Significato e Senso del Lessico Scientifico
Prosegue la riflessione, iniziata nel numero di dicembre 2002, sulla correttezza nell’uso del linguaggio scientifico, condizione necessaria per fare scienza, comunicarne i risultati e, ancora di più, insegnarla. In questo contributo viene messo a tema il termine «trasformazione». Dal pensiero aristotelico l’autore trae il metodo per la sua definizione; dalla storia della scienza trae spunti per chiarire il suo significato analizzandolo in contesti diversi: matematico, fisico, chimico e naturalistico. Il lettore è condotto nel complesso intreccio di elementi di «conservazione » e di «cambiamento» che rappresenta il significato profondo di questo termine nel linguaggio scientifico.
Le immagini che corredano questo articolo sono incisioni di Hans Rodolf Manuel- Deutsch per il De re metallica di G. Agricola edito a Basilea nel 1561, conservate presso la Biblioteca Riccardiana, Stamp. 10274. |
Nell’articolo precedente, parlando dell’energia, abbiamo fatto riferimento a un generico cambiamento di uno stato di cose, chiamandolo «trasformazione». Ora vogliamo cercar di capire meglio il concetto che questo termine designa in un contesto scientifico.
È ben vero che è esso molto familiare a tutti; ma sapremmo davvero dire in modo esplicito e rigoroso che cosa s’intende per trasformazione e in quali casi, nell’ambito della scienza, si debbono usare i verbi «trasformare» e «trasformarsi»?
Di tre dizionari filosofici, uno tedesco, uno angloamericano e uno francese, solo quest’ultimo, il dizionario tecnico del Lalande(1), ha una voce apposita. Ma anche lì c’è spazio per le perplessità. «Trasformazione », vi si dice con riferimento alle scienze fisiche e naturali, «è il passaggio da una forma a un’altra: “Trasformazione delle specie, trasformazione dell’energia”. V. reversibile».
[A sinistra: Forno con Mantice per Metalli (p.180)]
Con riferimento alla logica e alla matematica, poi, lo stesso dizionario dice che la trasformazione è una particolare operazione, di preciso la sostituzione di ogni elemento di una proposizione, di una formula algebrica o di una figura con un altro secondo una regola di corrispondenza prefissata. Questa definizione «operativa» è senz’altro meno vaga, ma non spiega cos’abbia in comune con il concetto designato con la stessa parola in chimica, in biologia, in fisica.
La proprietà generale dei processi e delle operazioni che si chiamano «trasformazioni» dovrebb’essere il cambiamento di forma; ma che cos’è questa forma, in generale? Non certo solo quella geometrica, visto che si parla di trasformazioni dell’energia, di trasformazioni di un fluido in un altro fluido, e così via.
Evidentemente occorre chiarirsi le idee, specie se si ha il compito di abituare gli allievi a pesare le parole non solo nel comunicare con gli altri, ma anche e soprattutto nel cercare la conoscenza.
Dobbiamo capire perché non tutti i cambiamenti sono chiamati trasformazioni e che parte queste ultime hanno nella scienza.
Definire un termine
Nella ricerca della definizione di un termine, come si impara studiando Aristotele, sono importantissimi due passi preliminari: primo, chiedersi qual è il suo contrario (metodo delle antinomie); secondo, esaminare alcuni casi in cui si parla di qualcosa che si trasforma (metodo della casistica).
Il metodo delle antinomie è di un’efficacia sorprendente. Un oggetto che non si trasforma rimane lo stesso; e da questo si capisce che in qualche modo, quando si trasforma, un oggetto cambia identità, non è più lui. Apensarci bene questo corrisponde al senso che ci è familiare: un trasformista, per esempio, è uno che riesce a cambiare identità, almeno in apparenza. Il discorso vale anche per l’applicazione all’energia che abbiamo visto nell’articolo precedente: diciamo che l’energia si trasforma per dire che passa da una forma a un’altra, per esempio da energia termica a energia elettrica. Ma qui vediamo anche i limiti del nostro primo passo: è vero che dopo una trasformazione l’energia non è più nella stessa forma; ma resta sempre energia, anzi addirittura si conserva. In che senso, allora, non è più la stessa?
Passiamo al metodo della casistica. Prendiamo per primo il caso della radioattività. Quando diciamo che il radio si trasforma in piombo, potremmo anche dire «si cambia» in piombo, o «diventa» piombo? Se sì, che differenza c’è? Beh, «si cambia» suona male, forse perché è usato in senso attivo, come quando uno si cambia d’abito; in ogni caso è molto generico; ma perché non dire «diventa»? Prendiamo un altro caso.
Se, invece di dire «questa pera è diventata matura», diciamo «questa pera si è trasformata in una pera matura» si capisce la stessa cosa, ma c’è una sfumatura che suona falsa; se però diciamo «la pera acerba dell’altro ieri si è trasformata in una pera matura» la frase è un po’ strana ma suona meglio.
Suona meglio perché adesso sottintende un modo di vedere le cose diverso da prima.
Nel caso del «diventare» pensavamo a una stessa pera che ha cambiato una proprietà temporanea in un’altra, ma è rimasta sempre quella pera; nel secondo caso abbiamo pensato a due cose distinte che hanno in comune solo l’essere un frutto: la pera acerba è passata per così dire a un’altra classe, quella delle pere mature.
Sono sottigliezze, ma contano molto, perché rivelano approcci diversi a uno stesso processo, la maturazione di un frutto. Si ha la sensazione che ci sia una differenza anche quando, invece di dire che un bruco diventa una farfalla, si dice che un bruco si trasforma in una farfalla. Perché? Forse perché il verbo «diventare » fa pensare al processo con cui lo stesso individuo animale passa dallo stato di bruco a quello di farfalla, mentre «trasformarsi» fa pensare, come si è detto, a un cambiamento di tipo di enti.
Una trasformazione: cos’è
Vediamo ora che cosa ci insegna la storia della scienza. Sappiamo tutti che si parla di trasformazioni chimiche e trasformazioni fisiche.
[A destra: Fornaci per separare i metalli dalle impurità come zolfo o bitume (p-217)]
A prima vista questo discorso non fa una grinza; in realtà non illumina molto, non solo perché non corrisponde al cammino storico della scienza, ma anche e soprattutto perché crea un circolo vizioso.
Come si definisce una sostanza chimica? Come ciò che resta invariato in una trasformazione fisica. Come si definisce un elemento? Come ciò che resta invariato in una trasformazione chimica. Si esce dal circolo vizioso solo se si tiene conto che le trasformazioni di cui si sta parlando sono dei fatti d’esperienza.
Chi costruì la fisica e la chimica non cominciò con le conclusioni, come fa chi dice che l’atomo è costituito da un nucleo e da un certo numero di elettroni prima di dire che è la particella submicroscopica di cui è costituita la materia ordinaria.
Quelle che oggi chiamiamo trasformazioni fisiche e chimiche si conoscevano da sempre: si sapeva che i passaggi di stato più familiari erano reversibili, anche se potevano essere accompagnati da strani effetti quando si operava su delle miscele; si sapeva che temperature molto alte modificavano invece irreversibilmente certi corpi, come i metalli in ossidi o viceversa, e che il raffreddamento non riportava alle condizioni precedenti. Quel che non si era pensato nemmeno a domandare era che cosa di preciso restasse invariato in questi fenomeni.
La preparazione filosofica di tutte le persone istruite aveva però predisposto le menti ad analizzare logicamente i fatti sperimentali, e questo permise di rendersi conto che quei fenomeni erano appunto trasformazioni, cambiamenti in cui un sistema cambiava ciò che la logica filosofica chiamava la sua «specie», senza cambiare il suo «genere». Vediamo la cosa più da vicino.
Secondo la filosofia spontanea di ognuno di noi, il mondo è fatto di cose, di relazioni fra cose e di eventi, cioè di cambiamenti delle cose e/o delle loro relazioni in determinati punti dello spazio e determinati istanti del tempo.(2)
Cose, relazioni ed eventi sono unici in quanto alla collocazione nello spazio-tempo e alla porzione di materia che è loro propria, ma possono avere caratteristiche comuni. In base a queste si possono suddividere in classi e sottoclassi. Gli esseri viventi, per esempio, si possono dividere in vegetali e animali; gli animali in erbivori, carnivori e onnivori; e così via.(3)
Nel quadro della teoria della conoscenza di origine aristotelica e scolastica – da non confondere con la biologia sistematica, anche se Linneo partì da quella teoria – si dividono le cose in classi che vanno dal generale al particolare per gradi successivi. Per esempio, si dice che la classe degli esseri viventi costituisce un «genere» rispetto al quale la sottoclasse «animali» costituisce una «specie»; si può anche trattare come «genere» la classe «animali» e gli animali carnivori come una «specie» relativamente agli animali. Nel «genere», dunque, esistono, ma sono indeterminate, certe caratteristiche (come esser carnivori o erbivori) che invece sono determinate nella «specie ». Nello stesso quadro le differenze che si determinano attuandosi in una specie si chiamano «forma», per analogia con la forma che viene fissata dall’artigiano in un pezzo di creta.
Ecco dunque la chiave del concetto che ci interessa: chiamiamo trasformazione un cambiamento che non esce da un dato «genere», ma fa passare da una «specie» a un’altra, da una forma a un’altra. Se si applica questa definizione a quello che abbiamo detto più su, si vede che tutto va a posto.
Per esempio, se consideriamo una classe costituita dalle pere quali sono in un certo intervallo di tempo, diciamo un giorno, questa è un «genere» in cui è lasciato indeterminato il grado di maturazione; scendendo alle specie «pere acerbe l’altro ieri» e «pere mature oggi» si capisce che è lecito, anzi è giusto parlare di trasformazione, cioè di passaggio da una «specie» a un’altra; mentre non è lecito parlare di trasformazione se si pensa all’unica classe «pere» e si parte dalla considerazione che, matura o acerba che sia, una pera rimane una pera.
Venendo alle questioni scientifiche, si capisce senza difficoltà che le trasformazioni fisiche sono cambiamenti della «forma», che consiste nello stato di aggregazione, dei membri di un «genere» che comprende le sostanze chimiche e le loro miscele in quantità qualsiasi; mentre le trasformazioni chimiche sono cambiamenti delle sostanze chimiche e delle loro proporzioni che avvengono all’interno di un «genere» che comprende sistemi caratterizzati solo dal contenere particolari elementi chimici in date proporzioni.
[A sinistra: Macchina che pesta, macina, lava, netta e con l’argento vivo mescola l’oro (p. 234)]
Si parla poi di trasformazioni dell’energia perché l’energia costituisce un «genere», e le forme dell’energia costituiscono delle «specie». A rigore di termini, anzi, si dovrebbe dire che l’energia termica, l’energia nucleare, l’energia chimica, l’energia elettrica e così via sono specie di energia.
Risolto il problema del «cos’è» di una trasformazione, diciamo qualche cosa sul «com’è» e sul «come avviene».
Abbiamo lasciato in sospeso la relazione fra trasformarsi e divenire (diventare è una forma meno elegante della stessa parola). Se diciamo che emettendo una particella alfa il radio diventa piombo non c’è nessun problema; così pure se diciamo che a 100 °C l’acqua riscaldata diventa vapor d’acqua.
Trasformare e trasformarsi sono dunque sinonimi di divenire o diventare? Non proprio: suona un po’ diverso, per esempio, dire che un puledro si trasforma in un cavallo invece di dire che diventa un cavallo; e abbiamo visto un esempio analogo a proposito delle pere che maturano.
Naturalmente, nel linguaggio ordinario del nostro mondo superficiale nessuno si scandalizza se un’espressione non è precisa; sanno tutti che solo i vecchi contadini toscani e i grammatici distinguono ancora tra «se fosse stato vero» e «se era vero»; ma, ripetiamolo, se una lingua ha due parole diverse per esprimere una certa idea una differenza probabilmente c’è. Nel nostro caso lo si capisce bene notando che per indicare l’oggetto di tutta la scienza si parla del divenire dell’universo, non del trasformarsi dell’universo. Perché? Forse perché quando si parla di divenire si ha in mente un individuo che rimane lo stesso ma subisce un cambiamento nel tempo.
Un puledro diventa un cavallo perché è proprio di un individuo di cambiare caratteristiche secondo un certo progetto; un certo pezzo d’argilla diventa un vaso perché questa era una sua potenzialità che il vasaio ha reso attuale, ma è sempre lo stesso pezzo d’argilla; e così via.
Forse occorrerebbe uno studio più attento per cogliere tutte le sfumature(5); ma l’importante qui è che parlare di divenire mette l’accento sul cambiamento di una certa cosa nel tempo senza perdita della sua individualità; come abbiamo visto, lo stesso cambiamento si chiama trasformazione in un quadro logico diverso.
Differenze fra trasformazioni
Passiamo ora alle differenze fra trasformazioni. Ricordiamo anzitutto la reversibilità e l’irreversibilità.(6) In termini approssimativi, una trasformazione è reversibile se il cambiamento che ha prodotto si può annullare rifacendola in senso inverso; in termini rigorosi si dirà invece che è reversibile se, fissata l’attenzione su un istante qualsiasi della sua attuazione, non si può sapere in che senso stia avvenendo.
Si capisce che questa è un’idealizzazione; ma, come tante altre nella scienza, è stata fruttuosa, in quanto tutta la teoria e la progettazione delle macchine termiche è fondata su di essa. Ovviamente, però, a un certo punto si è dovuto riconoscere che la reversibilità è un proprietà limite che in pratica non si può mai realizzare: e questo riconoscimento è stato formalizzato nel secondo principio della termodinamica.
Non tutti sanno però che, mentre fino a pochi decenni fa si era convinti che in virtù di quel principio l’universo andasse verso il massimo disordine e la morte, oggi questa illazione non è più così generalmente accettata. Ilya Prigogine ha fatto un passo in più: ha collegato l’irreversibilità alla nascita di ordine, in particolare l’ordine del vivente, e ha così restaurato un’immagine dell’universo in cui sono in concorrenza ordine e disordine, la vita e la morte.
Una trasformazione: com’è e come avviene
Riguardo alle modalità di svolgimento nel tempo, si parla di trasformazioni graduali, di trasformazioni subitanee o catastrofiche, di trasformazioni cicliche, persino di trasformazioni caotiche.
La fusione del ghiaccio è una tipica trasformazione graduale, mentre è una trasformazione catastrofica l’improvvisa solidificazione di acqua surraffreddata, cioè acqua rimasta liquida al disotto di 0 °C perché è stata raffreddata molto lentamente e in assenza di vibrazioni.
Vi sono trasformazioni catastrofiche che non percepiamo se non in certe condizioni: tipica è quella subita dal ferro dolce quando raffreddandosi passa per la temperatura di Curie (769 °C), acquistando bruscamente le note proprietà ferromagnetiche.
Un problema centrale della scienza di oggi è spiegare come e perché – cioè in virtù di quali catene di eventi uno causa dell’altro (processi) – avvengono le trasformazioni osservate in natura.
[A destra: Vetreria, Fornace per la produzione del vetro (p. 476)]
Si tratta di un campo di ricerca affascinante, come si può capire dal fatto che riguardano tutti i materiali, compresi i tessuti viventi. Qui ci limitiamo a darne un esempio a proposito della solidificazione subitanea dell’acqua surraffreddata.
Nel liquido le molecole si muovono molto lentamente data la bassa temperatura, ma si muovono abbastanza per non arrivare a formare dei piccoli aggregati di durata piuttosto lunga. Una scossa, però, altera le velocità di alcune molecole, cosicché in una certa regione diviene più probabile la formazione di coppie temporanee di molecole. Il maggior numero di queste rende a loro volta più probabile la formazione di aggregati di tre o più molecole, e questi, a causa della ridotta agitazione termica, persistono abbastanza a lungo.
D’altra parte, le forze di attrazione che essi esercitano sulle molecole vicine sono molto più forti di quelle esercitate da aggregati più piccoli, ed ecco che altre molecole si uniscono all’aggregato. Si ha così un «effetto palla di neve», nel senso che più grande è un aggregato più molecole si condensano su di esso nello stesso intervallo di tempo, così che in pochi attimi tutto il liquido forma un aggregato solido.
Questo è anche il meccanismo delle reazioni a catena, tra cui le esplosioni che sono anch’esse trasformazioni (reazioni chimiche), solo che il sistema trasformato si espande in modo da perdere la sua unità nel corso stesso della reazione.
Giuseppe Del Re
(Ordinario di Chimica Teorica presso l’Università di Napoli “Federico II”)
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- André Lalande, Vocabulaire technique et critique de la philosophie, Presses Univ. de France, Paris 1968, 2a ed..
- 2La teoria della relatività si occupa della determinazione degli eventi in quanto fatti qualsiasi che hanno luogo in singoli punti del cronotopo (lo spazio-tempo o continuo spazio-temporale), che costituisce la struttura di fondo della realtà fisica.
- Questo se si vuol restare al livello dell’esperienza immediata; se invece si vuole impostare un discorso scientifico si arriva subito alla classificazione di Linneo e a quelle che le sono seguite. Si può fare anche un’altra suddivisione degli animali: razionali e non razionali; e questa è una suddivisione che interessava e interessa molto l’antropologia filosofica, perché richiede che si stabilisca cos’è che fa di un uomo un animale che ha qualcosa di unico rispetto a tutti gli altri.
- Si noti che il «genere» così definito comprende i reagenti o i prodotti nel loro insieme, quindi anche le situazioni di equilibrio chimico. In sostanza i due membri di un’equazione chimica sono indistinguibili a livello di «genere».
- In questo può aiutare il lettore curioso il Grande Dizionario del Battaglia, della Utet. 6L’eminente specialista di termodinamica Ilya Prigogine (1917-2003) soleva attribuire al divenire dell’universo tre caratteristiche: la coerenza, la creazione d’informazione e l’irre- versibilità. L’importanza di quest’ultima è stata messa in luce solo dopo la mirabile costruzione della termodinamica compiuta nell’Ottocento.
© Pubblicato sul n° 19 di Emmeciquadro