Significato e Senso nel Lessico Scientifico

Prosegue la riflessione sul significato e il corretto uso di termini del lessico scientifico. Partendo dall’uso della parola «sistema» nel linguaggio ordinario, l’autore passa a esaminarne i significati specifici in matematica e in fisica, in cui il concetto di sistema viene collegato a quello di stato. Si sofferma in particolare sulla fisica, esaminando i sistemi modello e la loro efficacia nel descrivere i sistemi reali. Un primo importante approccio alle molteplici accezioni del termine, cui seguiranno altre riflessioni su altri significati e in relazione ad altri ambiti disciplinari.



Le immagini che corredano questo articolo sono tratte da: AA.VV., Dictionary of Arts and Sciences, Wilson e Fell, London 1764.
Si ringrazia l’Istituto Internazionale di Storia Economica «F. Datini» di Prato e la Biblioteca Riccardiana di Firenze per l’auorizzazione all’uso delle immagini.
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Negli articoli precedenti, in particolare parlando di trasformazioni, abbiamo usato più volte il termine «sistema».
Questo non è un caso, perché si tratta veramente di una parola frequentissima nel mondo della scienza, della tecnica e delle scienze umane. Il curioso è che si usa per indicare cose a prima vista molto diverse. Si parla fra l’altro di sistema di unità, sistema di riferimento, sistema solare, sistema di particelle, sistema termodinamico, sistema montuoso, sistema nervoso, sistema di guida automatica, ecosistema, sistema sociale, sistema d’istruzione.
Non è facile perciò capire subito che cosa designa. Proprio la varietà di impieghi, tuttavia, dice che abbiamo a che fare – per usare il linguaggio già incontrato della logica classica – con un «genere» e delle «specie»; con una classe molto ampia, cioè, e delle classi in cui sono attuate alcune ben precise potenzialità dei membri della prima.
Parliamo dunque anzitutto del concetto di «sistema» in generale. Secondo il classico dizionario francese Robert, il nome fu introdotto nel 1552, ma si diffuse a partire dal Settecento. Proviene dal greco e significa primariamente «unione in un corpo di parecchi oggetti, o delle parti di un tutto».
Per molto tempo l’importanza di questo concetto passò inavvertita, ma le cose cambiarono nella seconda metà del Novecento, culminando nella «teoria generale dei sistemi» (General System Theory).
Si tratta di un edificio concettuale che riguarda tutte le scienze, della natura e dell’uomo (antropologia, psicologia, sociologia, comunicazione, eccetera), e si estende alla teoria delle macchine. Il suo oggetto, in forma meno rigorosa, è divenuto popolare attraverso la questione della «complessità».(1) In effetti, come vedremo, sistemi e complessità appartengono allo stesso campo di riflessione e di elaborazione scientifica.
Malgrado l’origine dotta, l’idea suggerita dall’etimologia è presente anche nel parlare quotidiano. Pensiamo all’espressione «devo trovare un sistema per tenere in ordine gli appunti».
Che cosa può entrarci la parola sistema com’è usata qui con la stessa parola nell’espressione «sistema solare»? Se rispondiamo che sono accezioni diverse non spieghiamo nulla, perché le accezioni di una parola anche molto diverse hanno una base comune – come «legno», usata in tempi passati per indicare un vascello e «legno» per indicare un certo materiale.
Tutto quello che possiamo dire è che la frase in questione si riferisce a un insieme di regole coordinate e coerenti che verranno seguite sempre per il fine indicato.
[A destra: Sistema Botanico. Tavola 20]
Anche se non si vede che cosa c’entrino le regole con i pianeti, questo dà tuttavia un suggerimento importante: un sistema dovrebbe essere un insieme di parti che tutte insieme svolgono una certa funzione. Vedremo che proprio questa è la definizione su cui si fonda l’uso scientifico più recente.
Se è vero che l’uso familiare contiene in nuce quello che ci interessa, perché approfondire? La risposta è che contentarsi di una conoscenza intuitiva sarebbe giustificato solo se si trattasse di un concetto «primario», di quelli cioè che non si possono definire in termini di altri concetti senza cadere in un circolo vizioso.
Qui invece dobbiamo arrivare addirittura all’uso scientifico-tecnico.
Se ci si affida all’intuizione si cade nel ridicolo, come i pedagogisti americani e australiani che gestiscono un colossale progetto di controllo dei sistemi d’istruzione di mezzo mondo e chiamano «competenza in analisi e progettazione di sistemi» la capacità di riempire una tabella ordinando quattro cd secondo tipo di musica e durata. Chissà se hanno mai sentito dire che l’analisi e la progettazione di sistemi costituiscono un capitolo molto complesso e difficile dell’ingegneria. Senza contare che in fisica si trattano sistemi in cui per definizione non c’è ordine, il più noto dei quali è l’insieme di molecole che costituisce il gas contenuto in un recipiente. Continuiamo dunque a riflettere sul nostro elenco.
Con i primi due casi ce la sbrighiamo rapidamente, perché corrispondono perfettamente a quello che abbiamo ricavato dall’uso quotidiano. Un sistema di unità, in particolare il Sistema Internazionale (SI), è un tutto coerente in cui non emergono contraddizioni con le definizioni di certe unità, dette fondamentali; queste unità, com’è noto, son passate a sei (metro, chilogrammo, secondo, ampère, grado Kelvin, candela) da tre che erano inizialmente, proprio per ragioni di coerenza e di completezza.
La funzione di un sistema di unità, poi, è ovviamente di consentire il confronto fra valori diversi di una stessa quantità e di eseguire operazioni su valori di quantità diverse che diano risultati univoci.



Così pure, un sistema di riferimento è un insieme di rette (o più in generale curve) che consentono di mettere ogni punto di un dato spazio in corrispondenza con uno e un solo gruppo di numeri reali, uno per ciascuna dimensione. Anche in questo caso si parla di sistema in quanto ciò che ha le proprietà volute è l’insieme come tale.

 

 

 

Sistemi fisici

 

 

In fisica, invece, la parola «sistema» è usata da sempre in un senso più semplice di quello del linguaggio corrente. Per esempio, nel vecchio Perucca(2) troviamo quanto segue: «nell’esperienza di fig. 226 [due carrellini uguali A e B collegati da un filo e da una molla compressa] si può pensare isolatamente al corpo B. Il corpo B è soggetto a una forza esterna da parte di A (forza esterna perché A è «esterno», cioè non fa parte del sistema considerato, formato dal solo corpo B)». Come si vede, l’autore indica con il corsivo che sta dando una definizione implicita: un sistema è un insieme di corpi che si considera separato da tutto il resto dell’universo, che costituisce l’ambiente circostante. (3)Questa formula definisce una classe di sistemi ancora molto generale, ma più ristretta di quella in cui rientrano tutte le espressioni elencate all’inizio: la classe dei «sistemi fisici».
[A sinistra: Tabella delle Affinità/Astrolabio. Tavola 7]
Tipico sistema fisico è un insieme di particelle subatomiche, per esempio un protone e un elettrone. Non si precisa come e quanto si muovono le due particelle una rispetto all’altra, ma s’intende che si ha a che fare con un’unità ben distinta dal resto del mondo fisico. Si parla infatti di «stati» del sistema protone-elettrone, distinguendo fra quelli legati, che sono gli stati dell’atomo d’idrogeno, e quelli non legati, in cui l’elettrone e il protone si comportano come particelle libere. Anche in quest’ultimo caso si sottintende in qualche modo che le due particelle si possano trattare come una porzione dell’universo isolata dalle altre.
Soffermiamoci su questo modo di intendere i sistemi, sempre pensando in concreto a un sistema di particelle come nuclei ed elettroni, ma non escludendo sistemi direttamente accessibili ai cinque sensi. Se infatti i sistemi che c’interessano sono insiemi di punti materiali che esercitano forze di attrazione o repulsioni gli uni sugli altri, la sola differenza è che ai sistemi macroscopici si applica la meccanica classica, a quelli submicroscopici quella quantistica.(4)
Quando questi sistemi sono isolati, cioè non interagiscono con il mondo circostante, non scambiano con esso energia. Sono perciò caratterizzati da un’energia totale costante.(5) Questo non vuol dire che non cambiano nel tempo, ma le famose equazioni di Hamilton – che consentono di determinare il modo di evolversi del sistema (la legge del moto di tutte le particelle) come derivate rispetto alle velocità e alle posizioni di una funzione di queste detta hamiltoniana – prendono una forma particolarmente semplice, perché allora l’hamiltoniana altro non è che la somma di energia potenziale ed energia cinetica delle varie componenti. L’analoga quantistica delle equazioni di Hamilton è l’equazione di Schrödinger.(6)
Cosa rappresenta la formulazione matematica? Rappresenta le potenzialità del sistema considerato; è come se dicesse: con queste particelle e queste interazioni i possibili moti relativi delle particelle non sono qualunque, ma devono soddisfare ben precise condizioni fisiche, qui espresse in linguaggio matematico.
Questo enunciato investe nella sua generalità il rapporto fra la realtà studiata dalla fisica e la matematica che la rappresenta. Esso implica che ogni modo di muoversi delle particelle le une rispetto alle altre è una particolare attuazione di potenzialità del sistema, uno stato (o «stato dinamico») consentito dalle leggi di natura per quel particolare sistema. Per esempio, nel caso di un pianeta del sistema solare, nei limiti in cui sono trascurabili certi effetti secondari le orbite non possono essere altro che sezioni coniche, ellissi, parabole, iperboli.
Si può dunque capire perché molti fisici dicono che, se per un sistema si possono scrivere equazioni come quelle di Hamilton o di Schrödinger, si è detto tutto quel che c’è da sapere su di esso; ma dovrebbe esser chiaro che quel «tutto» vuol dire «tutto ciò che il sistema potrebbe essere, nei limiti in cui basta conoscerne i moti interni», non tutto ciò che il sistema è in concreto caso per caso, con le speciali proprietà d’insieme che lo caratterizzano.
Vale cioè una precisazione già fatta da San Tommaso: genus significat indeterminate id totum quod est in specie, il genere indica in modo indeterminato tutto quello che c’è nella specie.(7) L’errore di chi dice che bastano le equazioni sta nel non dar peso all’avverbio indeterminate. Indeterminato si dice in sostanza di qualcosa che c’è ma di cui non si sa esattamente né cos’è né com’è. E in effetti, anche dal punto di vista matematico, le equazioni generali non danno informazioni sulla realtà se prima non si stabilisce di quale stato o stati di un dato sistema ci si interessa.
Nel caso del Sole e dei pianeti, per esempio, si può dire che si ha a che fare col sistema solare quando si prendono in considerazione solo i corpi che si muovono in orbite chiuse; e questa è una particolare «determinazione» (o attualizzazione) del sistema generico che è l’insieme del Sole e dei pianeti in un qualunque stato di moto. Nel caso della meccanica quantistica, illustriamo lo stesso fatto tornando al caso semplicissimo di un elettrone e di un protone.

Non è lecito dire che essendo l’atomo d’idrogeno appunto un sistema di questo genere, basta conoscere le forze che elettrone e protone esercitano l’uno sull’altro per saperne tutto, risolvendo l’equazione di Schrödinger corrispondente; giacché persino in questo caso semplicissimo, in cui l’unica forma legata è appunto l’atomo di idrogeno, se già non si avesse un’idea di atomo occorrerebbe incapparci esplorando tutti i possibili modi di muoversi dell’elettrone rispetto al protone e accorgendosi che alcuni sono «legati», cioè tali che l’elettrone rimane indefinitamente (o almeno molto a lungo) nelle vicinanze del protone; e anche così non sapremmo subito di aver a che fare con un membro di una particolare classe di enti, gli atomi, se la natura non ci avesse già informato dell’esistenza di enti del genere.
Figuriamoci se, senza nemmeno sapere che esistono degli enti chiamati molecole, si dovessero scoprire e distinguere fra i miliardi e miliardi di stati a lunga vita del sistema generale cui appartengono i 217 gruppi di stati caratteristici delle 217 molecole formate, come il benzene, da sei nuclei di carbonio, sei protoni e quarantadue elettroni, scartando i tanti altri stati in cui una o più particelle sono libere.
[A destra: Sistema arterioso. Tavola 6]
Un altro esempio può servire per riassumere. Supponiamo che si conosca la forma delle forze che tengono insieme protoni e neutroni in un nucleo. In questo caso sono note le interazioni fra le tutte le particelle che costituiscono un sistema di due protoni, due neutroni e due elettroni. Chi potrà dirci, però, che nella realtà concreta il sistema ci si presenterà come atomo di elio o come molecola di deuterio (due deutoni e due elettroni legati) o ancora come qualcosa d’altro? Nessuno: lo dobbiamo scoprire, se già non lo sappiamo da altra fonte.
La ragione per cui stiamo parlando di inventare o scoprire qualcosa si vede bene se si ricorda che la fisica moderna è fondata sul cosiddetto meccanicismo. Quest’ultimo si propone di ricondurre tutte le proprietà della materia a moti di particelle; ma passare dalla conoscenza dei moti a proprietà non meccaniche, come per esempio il numero di legami chimici che un atomo può formare o la sua capacità di assorbire ed emettere luce richiede concetti nuovi che in meccanica non ci sono.
Pensiamo alla domanda: «perché un atomo può assorbire luce?». La risposta ben nota è: «perché è suscettibile di stati interni persistenti con energie diverse, e per assorbimento di energia elettromagnetica può passare da uno stato di energia più bassa a uno stato di energia più alta».
Ma gli stati fra cui avviene la transizione sono stati dinamici del sistema fisico di cui l’atomo è una particolare realizzazione: anzi, l’atomo è proprio il sistema fisico costituito dai suoi nucleoni e dai suoi elettroni in quanto e nei limiti in cui ha certi particolari stati, tra cui possono avvenire transizioni reversibili con scambi di energia non superiori a un certo ordine.
[A sinistra: Sistema Venoso. Tavola 135]
Il fatto che gli stati di cui si parla si possano studiare come moti relativi delle particelle del sistema generale (nucleoni più elettroni) non significa che conoscendo quei moti si viene a sapere che esiste l’atomo, che cos’è, che tipi di energia può assorbire, e così via.
Per dirla con l’esempio già dato, l’atomo di elio è un sistema di due protoni due neutroni e due elettroni in uno degli stati caratterizzati dal fatto che, primo, i nucleoni sono così vicini da formare una particella alfa (nucleo di elio) indivisibile in condizioni ordinarie, secondo, i due elettroni sono praticamente confinati in una regione dello spazio di raggio non molto grande centrata sul nucleo, terzo, gli stati dell’insieme possono trasformarsi reversibilmente l’uno nell’altro sotto l’azione di energie dell’ordine di qualche elettronvolt.
Il sistema generale in questi stati manifesta caratteristiche, come l’inerzia chimica e lo spettro d’emissione-assorbimento, che non ha in altri stati, e pertanto costituisce una «specie », con proprietà speciali che spingono a trattarlo come un oggetto di tipo particolare, cui si dà il nome di atomo di elio. Un esempio di altra «specie» dello stesso sistema generale è il «sistema atomo di elio senza un elettrone (He+) più elettrone libero»; la precisazione che segue la parole «sistema» chiarisce che si tratta di una determinazione particolare.
Come abbiamo visto, il concetto di sistema non si può separare dal concetto di stato, che forma con esso una diade analoga alla diade potenza-atto. Abbiamo anche fatto corrispondere gli stati di un sistema ai modi di muoversi delle sue parti, richiamando il meccanicismo. Per tutto questo abbiamo fatto esplicito riferimento a sistemi che sono o si possono trattare come se fossero insiemi di punti materiali (quest’ultimo è anche il caso del sistema solare).
Ma questa limitazione è proprio necessaria? No. Restando fra i sistemi propriamente fisici possiamo estendere la stessa analisi alle macchine in senso stretto, per esempio un motore di automobile.
Gli stati di quest’ultimo si possono considerare caratterizzati dal numero di giri, dalla marcia, dall’alternativa «innestato» o «in folle», e sono il risultato dei moti delle singole parti. Così è per tutti i sistemi meccanici, che non per nulla ispirarono il meccanicismo. Ma cosa dire di una radio? È un sistema o no? E, se è un sistema, gli si possono ancora attribuire degli stati? E come sono definiti questi stati, se non c’è nulla che si muova? Qualcuno risponde che riconducendo il tutto a un insieme di atomi e quanti si arriva in ultima analisi a parlare di moto anche in questo caso.
Ma per molti motivi questo è retorica.

Non si progetta e costruisce una radio a partire dalle particelle, la si progetta a partire da componenti macroscopiche.
Resta il fatto che è un insieme di componenti che interagiscono tra loro e presenta stati che conosciamo benissimo, caratterizzati da un parametro binario (acceso-spento, stereo-mono), da un numero finito di possibilità (sintonizzazione su certe emittenti), da un parametro continuo (volume del suono), eccetera.
[A destra: Sistema di ingranaggi di orologi. Tavola 41]
Possiamo dire infatti: la radio è accesa, riceve in mono sulla frequenza di 105 Mhz, è regolata sul volume di 32 decibel. Queste circostanze di fatto, insieme ad altre eventuali, precisano ciò che la radio è in questo momento, il suo stato.
Torneremo sul caso dei motori e delle radio, perché sono rappresentanti di una categoria molto speciale di sistemi, i sistemi di controllo.
Qui ricapitoliamo quello che abbiamo ricavato sinora sui sistemi fisici e apriamo brevemente un discorso sui sistemi-modello, che hanno avuto una funzione importantissima nello sviluppo della fisica e oggi vengono messi in discussione perché … non consentono previsioni quantitative precise!

 

 

 

Sistemi-modello

 

 

Abbiamo visto che un sistema in genere è un insieme di oggetti considerato come un ente unico distinto dal resto dell’universo e capace di esibire proprietà d’insieme che si ritrovano in atto nei diversi modi di presentarsi nella realtà del sistema stesso.
Quando si pensa a un sistema generico, dunque, si pensa sì a qualcosa di reale, ma si lasciano nel vago aspetti che nella realtà non possono non esserci. Questo fatto, perdutasi la formazione filosofica, ha consentito il diffondersi di affermazioni che non solo non hanno senso, ma sono dannose per lo sviluppo della scienza.
[A sinistra: Modello di Sistema Planetario. Tavola 96]
Un esempio riguarda gli orbitali, di cui hanno parlato ai loro allie vi generazioni di docenti di chimica. Orbitale è il nome dato a uno stato legato di un elettrone in un sistema di uno o più nuclei e uno o più elettroni quando quest’ultimo costituisce un atomo o una molecola. Le obiezioni contro gli orbitali sono nate dal fatto che le interazioni fra gli elettroni di atomi e molecole sono molto forti, cosicché a prima vista non è lecito parlare di stato di un singolo elettrone quando nella stessa regione ce ne sono altri: oltre alle difficoltà che derivano dalla natura quantistica del problema, ci si scontra con la correlazione degli elettroni. Con questo e altri argomenti alcuni hanno ritenuto di poter dimostrare che gli orbitali sono pure finzioni matematiche. Questa non era però l’opinione dei grandi pionieri della meccanica quantistica, come Paul Dirac (1902-1984), i quali ammettevano senz’altro che per gli elettroni di un atomo si potesse parlare, mutatis mutandis, di qualcosa come le orbite dei pianeti: possibile che fossero degli sprovveduti?
La soluzione dell’enigma è che, nel passare dal sistema generico nuclei-elettroni all’atomo o alla molecola reale si possono prendere in considerazione modi di essere dell’insieme di particelle che non si osservano in quanto le interazioni fra le particelle sono semplificate rispetto alla realtà, ma non per questo sono finzioni. Sono piuttosto determinazioni del sistema generale simili al sistema concreto, anzi ne sono una forma approssimata, in quanto differisce dall’atomo o dalla molecola reale per il fatto che i suoi stati si possono descrivere come se ogni elettrone si muovesse per proprio conto nel campo medio di tutti gli altri.
Il valore di un tale «sistema modello» sta nel fatto che è più gestibile ai fini della spiegazione dei fatti e certamente dovrebbe avere molto in comune con la molecola o l’atomo che si sta prendendo in considerazione. Se e fino a che punto questo «in comune» comprenda le caratteristiche principali degli enti concreti in considerazione, naturalmente, è da vedere.
In effetti, concepire il modello e dimostrare che effettivamente esso corrispondeva all’essenziale della realtà fu il lavoro di pionieri degli anni intorno al 1930 come John C. Slater, Friedrich Hund, Robert S. Mulliken (premio Nobel) e altri, che crearono la teoria degli orbitali molecolari e permisero di capire la relazione fra la struttura e la distribuzione degli elettroni di una molecola.
Naturalmente, dal punto di vista quantitativo la teoria in questione ha dei limiti: ma occorre ricordare che in tutta la fisica, a cominciare dalla legge di gravitazione universale, le spiegazioni si sono servite di sistemi modello.
Torneremo su questo e parleremo di altri tipi di sistemi nelle note che seguiranno.

 

 

Giuseppe del Re
(Ordinario di Chimica Teorica presso l’Univeristà «Federico II» di Napoli)

 

 

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  1. Un’eccellente raccolta di lavori che stanno a fondamento di questa teoria e sono leggibili senza speciali cognizioni tecniche: E. Agazzi (a cura di), I sistemi fra scienza e filosofia, SEI, Torino 1978.
  2. Si tratta di uno degli ultimi testi universitari di fisica scritti da italiani: E. Perucca, Fisica generale e sperimentale, UTET, Torino 1946.
  3. Siamo costretti a usare il termine «ambiente», anche se richiama un contesto ecologico che qui non ha alcuna rilevanza, perché l’italiano, che è (o almeno fu) una lingua molto ricca, non possiede una parola che corrisponda al francese environnement, da cui proviene l’inglese environment, atta cioè a indicare tutto ciò che sta intorno a qualcosa.
  4. Qui e altrove si ricordi che la meccanica quantistica ha due differenze essenziali da quella classica: incorpora la quantizzazione dell’energia e non ammette che si possano considerare noti con precisione arbitraria i valori di ambo i membri di certe coppie di variabili, di cui la più nota è quella posizione-velocità. Questo non toglie che il programma essenziale sia lo stesso: prevedere come si muoveranno le particelle costituenti un corpo fisico se è noto il loro stato di moti in nun certo istante. Anche i famosi «stati stazionari» cui si limita spesso l’insegnamento della meccanica quantistica in chimica, sono definiti dal loro modo di evolversi nel tempo.
  5. Si conservano anche altre grandezze, ma non hanno il potere euristico che ha l’energia.
  6. O una sua forma corretta se gli effetti relativistici non si possono trascurare.
  7. Tommaso d’Aquino, De Ente et Essentia, Editio Leonina II, 160-5.

 

 

 

 

© Pubblicato sul n° 20 di Emmeciquadro


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