimostrazione come ricerca di nessi, spiegazione dei perché.
Quindi abbiamo osservato la matematica nella sua forma «dinamica» di ricerca di nuovi risultati, riflettendo sul ruolo della congettura, e su certe caratteristiche della ricerca matematica che la fanno assomigliare a una ricerca empirica, sia pur in un universo di oggetti astratti.
Fin qui si trattava di caratteristiche metodologiche. Accanto a queste, ci sono naturalmente caratteristiche di contenuto, che rendono la matematica interessante per qualcuno. «Cose» che si trovano in matematica, e che a qualcuno piacciono.
Di questo intendo occuparmi in questa seconda parte del mio intervento. In generale, i matematici sono molto sensibili alla bellezza dei risultati. Qualcuno potrà sorridere di questo, ma si può realmente affermare che uno dei criteri che maggiormente guida i matematici nel valutare un risultato, un argomento di ricerca, o un problema, è il criterio estetico.
Proverò a esplicitare qualcuno di questi criteri di tipo estetico, che per loro natura non sono del tutto esplicitabili, né condivisi da tutti. Tuttavia, penso che le sottolineature che farò tocchino alcuni tasti a cui molti matematici sono sensibili. Generalizzare.
Le buone idee vanno lontano In matematica si osserva che le buone idee non solo sopravvivono a lungo, ma «vanno lontano», ossia vengono incorporate nei successivi sviluppi che ne costituiscono una generalizzazione.
Queste generalizzazioni non oscurano il valore dell’idea originale, ma anzi ne mostrano la fecondità. Il caso più elementare rimane una sorta di riferimento solido, rassicurante, nella costruzione più generale. «L’arte di far matematica consiste nel trovare quel caso speciale che contiene tutti i germi della generalità».1



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Marco Bramanti
(Associato di Analisi Matematica presso il Politecnico di Milano)

Note

  1. D. Hilbert (1862-1943), in: N. Rose, Mathematical Maxims and Minims, Rome Press. Inc., Raleigh NC, 1988.

© Pubblicato sul n° 18 di Emmeciquadro

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